Don Rodrigo illustrato da Francesco Gonin (1808–1889)
Don Rodrigo viene comunemente considerato il “cattivo” de I Promessi Sposi manzoniani, ma si tratta di un "titolo" immeritato per il signorotto spagnolo dalle cui inutili bizze prende l’avvio la trama del romanzo, poiché la sua natura è in realtà di gran lunga più modesta. Più che un malvagio, il persecutore di Lucia è piuttosto un uomo meschino che approfitta del proprio ruolo all’interno della società per assicurarsi vantaggi personali e togliersi ogni capriccio.
Avvezzo ai compromessi e alle mezze misure, lo possiamo considerare il tipico tirannello mediocre “forte con i deboli e debole con i forti”.
Dalla sua ostinata quanto vuota infatuazione per Lucia prende le mosse la narrazione del romanzo di Manzoni: vediamo la storia e le caratteristiche salienti del personaggio.
Chi è Don Rodrigo: la sua storia
Il lettore de I Promessi Sposi conosce fin da subito Don Rodrigo, sebbene indirettamente, attraverso quel capolavoro letterario che consiste nella descrizione dell’incontro fra Don Abbondio, il pavido curato del paese, e i “bravi”, gli scagnozzi a servizio del signorotto.
Don Rodrigo, invaghitosi della giovane contadina Lucia, scommette con il cugino conte Attilio di riuscire a sedurre la ragazza, che però sta per convolare a nozze con Renzo.
Dunque decide che “questo matrimonio non s’ha da fare” e non esita a minacciare il prete per ottenere lo scopo.
Dal suo stupido puntiglio cominciano i problemi che precipiteranno la coppia di innamorati in una serie infinita di peripezie prima di riuscire, finalmente, a coronare il proprio legittimo sogno d’amore.
Don Rodrigo rappresentante di un potere fittizio, gretto e arrogante
Don Rodrigo è l’unico personaggio per il quale Manzoni non fornisce una descrizione precisa, né fisica, né morale, ma attraverso alcuni segni esteriori, così come dalle conseguenze delle sue azioni, ne capiamo perfettamente la personalità, che è estremamente negativa.
A riguardo si trovano ne I Promessi Sposi alcuni passi salienti ed esplicativi del carattere di Don Rodrigo, assai più efficaci di quanto potrebbe essere una qualsiasi presentazione esplicita dello stesso.
Il primo è quello nel quale Padre Cristoforo, recandosi al palazzotto in cui l’aristocratico abita, incontra i suoi contadini/sudditi, che si rivelano una sorta di specchio che riflette il loro padrone (Cap.V):
"La gente che vi s’incontrava erano omacci tarchiati e arcigni, con un gran ciuffo arrovesciato sul capo, e chiuso in una reticella; vecchi che, perdute le zanne, parevan sempre pronti, chi nulla gli aizzasse, a digrignar le gengive; donne con certe facce maschie, e con certe braccia nerborute, buone da venire in aiuto della lingua, quando questa non bastasse: ne’ sembianti e nelle mosse de’ fanciulli stessi, che giocavan per la strada, si vedeva un non so che di petulante e di provocativo".
L’atmosfera che si respira intorno al palazzo suggerisce anch’essa la presenza inquietante del padrone:
"Regnava quivi un gran silenzio; e un passeggiero avrebbe potuto credere che fosse una casa abbandonata, se quattro creature, due vive e due morte, collocate in simmetria, di fuori, non avesser dato un indizio d’abitanti. Due grand’avoltoi, con l’ali spalancate, e co’ teschi penzoloni, l’uno spennacchiato e mezzo roso dal tempo, l’altro ancor saldo e pennuto, erano inchiodati, ciascuno sur un battente del portone; e due bravi, sdraiati, ciascuno sur una delle panche poste a destra e a sinistra, facevan la guardia, aspettando d’esser chiamati a goder gli avanzi della tavola del signore".
L’arroganza che si evince da questa immagine è la stessa che ha spinto Don Rodrigo a molestare Lucia e a minacciare Don Abbondio e che si dispiega altrettanto chiaramente nelle maniere tutt’altro che civili e gentili con cui osa trattare il religioso, giunto fin lì nel vano tentativo di dissuaderlo dall’insano proposito:
"escimi di tra’ piedi, villano temerario, poltrone incappucciato... Villano rincivilito! Tu tratti da par tuo. Ma ringrazia il saio che ti copre codeste spalle di mascalzone, e ti salva dalle carezze che si fanno a’ tuoi pari, per insegnar loro a parlare. Esci con le tue gambe, per questa volta; e la vedremo" (cap.VI).
Ma Don Rodrigo, cui di certo non difettano né la volgarità né la protervia, è sostanzialmente un codardo con molto meno coraggio di quello che vorrebbe mostrare e Padre Cristoforo sa come affondarlo: "Verrà un giorno..." gli risponde.
Una piccola frase che in realtà è una terribile predizione che finirà per tormentare il signorotto fino alla fine dei suoi giorni, quando, afflitto dalla peste e dal delirio, in uno dei suoi peggiori incubi, rivedrà il prelato nell’identico contegno assunto in quest’occasione, puntargli ancora una volta sprezzantemente il dito in faccia con tono gelidamente profetico.
Don Rodrigo: caratteristiche principali e psicologia del personaggio
Come anticipato, Don Rodrigo è l’unico personaggio de I Promessi Sposi di cui l’autore non fornisce una dettagliata descrizione fisica e morale, eppure è colui che dà inizio alla storia e che ne muove le fila anche quando non è presente.
Il carattere di Don Rodrigo, un nobile di città che si diverte a fare il soverchiatore in paese su campagnoli deboli e inermi, si evince principalmente da ciò e da chi gli sta attorno e, ancora di più, dalle conseguenze delle pessime azioni che compie.
