Il pensiero di Cartesio è una delle espressioni più compiute dell’età moderna, capace di una rottura netta con la tradizione precedente, sia medievale che rinascimentale, questa filosofia dopo aver revocato in dubbio ogni certezza trova nel “cogito ergo sum” la sua base più solida e il punto di partenza su cui costruire un sapere nuovo.
“Cogito ergo sum” (la cui traduzione letterale è "penso dunque sono") è un’espressione ormai divenuta molto comune, che compare spesso anche nel linguaggio corrente, ma di cui sovente si dimentica il significato e la portata: solo ripercorrendo brevemente le tappe del pensiero di Renato Cartesio (italianizzazione di René Descartes) è possibile coglierne, almeno in parte, l’importanza e le conseguenze.
La crisi della cultura e la necessità di un nuovo metodo
Vissuto in un’epoca di profondi cambiamenti storici e culturali, Cartesio (1596-1650) si trova di fronte a una cultura messa in crisi dalle recenti scoperte scientifiche: mentre Copernico e Galilei avevano dimostrato che era la terra a girare intorno al sole e non viceversa, studi contemporanei di fisica, ottica e matematica avevano rivelato la fallacia dei sensi. Ognuna di queste acquisizioni minava l’antropocentrismo (la convinzione che l’uomo fosse al centro di tutto e fosse il centro intorno a cui tutto si muoveva e a cui tutto era finalizzato) difeso dalla cultura rinascimentale e richiedeva basi nuove, e più certe per il sapere.
La prima esigenza di Cartesio è quella di definire un nuovo metodo, un criterio procedurale che consenta di conoscere la realtà distinguendo la conoscenza vera a quella fallace, frutto degli inganni della sensazione. Assegnare priorità a un metodo significa anche (qui sta la modernità di Cartesio) assegnare un’importanza prioritaria al soggetto che pone le proprie condizioni (conoscitive) alla realtà extramentale, ovvero all’oggetto e ricercare solo nella propria mente i materiali per costruire l’edificio del sapere, rifiutando qualsiasi autorità e qualsiasi acquisizione raggiunta dalle filosofie precedenti.
Il metodo di Cartesio, esposto nel Discorso sul metodo (1637) si articola in quattro punti, il primo dei quali è certamente quello più importante:
- ritenere vera conoscenza solo ciò che si presenta come perfettamente chiaro e distinto alla mente e che non lascia alcuna possibilità di dubbio: si tratta di un’evidenza di tipo matematico che, però, viene richiesta in ogni campo del reale in cui si ricerca la vera conoscenza;
- ogni ente da conoscere, ogni difficoltà da esaminare, ogni argomento da sciogliere va diviso in tutte le parti possibili (analisi) per essere meglio indagato e risolto;
- i pensieri devono essere collegati con ordine, partendo dagli oggetti più semplici e facili da conoscere per poi arrivare, per gradi, alla conoscenza degli oggetti più complessi (sintesi);
- in ogni argomentazione e in ogni ragionamento occorre fare delle enumerazioni complete, in modo tale da non omettere nessuno dei dati e dei passaggi precedentemente ottenuti (enumerazione);
Le Meditazioni metafisiche
L’opera che, però, racchiude in modo più esaustivo e affascinante la filosofia di Cartesio sono le Meditazioni Metafisiche (1641), un esercizio spirituale, un percorso interiore, dove Cartesio espone le sue tesi principali non solo riguardo alla conoscenza umana (gnoseologia) ma anche, e soprattutto, riguardo a Dio e al mondo (metafisica).
Per arrivare a una conoscenza certa e indubitabile e neutralizzare gli inganni dei sensi occorre attuare un metodo capace di scartare tutti i punti di partenza inaffidabili: è attraverso il dubbio metodico che Cartesio realizza questo proposito, vagliando ogni possibile elemento e verificando se possiede gli indispensabili requisiti della chiarezza e dell’evidenza.
I dati sensibili non possono essere assunti come il fondamento di una conoscenza vera perché i sensi sono ingannevoli e nulla può far escludere che anche il mondo, nella sua totalità, non sia altro che un sogno. Tutta la realtà, quindi, attraverso il dubbio, viene posta tra parentesi: Cartesio arriva a dubitare di ogni ente e di ogni dato sensibile, portando anche l’esempio del sogno dove l’uomo ha sensazioni pressoché uguali a quelle che ha nello stato di veglia; anche quest’ultimo, quindi, potrebbe essere nient’altro che un sogno.
