

Sono parole essenziali ed evocative quelle che Antonia Pozzi ci consegna in Creatura, una poesia dei suoi ultimi anni, dove possiamo scorgere motivi intimi e personali, ma anche chiari indizi dell’orientamento della sua riflessione e della sua travagliata parabola terrena.
Dopo un’adolescenza sofferta, caratterizzata da quell’amore impossibile con Antonio Maria Cervi che, osteggiato dal padre, ormai, nel 1935, rimane il capitolo più importante di quella “vita sognata” insieme a un bambino mai nato, nonostante i due, pur rinunciando al matrimonio, si fossero promessi amore eterno, è l’esperienza universitaria a portare un vento nuovo nell’esistenza di Antonia Pozzi.
Già da alcuni anni, infatti, la poetessa era iscritta all’Università Statale di Milano dove seguiva con passione e interesse le lezioni di Piero Martinetti, Giuseppe Antonio Borgese e Antonio Banfi: proprio da quest’ultimo, lontano da ogni dogmatismo e da ogni metafisica, le fu assegnata una tesi sulla formazione letteraria di Flaubert alla quale lavora negli stessi mesi in cui scrive Creatura.
Accanto a lei, tra gli amici vecchi e nuovi, spicca la presenza di Remo Cantoni, giovane filosofo e compagno di studi, di cui Antonia apprezza la simpatia e la concretezza, fino ad innamorarsi: con lui spera di ritrovare quella vita già tante volte negata, a lui spera di poter donare sé stessa. Nonostante questo, però, gli bastano pochi mesi per comprendere che il suo sentimento non è ricambiato; come attesta il suo diario la speranza lascia presto il posto alla disillusione, scrive, infatti, il 4 febbraio 1935:
“Desiderare di donarsi non può essere la suprema delle aspirazioni di una creatura; ma volersi ad ogni costo donare quando del rifiuto delle cose si ha già coscienza, è uno sconfinare nell’illecito, un proiettarsi in gigantesche fantasie che non hanno più realtà di un’ombra nera sul muro”
Un dissidio simile si ritrova anche a proposito della stessa vocazione poetica che, negli anni immediatamente precedenti, proprio per l’incontro con Antonio Banfi, attraversa momenti di evidente crisi: Antonia Pozzi rimprovera a sé stessa di scrivere versi privi di quel pathos che solo potrebbe esprimere il suo dramma ma, allo stesso tempo, continua a sentire la poesia, piuttosto che il ragionamento astratto, come il solo elemento “che brucia attraverso tutta la sua vita”, l’esperienza che può riconnetterla con il suo essere più profondo, la sua vocazione più sincera e vitale.
Tutti questi motivi, biografici e poetici, si ritrovano in Creatura, una poesia composta poco dopo che Antonia Pozzi ha ritrovato la sua convinzione che la poesia sia il suo destino, il solo strumento col quale può elevare la sua anima a una dimensione spirituale più profonda, oltre a donarle gioia e libertà. Riscopriamo insieme il testo, il significato e lo stile.
Creatura di Antonia Pozzi: il testo della poesia
Si faceva tua carne
il respiro
nel chiamarti a nome.
Per immense foreste camminammo:
i muschi
racchiudevano l’orma del tuo piede.
Foglie di quercia
ai capelli
furono piccole mani
alate di sole.
Ma a riva d’invernali fiumi
c’è sconosciuta
quest’alba:
la voce varca grigie onde
senz’echi,
gli aliti in nebbia rappresi e dissolti
ci consumano gli orli del tuo viso.5 Maggio 1935
Analisi e significato della poesia Creatura di Antonia Pozzi
La lirica canta il ricordo di un amore passato, evoca una presenza ormai lontana – potrebbe trattarsi di Antonio Maria Cervi o, con minore probabilità, di Remo Cantoni – il sentimento terreno, però, soprattutto in questi ultimi anni, è per Antonia Pozzi viatico al divino: i versi, quindi, chiamano in causa anche una presenza più profonda e originaria, come attesta la parola creatura, che dà il titolo al componimento, riconducibile al campo semantico religioso.