Sappiamo che è un aristocratico spagnolo di circa quarant’anni, molto ricco e temutissimo dalla gente del posto, che ne conosce, direttamente o per sentito dire, l’attitudine a compiere il male senza farsi troppi scrupoli.
Don Rodrigo è fondamentalmente un perfido, ma è al contempo un pavido e un insicuro che ha bisogno di sfogare la propria frustrazione sui fragili approfittando dell’impunità che la posizione sociale e la disponibilità economica gli assicurano.
La certezza di poter arginare le leggi, quelle codificate e giuste, a suo piacimento, riuscendo sempre a farla franca, lo inebria di una boria che si concretizza in angherie e soprusi di ogni genere.
Come tutti gli ipocriti, per Don Rodrigo è di fondamentale importanza salvare le apparenze e offrire di sé un’immagine pubblica rispettabile, mentre l’animo meschino, che lo priva del coraggio delle proprie azioni, non gli consente neanche di fare del male fino in fondo.
Ne è un esempio evidente il rapimento di Lucia, per il quale deve ricorrere all’Innominato, un atto della cui gravità, oltretutto, è perfettamente consapevole e che quindi gli procura angoscia al solo pensiero delle conseguenze nefaste che potrebbe avere.
Perché Don Rodrigo, in fondo, non riesce ad essere grande neanche nel male e per quanto tenti "il salto di qualità" che lo elevi a personalità da rispettare oltre che da temere, l’inconsistenza umana e morale che lo contraddistingue prende inevitabilmente il sopravvento, relegandolo al modesto ruolo del tirannello di campagna che vessa i deboli per sentirsi appagato e per ammantarsi di una autorevolezza che non gli apparterrà mai.
L’abile penna di Manzoni tratteggia con Don Rodrigo il mediocre per antonomasia, probabilmente il più riuscito della letteratura contemporanea.
Don Rodrigo simbolo della decadenza dell’aristocrazia del ’600
In quel mirabile affresco della società italiana del ’600 che è I Promessi Sposi, Don Rodrigo assurge a simbolo dell’aristocrazia decaduta dell’epoca, i cui membri trascorrono un’esistenza vuota, fatta di ozi e gozzoviglie, sulle spalle delle classi più umili.
In particolare, lo scrittore prende di mira la nobiltà feudale del XVII e XVIII secolo, del tutto svuotata dei grandi valori del passato e incancrenitasi su privilegi insopportabili.
Lungi dal somigliare, anche solo vagamente, agli illustri antenati, Don Rodrigo e sodali, non accontentandosi di vivere nel lusso senza alcun merito, amano dare una sferzata di adrenalina alle loro insulse giornate compiendo abusi sui contadini.
È in tale contesto che si inquadra la sciagurata scommessa che scuote la vita, prima serena oltre che irreprensibile, di Renzo e Lucia.
E pur rendendosi conto, ad un certo punto, di essersi invischiato in una situazione che gli sta sfuggendo di mano, Don Rodrigo, istigato dal degno cugino e compare conte Attilio, prosegue a perseguitare la ragazza per stupido puntiglio, per quella che considera una questione cavalleresca e che, invece, è soltanto sciocca e odiosa prepotenza.
I personaggi negativi che man mano intervengono nella trama del romanzo, dall’avvocato Azzecca-garbugli al podestà di Lecco, dal padre provinciale al conte zio, testimoniano l’intreccio meschino fra ambienti della politica e della giustizia, con quest’ultima che quasi sempre si risolve nell’aggirare i limiti imposti dalle leggi per permettere ai potenti di restare impuniti.
Una raffigurazione umana e sociale che Manzoni rende in maniera esemplare dal punto di vista letterario, non senza un velato riferimento alla nobiltà a lui coeva, e di cui egli stesso fa parte, uscita malconcia dall’esperienza napoleonica e poco avvezza ad integrarsi e a convivere pacificamente con l’emergente borghesia.
La morte di Don Rodrigo da “infelice”
L’esistenza terrena del tracotante signore si chiude fra le atroci sofferenze causategli dalla peste.
Con queste crude parole Manzoni descrive la lenta agonia di Don Rodrigo sul letto di morte, nel lazzaretto:
"Stava l’infelice, immoto; spalancati gli occhi, ma senza sguardo; pallido il viso e sparso di macchie nere; nere ed enfiate le labbra; l’avreste detto il viso di un cadavere se una contrazione violenta non avesse reso testimonio di una vita tenace. Il petto si sollevava di quando in quando, con un respiro affannoso; la destra fuor dalla cappa, lo premeva vicino al cuore, con uno stringere adunco delle dita, livide tutte e sulle punte nere" (Cap. XXXV).
Nonostante la cupezza dell’immagine, c’è spazio per quell’infelice, che ancora una volta ci ricorda quanto sia grande la misericordia di Dio, persino nei riguardi di chi, come Don Rodrigo, in vita ha commesso un peccato dietro l’altro.
Che tanta sofferenza, oltre che una giusta punizione, sia anche un modo per dare all’uomo la possibilità, finalmente, di redimersi? Chi può saperlo?
Se lo domanda anche Padre Cristoforo, che insieme a Renzo prega davanti al moribondo e ad un certo punto, con tono di voce greve, afferma:
"Può esser castigo, può esser misericordia".
Lo stesso dubbio con cui Manzoni lascia il lettore, sebbene quel compassionevole "infelice" lasci intendere che, davanti a un sincero ravvedimento, il perdono sia possibile anche per gli uomini come Don Rodrigo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi è Don Rodrigo: storia e analisi del personaggio dei Promessi Sposi
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