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Recensioni di libri

Creature degli abissi: i racconti di Wells, Andersen, Yeats e Kafka di Wells, Andersen, Yeats, Kafka

Il mare nasconde mostri, stranezze e meraviglie: la metafora del mare visto come nostro inferno è il tema portante del quinto volumetto di racconti distribuito insieme ai quotidiani, intitolato Creature degli abissi.

Graziella Atzori Pubblicato il 06-05-2021
Creature degli abissi: i racconti di Wells, Andersen, Yeats e Kafka

Creature degli abissi: i racconti di Wells, Andersen, Yeats e Kafka

  • Autore: Franz Kafka Hans Christian Andersen H.G. Wells
  • Genere: Raccolte di racconti

Il mare nasconde mostri, stranezze e meraviglie. Anche l’animo umano; quando vengono a galla nella storia i mostri si chiamano lager, camere a gas, gulag, mine antiuomo e altre amenità, armi chimiche letali, virus creati in laboratorio. Così, la similitudine abissi marini e inconscio collettivo umano nel lato malvagio è presto avvalorata dai fatti. La metafora del mare visto come nostro inferno è il tema portante del quinto volumetto distribuito insieme ai quotidiani, intitolato Creature degli abissi (pp. 56). Si tratta di alcuni racconti editi da Einaudi nel 2019, contenuti nel volume Racconti di mare e tempesta. Se vogliamo spaventarci, come se la pandemia da Covid-19 non avesse creato abbastanza panico, siamo serviti. Ma si sa, l’orrendo, come nelle fiabe, può tacitare altre paure, è catartico.

Racconti di mare e tempesta
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H.G. Wells, I razziatori del mare

Anche nel quinto libretto troviamo grandi nomi capaci di suscitare ciò che Freud ha chiamato "Unheimlich", "il perturbante". È cosa c’è di più orribile che essere mangiati vivi? È quanto racconta Herbert George Wells ne I razziatori del mare, dove nel 1895 in un solo giorno ben undici persone, fra cui una bambina, furono divorate da un branco di cefalopodi nei pressi di Sidmouth, sulle coste del Devonshire. È una storia autentica e allucinante, che ricorda i diavoli divoratori nei dipinti di Signorelli. Un vero inferno dantesco, il mare che pullula di occhi freddi e cattivi di mostri con tentacoli lunghi un metro, pieni di ventose. Si tratta di "Haploteuthis ferox", dal corpo grande quanto un grosso maiale. Il protagonista Fison mostra coraggio e nel contempo trema dalla testa ai piedi di fronte a situazioni come queste sequenze:

"Uno di quei mostri avanzò coraggiosamente e raggiunse il fianco dell’imbarcazione, al quale aderì con tre tentacoli cosparsi di ventose, e ne gettò subito altri quattro oltre la falchetta, con l’intenzione di capovolgere la barca o di arrampicarsi.”

Da brivido. I colpi di remo e i coltelli per tagliare i tentacoli non si contano. La lotta è durissima, per i più perdente. Poi, il mare torna tranquillo, i mostri si inabissano e nel paesaggio è come se nulla fosse stato, la gloria del sole illumina le onde verdi. Nella notte verrà organizzata la caccia ai molluschi giganti, solo intravisti dai volenterosi soccorritori, senza esito. Cosa pensare? Se "le forze del male non prevarranno", si dice nella tradizione cattolica, di fronte a un tale scenario c’è da dubitarne. La vita è un mangiarsi a vicenda. Ed è sacra proprio in quanto sacrificio, "sacrum facere".

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Andersen, Il grande serpente di mare

Hans Christian Andersen racconta la sua fiaba come sempre incantevole in Il grande serpente di mare, un palo del telegrafo calato dall’alto. Tutti gli abitanti marini si meravigliano e si chiedono cosa sia. Il "serpente" tace e pensa, trasporta le parole umane dall’Europa all’America. Durante la sua immersione i pescetti più piccoli vengono colpiti, uccisi o ammaccati, i branchi distrutti. Chi la sa più lunga, come la mucca marina, una vecchia sirena malata, spiega:

“- Ci vogliono prendere, - spiegò, - non vivono per altro, tendono le reti, vengono con delle esche su degli uncini per attirarci. Questa è una specie di grossa corda, e loro credono che noi l’addenteremo: sono tanto stupidi! Ma noi non lo siamo!”

È "una conferenza sulla malizia degli uomini". Però il serpente questa volta è benefico, conclude Andersen, è

“Il serpente della conoscenza del bene e del male, pieno dei pensieri degli uomini, che porta notizie in tutte le lingue pur senza avere il dono della parola, la meraviglia più grande tra tutte le meraviglie del mare.”

