Come scrivere un racconto. Un libro di narrativa
- Autore: Gordon Lish
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2022
“Chi è Gordon Lish?”, scrive Francesco Guglieri nella prefazione a un testo che non si può non prendere in mano tremando.
Lo scrive e si prepara a dare una risposta, anche se ancora una volta si ha quasi il terrore di proseguire nella lettura e di scoprirlo. Di capirlo meglio. Di avvicinarsi troppo a un sole il cui calore rischierebbe di ustionare chiunque. Gordon Lish è stato un editor, un consulente editoriale, un amico. È entrato a gamba tesa nei racconti di Raymond Carver, fra le idee di Don DeLillo, nella quotidianità di David Leavitt.
È Guglieri stesso a rammentarlo, scegliendo tre esempi tra gli innumerevoli possibili. Ma Gordon Lish è anche – e soprattutto – qualcos’altro.
Ubiquo. Magro. Devoto. Veloce. Brillante. Estenuante. Pazzo. Editor (presso Knopf). Insegnante (di due classi da sei ore a settimana). Scrittore (con uno stile tra Joyce, Salinger e Jackie Mason).4 Negli ultimi due anni ha anche fondato e diretto una rivista letteraria, The Quarterly. Il soprannome con cui è noto da anni è Captain Fiction. Ovviamente se l’è dato lui, questo soprannome.
È la risposta – in terza persona – che ha dato lui stesso in un’intervista a Esquire negli anni Ottanta.
Scrittore, si legge fra le altre qualifiche, in quella foresta di parole minimalista e al tempo stesso fittissima che riusciva a intessere tutte le volte in cui – per sé o per altri – teneva una penna fra le dita. Scrittore di romanzi sperimentali come Peru e Caro signor Capote, e specialmente di decine di racconti. Ora Racconti Edizioni li raccoglie per la prima volta in italiano in un volume tradotto da Roberto Serrai e con una copertina di Marta Signori, il cui titolo dice già tutto: Come scrivere un racconto. Un libro di narrativa.
E non potrebbe essere altrimenti, pensandoci bene. Lish scrive in un modo che insegna a scrivere: fa narrativa e metaletteratura insieme, racconta e al tempo stesso spiega, rivela ma contemporaneamente nasconde, in un gioco di “desiderio e riconoscimento” dal quale si finisce ancora oggi per essere attratti come da una forza magnetica.
E così si scivola con ammirazione e con stupore da una pagina all’altra, riconoscendo fra le righe i vezzi e i vizi di autori come J.D. Salinger, Joy Williams, T. C. Boyle. Ci sono loro, sullo sfondo, anche se poi in primo piano non ci sono mai per davvero. Perché nonostante le similitudini, lo spazio esiguo e verticale dedicato a ogni storia, e la lingua scarna, tagliente, misuratissima che condividono con Gordon Lish, qui c’è una consapevolezza diversa della materia trattata. Un approccio più disinvolto, forse, o solo più assurdo a quelle che Ferdinand De Saussure avrebbe definito langue e parole.
Prendiamo Tutto quello che so, con cui si apre la raccolta: sembra di trovarsi in una casa abitata dai personaggi di Carver, in cui la verità si sbriciola tra le diverse versioni dei fatti che riportano una moglie e un marito dello stesso evento spiacevole. Eppure, Carver non avrebbe forse menzionato Dio tre volte in tre pagine. Avrebbe usato meno punti interrogativi, magari, e meno punti esclamativi. Avrebbe concluso così la vicenda, sì, ma con un pizzico in meno di ripetizioni. O forse no. Forse è solo un’impressione che si comincia a maturare man mano che si va avanti, e si spera di trovare in Lish una “essenza Lish” distinta dal resto della letteratura americana che si conosce.
Ecco allora che in Senso di colpa si fa un elenco di differenze tra Lish e Leavitt, e che in Resurrezione ci si impegna a tirare una linea di demarcazione con Lish da una parte e DeLillo dall’altra. Così, per sicurezza. Sorridendo nel leggere Tre, La lezione adeguata al giorno della medesima o A cena con Ozick e Lentricchia, perché si ha comunque l’impressione di stare in compagnia di un vecchio amico che si conosce perfino troppo bene. Poi, giunti alla fine, si arriva a Omero e Pinker risolvono le loro divergenze e si intuisce qualcosa in più. Tra i versi che non sono versi e i dialoghi che non sono dialoghi.
Perché un personaggio chiede all’altro se sia stato tutto inutile, e quello risponde: “Guarda dove siamo arrivati, però”. E sembra di essere nella propria testa insieme a Lish, che prova a far capire che senso abbia avuto leggere un’altra sua storia dopo tutte le precedenti, leggere la sua penna dopo tutte quelle che ha aiutato a perfezionare. Guarda dove siamo arrivati, però. Siamo arrivati nella bocca di un vulcano, là dove l’energia creativa ha avuto origine e si è propagata, inondando ogni territorio circostante. Un viaggio degno di Frodo Baggins e Samwise Gamgee, effettivamente. Lungo e pericoloso, sofferto e affascinante.
Potrebbe bastare anche solo questo, a chiudere il libro con soddisfazione, e invece Gordon Lish si lascia un’ultima stoccata per il vero e proprio epilogo.
Lo sente che ci stiamo ancora domandando se un’essenza Lish, insomma, esista o meno nelle parole che abbiamo appena scoperto. E ci lascia il suo parere lì, a margine, come forse ha sempre fatto, come forse ci eravamo sempre accorti che lo stava lasciando:
Vuoi la mia risposta?
Credo che tu me la debba, una risposta.
La risposta è, prima no, adesso sì.
Come scrivere un racconto: Un libro di narrativa
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