Anche i primi versi – un’evocazione racchiusa nella prima proposizione – tradiscono questo doppio binario del componimento, con la vivida e toccante immagine del respiro che si fa carne, di chiara ascendenza biblica: quando la poetessa nomina l’amato (v. 3) egli diventa subito presenza concreta (v. 1).
I due periodi seguenti, invece, sono dedicati al ricordo di una passeggiata nel bosco (v. 4) e troviamo tutta la profonda consonanza con il mondo naturale che è tipica delle poesie di Antonia Pozzi: la natura partecipa dei sentimenti dell’io lirico e quest’ultimo, specularmente, si fa esso stesso natura. I muschi accolgono il piede dell’amato, conservandone l’impronta (vv. 5-6), mentre la quercia sembra carezzare delicatamente il capo della giovane donna (vv. 7-10), con una bellissima immagine nel mezzo della quale troviamo un dettaglio tattile che sollecita i sensi e ci coinvolge emotivamente.
A questo idillio che trova posto nella prima parte del componimento si contrappone l’amara presa di coscienza descritta negli ultimi versi, nettamente separati dal punto di vista sintattico (“Ma” v. 11).
L’opposizione è patente anche sul piano visivo: l’immagine vitale delle foreste lascia ora il posto alla desolazione di una "riva d’invernali fiumi" (v. 11) che comunica un’atmosfera mortifera, sovrastata da sensazioni di perdita e di nostalgia (“sconosciuta” v. 12).
Come i versi precedenti anche questi ultimi sono connotati da una forte carica simbolica: le foreste, come i fiumi possono alludere a fasi della vita – passata o presente – o a luoghi della memoria, e mostrano il profondo legame tra l’io lirico e i contesti naturali descritti.
La voce – forse un riferimento alla stessa attività poetica, oggetto di dubbi e ripensamenti – si infrange su onde luttuose (“grigie” v. 14) che non rispondono, non trovano conferme nell’altrui presenza (v. 13). Anche il respiro, che al principio del componimento era foriero di vita, adesso si dissolve nella nebbia (v. 16) che consuma anche i lineamenti del volto dell’amato, prima così vicino da poter essere quasi toccato (v. 17).
Analisi metrica e stilistica della poesia
Composta da diciassette versi liberi privi di schema rimico, Creatura di Antonia Pozzi mostra però una chiara divisione sintattica che illustra chiaramente il suo significato complessivo.
Anche nello stile la poetessa si allontana qui dal descrittivismo, talvolta eccessivo, che trovavamo nelle prime liriche, e mostra una maggiore maturità e asciuttezza che, avvicinandola a Ungaretti, dona alle parole una maggiore profondità.
Versi anche molto brevi, con sintagmi in posizione isolata, che si alternano a versi più lunghi scandiscono un ritmo dove la fisicità e l’osservazione tradiscono la nettezza dei ricordi e la pervasività delle emozioni. Anche le assonanze e le allitterazioni (in particolare vv. 4 e 16) denotano tutta la liricità del componimento.
Tra le figure retoriche utilizzate da Antonia Pozzi osserviamo:
- una metafora (vv. 1-2) che sottolinea quanto intimo sia il legame tra il respiro e la persona amata e sottintende che anche l’io lirico è ancora molto legato alla presenza dell’altro;
- una personificazione (vv. 6-8) che, attribuendo una qualità umana alle foglie, evidenzia la partecipazione attiva della natura alla vicenda descritta e, quindi, alla rammemorazione di Antonia Pozzi;
- varie anastrofi che invertono l’ordine consueto delle parole nelle frasi e creano un effetto straniante, invitando il lettore a ricercare un significato più profondo di quello esplicitato nei versi.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Creatura” di Antonia Pozzi: significato e analisi della poesia
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