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Recensioni di libri

Gli equivoci del Medioevo di Carlo Ruta

Ediz. Storia e Studi Sociali, 2022 - Un libro che suscita curiosità e interesse, riferito a un periodo storico “bistrattato” dalla Storia ufficiale, etichettato come periodo buio, che Carlo Ruta ha invece sempre rivalutato e considerato un periodo fulgido e ricco.

Gaetano Celauro
Gaetano Celauro Pubblicato il 01-08-2022
Gli equivoci del Medioevo

Gli equivoci del Medioevo

  • Autore: Carlo Ruta
  • Genere: Romanzi e saggi storici
  • Categoria: Saggistica
  • Anno di pubblicazione: 2022

Gli equivoci del Medioevo di Carlo Ruta è edito dalla prestigiosa casa editrice Storia e studi sociali di Giovanna Corradini (2022), e ha all’interno riflessioni, dati e notizie su un’epoca che è stata oggetto di limitata e malintesa riflessione.

Prosegue e si manifesta in questo volume l’interesse dell’autore su quella storia di popoli e genti in continuo divenire, con una connotazione lontana dall’ indagine scolastica spesso fossilizzata in visioni poco dinamiche. L’attenta e scrupolosa indagine di Carlo Ruta si inserisce nello studio delle culture materiali dei popoli, collegandosi agli “Annali” di Storia curati dal nostro autore.

I progressi scientifici e tecnici sono alla base degli studi di Ruta di cui si ricorda in ultimo l’opera sulla civiltà del legno (cfr. La lunga età del legno. I paradossi della materia «debole» e le rotte delle civiltà) introducendo nella narrazione degli eventi storici elementi che normalmente sono messi da parte ma che sono alla base come l’aspetto economico che non è per nulla trascurabile.

Un libro quindi che suscita curiosità e interesse già dall’intrigante titolo che riguarda un periodo storico per così dire “bistrattato” dalla Storia ufficiale, etichettato come periodo buio, stagione non luminosa che Carlo Ruta ha invece sempre rivalutato e considerato di contro un periodo fulgido e ricco.

Il termine “Medio Evo” nasce già con una declinazione negativa in tempi moderni in periodo umanistico; il primo a introdurre questo termine è Flavio Biondo, storico romano. Si parlava di questa epoca di mezzo, che intercorreva tra la fine dell’Impero romano e l’Umanesimo, la fase iniziale del Rinascimento.
Una accezione in termini negativi come un’età oscura, di secoli bui, di ignoranza e superstizione, ma soprattutto un’epoca che non aveva valorizzato quella grande risorsa che era costituita dagli antichi saperi che non solo nel periodo umanistico vengono valorizzati ma anche mitizzati.

Dotti, eruditi e pensatori di questi mal definiti “secoli bui” avevano invece ben fatto i conti sia con la grecità che con la romanità ma da una posizione cristiana. Si conoscevano benissimo i classici, i tragici come Sofocle, Eschilo, Euripide e anche i poeti romani e quelli greci, ma si recepivano con un’ottica cristiana e in questo senso appare più appropriato definire quel periodo come quello della Chiesa. Si conosceva la Filosofia, e dal XII secolo in poi anche la Scienza; si conosceva anche la Logica e si faceva nel contempo riferimento queste conoscenze da un punto di vista della “Scolastica”, da pensatori cristiani.

La “Scolastica”, come è noto, ebbe ad affermarsi nel XIII secolo, con Tommaso e Alberto Magno, ma nasce da molto lontano da quegli ambienti particolari che erano i Monasteri, soprattutto benedettini all’interno dei quali nasce il grande monachesimo occidentale. Ma oltre ai monasteri anche nelle scuole e nelle cattedrali si iniziava a creare degli ambienti dove si studiava e non solo gli aspetti religiosi della cristianità ma anche le scienze e le lettere. Già nelle scuole delle cattedrali, esisteva e veniva ripreso dal mondo antico, il Trivio e il Quadrivio, le due componenti del sapere del tempo. Il “Trivium” era composto da grammatica, logica e retorica, e il “Quadrivium” erano le matematiche, la geometria, l’astronomia e la musica.

La pluralità delle divinità del Paganesimo era stata sostituita, attraverso una serie di percorsi anche letterari, dalla divinità unica, il Dio unico della Bibbia e del Nuovo Testamento. Si conoscevano i filosofi e i grandi poemi antichi ma si aveva una concezione come contenuta, non di trasporto estremo in quanto da Cristiani non tutto poteva essere accettato.

L’Europa andava perdendo la sua posizione di centralità con la fine delle “Talassocrazie” cioè di quegli imperi che dominavano i mari. Il Medioevo come termine epocale ha un’accezione solo europea, non vi è altrove ed è il periodo in cui la Chiesa è forte a tal punto da potere permettersi di valorizzare la logica degli antichi, quella platonica ma soprattutto, quella aristotelica.

Sono i “secoli della Chiesa” quando questa appunto riusciva a deporre gli Imperatori. Dall’ XI secolo in poi, vi erano papi come Gregorio VII che riusciva a deporre il capo del Sacro Romano Impero, Enrico IV. Un’egemonia assoluta della Chiesa in un preciso periodo storico da intendere a tutti i livelli, non solo quello spirituale ma anche a livello materiale e culturale sussisteva questa egemonia. Quelli che noi si chiama Monasteri, specie quelli benedettini, costituirono una grande rete in Europa, e non erano luoghi dove vigeva solo l’Ora et Labora, ma era grandi unità produttive, paragonabili a grandi centri direzionali dell’economia di oggi.

È vero che si lavorava l’orto interno ma si facevano molte altre cose, si scrivevano e si realizzavano libri. Esistevano gli “Scriptoria”, grandi ambienti nel quale era organizzata ed eseguita l’opera di trascrizione dei codici. Ma vi era anche all’esterno un circondario attivo, l’ambiente contadino, i terreni che non potevano essere lavorati dai monaci. Questi appaltavano, affidavano la coltivazione della terra a una umanità diversa, laica, che eseguiva il lavoro materiale che occorreva effettuare. A opera dei Monasteri si dissodavano i terreni, si bonificavano le paludi e si costruivano le grandi reti produttive del mondo agricolo.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Gli equivoci del Medioevo

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