La letteratura racconta instancabilmente la lotta tra bene e male. Possiamo chiederci dove cominci l’uno e dove cominci l’altro, frammisti nel gioco eterno voluto dalle leggi divine naturali, che l’uomo infrange troppo spesso.

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Yeats, Le gabbie d’anime e Una storia esagerata

Con William Butler Yeats siamo naturalmente in Irlanda, sulla costa occidentale, alle prese con un testo che ha il sapore delle saghe e delle leggende popolari. Queste racchiudono sempre una disegno di saggezza implicita, nascosta nei fatti favolosi, da estrarre con il nostro "sale", secondo il proverbio antico "avere sale in zucca".
Il racconto Le gabbie d’anime non ha nulla di pauroso, anzi strappa molti sorrisi; c’è però la condizione conturbante delle anime dei trapassati racchiuse nei recipienti per le aragoste, che una sirena maschio tiene là, per dare loro un rifugio caldo, in modo possessivo. Le considera sue. Si tratta di anime di affogati, naufraghi che la sirena ha catturato subito dopo la loro morte.

Jack, un marinaio solitario, ammogliato, dopo molta attesa riesce ad avvistare la sirena o per meglio dire il sireno verde, di nome Coomara, Coo come diminutivo, già amico di suo nonno e di suo padre. Le sirene notoriamente vivono centinaia d’anni. Divengono grandi amici, in fondo al mare, in una zona perfettamente asciutta. Consumano lauti pranzetti innaffiati con molto brandy. In segreto. Neppure Biddi, la moglie del marinaio, è al corrente di tanto portento. Con uno stratagemma Jack riesce a liberare le anime che potranno seguire la loro strada nell’aldilà. L’uomo racconta ogni cosa a Biddi. Ma un giorno Coomara detto Coo non risponderà più al segnale dell’incontro. Anche le sirene muoiono.

Bell’apologo. Sottende la necessità di essere amici con la propria profondità, l’inconscio e i suoi contenuti, in tal caso la sirena da integrare con la vita di superficie, per essere veramente completi e felici. Inoltre è necessario saper condividere la propria ricchezza interiore con la persona amata, del tutto compartecipe della sorte, con-sorte. Trovo un terzo significato: il processo di individuazione, così lo chiama Jung, il congiungimento tra maschile e femminile, tra coscienza di veglia e vita subliminale, avviene in modo autonomo, libero, non istituzionale. Infatti Jack è in dubbio se parlare della faccenda con il prete, poi decide di no:

“Ma cosa poteva fare il prete, e che cosa importava a Coo del prete? […] e del resto sarebbe potuto non tornare a suo onore se si fosse risaputo che aveva l’abitudine di banchettare con le Sirene.”

Un altro breve racconto di Yeats, Una storia esagerata, è una sfilata di esseri straordinari e fantastici, a cominciare dal mitico Leviatano, citato nel biblico libro di Giobbe, che dorme nel libro "come un cuscino sul letto, solo la coda piegata a uncino", e viene svegliato da un sospiro. Esce dal libro, diventa un vortice di acqua e aria, un mulinello e "sparpagliò zampilli di fantasia". Il testo ha come scopo quello di "scrollare l’antico torpore", vincere le difficoltà bypassando del tutto la ragione, vivere con frenesia e follia tante storie. Come per esempio quella di rabbi Yochanan, che trova un cesto di perle nel mare e viene circondato da un branco di pesci Karisa. Questi vogliono mangiarlo, ma lui prende un otre d’aceto, lo versa loro addosso e i pesci si inabissano. Non esistono pesci Karisa. Esiste l’abilità di risolvere problemi. Troviamo serpenti che vogliono ingoiare navi, ma vengono decapitati da un corvo. L’elemento "esagerato" in tante piccole storie ha un sapore magico perché la vita poggia sul mistero e va accettata nei suoi lati incredibili.

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Kafka, Poseidone

L’ultimo racconto, Poseidone, è firmato da Franz Kafka. È lungo soltanto una facciata e mezza. Il dio del mare è seduto a un tavolo e fa i conti.

"Amministrare tutte le acque era un lavoro senza fine."

Anche qui domina il surreale. Poseidone è infelice perché deve vivere sedentario come se fosse un impiegato e non ha dunque tempo per divertirsi andando per mare come vorrebbe. È un dio degli abissi triste e malinconico.

Sappiamo che anche Kafka fu costretto a guadagnarsi da vivere svolgendo un lavoro che non amava, come impiegato ragioniere. Dalla sua condizione è nata l’opera straordinaria e geniale che sappiamo, la denuncia contro l’alienazione e la mancanza di libertà dell’uomo moderno, uomo massa, in serie, soggetto a regole castranti e lesive per la sua individualità e dignità.


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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Creature degli abissi: i racconti di Wells, Andersen, Yeats e Kafka

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