Anche le verità matematiche sono scartate, quale fondamento del conoscere, dal momento che potrebbero essere sempre il frutto dell’inganno di un genio maligno che ce le fa sembrare vere, senza che esse siano davvero tali. Infine, anche Dio, viene scartato, come fondamento della conoscenza, dal momento che potrebbe fare apparire vere cose che in realtà non sono tali o, più semplicemente, non sono affatto.
Nell’indagine di Cartesio l’unico fondamento certo è, allora, l’io e più precisamente l’attività pensante dell’io; è questo il significato dell’espressione
“Cogito ergo sum”
un’intuizione, una certezza apodittica, piuttosto che una deduzione logica (a discapito della congiunzione “ergo”), che l’uomo coglie anche qualora si stesse ingannando su tutto, dal momento che, anche in quel caso, non potrebbe ingannarsi sul fatto che sta pensando.
La prima certezza è, allora, che l’uomo è res cogitans, sostanza pensante dove, in questa accezione del pensiero, vanno compresi anche atti cognitivi come l’immaginare, il ricordare, il sentire, il volere.
Il passaggio successivo delle Meditazioni metafisiche dimostra l’esistenza di Dio, attraverso la cosiddetta prova ontologica (già messa a punto da Anselmo d’Aosta è la dimostrazione che parte dall’essenza per dedurre l’esistenza): l’uomo nella sua attività pensante, ha incontrato il dubbio e si è riconosciuto, per questo come un ente imperfetto; ha, però incontrato anche l’idea di Dio, ovvero l’idea della massima perfezione. Non può aver tratto (non può essere causa di) questa idea da sé stesso ma deve averla avuta da un ente (Dio) con un grado di perfezione (la massima perfezione possibile) uguale ad essa, per questo Dio esiste.
Dio è anche la causa dell’esistenza dell’uomo che, altrimenti, se si fosse fatto da sé, avrebbe dato a sé stesso anche tutte le perfezioni (ossia le qualità, al loro massimo grado) possibili, e la causa del persistere dell’uomo, ovvero del suo perdurare nell’esistenza.
Se Dio esiste ed è la massima perfezione, allora sarà anche verace e infallibile in sommo grado, per questo non potrà far credere all’uomo cose che non sono o sono false; qual è allora la causa dell’errore?
L’errore, secondo Cartesio, non può essere inteso come sola imperfezione e mancanza di una conoscenza, imputabile alla finitezza e alla limitatezza dell’uomo. L’intelletto, che presenta solo idee, pur essendo limitato non erra, l’errore nasce dalla volontà che, nella sua natura infinita, spesso si estende oltre l’ambito limitato dell’intelletto e ritiene chiare e distinte cose che in realtà non lo sono.
Dopo l’errore, Cartesio considera il mondo sensibile, per il momento ancora revocato in dubbio. Di esso Cartesio afferma prima la possibilità dal momento che la materia è rappresentata da idee chiare e distinte, quindi pensabile, non contraddittoria; poi, considerando il fatto che il mondo fisico è immaginabile (l’immaginazione per Cartesio è, comunque, pensiero ma si riferisce a entità non spirituali), ne afferma la probabilità. Infine, Cartesio dimostra l’esistenza del mondo fisico affermando che esso viene percepito dai sensi; questi ci sono stati dati da Dio, e Dio, ora massimamente verace, non può ingannarci facendoci ritenere reali ciò che ci appare come evidente.
I sensi, inoltre, sono passivi di fronte ai dati della sensazione, li colgono come se fossero qualcosa di oggettivo e di reale e non è in loro potere cogliere una sensazione piuttosto che un’altra.
Certo non tutti i dati dei sensi devono essere ritenuti veri ma solo quelli di cui si danno idee chiare e distinte, per questo l’essenza del mondo corporeo sarà quella di essere pura res extensa, materia estesa (in lunghezza, larghezza e profondità) o, più precisamente, materia in movimento ossia dotata di moto locale.
Materia e moto essendo stati creati da Dio, nella sua immutabilità, si conservano immutabili e non possono né diminuire, né aumentare; dopo l’atto della creazione, Dio (come un orologiaio che ha caricato l’orologio creato prima) non interviene ulteriormente sul mondo e - diversamente da questo pensava Blaise Pascal - lascia che esso proceda secondo le leggi immutabili della fisica e della meccanica (meccanicismo cartesiano).
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Cogito ergo sum: il pensiero di Cartesio
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