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Recensioni di libri

I colori di una vita. Figlia di Dakar di Nafissatou Diallo

Cose d’Africa Edizioni, 2016 - L’autobiografia della scrittrice senegalese Nafissatou Diallo (1941-1982) è un’opera commovente in cui emergono molti temi importanti, tra cui la lotta per i diritti delle donne nel paese africano.

Riccardo Pasqualin
Riccardo Pasqualin Pubblicato il 28-02-2022
I colori di una vita. Figlia di Dakar

I colori di una vita. Figlia di Dakar

  • Autore: Nafissatou Diallo
  • Genere: Storie vere
  • Categoria: Narrativa Straniera
  • Anno di pubblicazione: 2016

Nafissatou Diallo (1941-1982) è stata un’ostetrica e romanziera senegalese, e non poteva esserci connubio più fecondo nel percorso di una scrittrice che tanto si è impegnata per i diritti delle donne.
Nel 1975 ha pubblicato la sua autobiografia, De Tilène au Plateau, che ha venduto un milione di copie nel mondo. Che trionfo per un paese che tanto a lungo è stato oppresso, che vittoria per un popolo ex-coloniale!

Thomas Sankara (1949-1987), presidente del Burkina Faso, ha denunciato che il colonialismo liberale ha spesso tolto alle genti sottomesse perfino la possibilità di accedere alla cultura dei dominatori, ciononostante il Senegal può vantare numerosi scrittori che hanno usato la lingua francese affermandosi con successo. Nafissatou Diallo ha potuto studiare a Tolosa per specializzarsi, ma tutta la sua crescita personale è stata un dialogo tra realtà agli antipodi: l’Islam, il retaggio dell’antica spiritualità che lo ha preceduto, lo stile di vita europeo, il vecchio e il nuovo. Perché scrivere la storia della propria vita? Carlo Gozzi (1720-1806) definì le sue stesse memorie “inutili”. Allora perché raccontarsi? Nel Cristianesimo esiste il sacramento della confessione, mentre la modernità ha cercato le sue risposte con la psicanalisi.

Nel maggio del 2016 Cose d’Africa e l’associazione culturale e di promozione sociale Savana Culture hanno pubblicato una traduzione di De Tilène au Plateau, intitolandola I colori di una vita. Figlia di Dakar. E cos’è la versione italiana di un testo importante per la letteratura senegalese se non un biglietto da visita? Sennonché non si tratta di un’apologia o di un discorso patriottico, ma al contrario di una presentazione problematica: la testimonianza di un’esistenza difficile.

La narratrice non ha avuto un’infanzia del tutto serena, anzi, ha dovuto ritagliarsi la sua libertà tra i cedimenti del rigido controllo esercitato da suo padre e tra le crepe di una quotidianità scandita dalle consuetudini musulmane e sincretiste. I giorni di festa, sempre accompagnati dalle disattenzioni degli adulti impegnati nelle celebrazioni, hanno concesso alla narratrice e ai suoi amici d’infanzia dei momenti utili per esplorare la realtà che li circondava, per muoversi da soli e fare delle nuove esperienze. Verso le usanze che disapprova, la scrittrice non lesina critiche:

“Venni a conoscenza […] dei njuli, di più di vent’anni, che venivano circoncisi in questa età più matura affinché potessero avere coscienza di quest’atto consentito. Succedeva nei villaggi e questo rito comunque continua senza dubbio ancora oggi, e probabilmente ancora nelle stesse condizioni spesso criminali, senza anestesia, senza sterilizzazione, senza vaccini anti-tetanici e naturalmente senza antibiotici. Il sesso viene inciso su di un mortaio, l’uomo, cosciente, padrone di tutti i suoi sensi, è chiamato ad affrontare il dolore nella più grande calma per provare il suo coraggio. Il tasso di mortalità era elevato per tetano, emorragie ed altre infezioni”.

Le mutilazioni genitali maschili sono ancora un dramma di cui nel mondo si parla troppo poco. Certo, sottoporre alle sofferenze descritte un adulto, seppur consenziente, è criminale, ma non è ingiusto anche che negli Stati Uniti – cioè nel “civile Occidente” – un bambino piccolo possa essere circonciso, ovvero privato di una parte del suo corpo, contro la sua volontà e senza alcuna reale motivazione sanitaria?
Tra i colori della vita di Nafissatou, però, ci sono anche le tinte tetre della violenza patita in prima persona. Disturbanti sono le righe in cui la romanziera descrive le percosse che ricevette dal padre per un amore giovanile proibito:

“Mi frustò. Senza pietà. Io urlavo, e più urlavo più lui mi frustava utilizzando per la prima volta un nervo di bue”.

Si può perdonare un genitore simile? Perché accettare tutto questo? Perché non fuggire lontano? Forse, in un quartiere vicino al nostro, violenze simili si stanno ripetendo anche in questo preciso momento? La natura dell’uomo è un mistero.
“Lucidamente, lo condannavo” confessa l’autrice,

“non solo per questa violenza fisica nei miei riguardi, ma anche per le sue attitudini rigorose nei confronti dei problemi fondamentali della vita stessa. Io volevo vivere e trovavo invece il cammino sbarrato dalle sue restrizioni. Avevo appena iniziato a capire il sentimento dell’amore e lui voleva annegare questo amore in quello che lui chiamava l’onore. Io mi ribellai. Il mio amor proprio continuava a ricordarsi di questa punizione in cui ero stata picchiata peggio di una bestia, come un oggetto, un tappeto, ed i battiti del mio cuore gridavano rivolta. Comunque, oltre alla sofferenza per essere stata umiliata, soffrivo anche per papà”.

Ma i colori della Dakar dei giovani sono pure quelli accesi e caldi del gioco, della gioia e dell’amicizia, che nelle memorie occupano il posto più importante. A chi scrive lo sguardo di Nafissatou Diallo è parso meno severo e critico di quello di Mariama Bâ (1929-1981), altra grande scrittrice senegalese, tuttavia la lezione delle due intellettuali può essere la stessa: cambiare una cultura rifiutandone gli aspetti deteriori non significa “europeizzare” i propri costumi, ma migliorarsi, progredire.
Il Senegal del presente non è più quello fotografato nel libro, ma questa traduzione sembra porsi non solo come la confessione isolata di una donna, bensì come la voce di un popolo che ha voglia di dire:

“Ecco, nella mia storia ci sono anche questi tristi episodi. Non te li nascondo, ma anzi provo a spiegarteli, perché anch’io li rifiuto e voglio superarli. C’è il bene e c’è il male, te li mostro entrambi con onestà, perché il mio racconto può far meditare anche te”.

È un’opera attorno a cui si possono sviluppare molti dibattiti anche sull’attualità.
Per concludere vanno avanzate un paio di osservazioni: una nuova edizione del volume richiederebbe la correzione di alcuni refusi e forse si potrebbe consigliare di sostituire il vocabolario in appendice con delle comode note a piè di pagina. Sarebbe indispensabile, inoltre, un saggio introduttivo dedicato alla biografia dell’autrice.

I COLORI DI UNA VITA. Figlia di Dakar.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: I colori di una vita. Figlia di Dakar

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