

Da anni, in Italia, si sente ripetere che il turismo potrebbe essere la nostra prima risorsa economica. C’è chi sostiene addirittura che potremmo “vivere di solo turismo” grazie alle innumerevoli bellezze del paese, ma a ben guardare tra realtà e frasi fatte c’è una distanza abissale. Tuttavia non è questo l’argomento che il presente articolo intende affrontare.
Il ruolo fondamentale della Geografia turistica
Partiamo da una battuta di spirito. L’umorista George Mikes (1912-1987), autore del libro Switzerland for beginners (1961), trattando scherzosamente dell’imprenditoria turistica elvetica ha scritto che “gli svizzeri si sono dati da fare per costruire un bel paese attorno ai loro hotel”. Noi, invece, potremmo osservare che gli italiani chiamano la loro Penisola “il bel paese” sin dai tempi di Dante e che in generale sono fortemente convinti del potenziale turistico della loro terra, ma che nel 2025, probabilmente, non hanno ancora capito che per la crescita del settore turistico servirebbe, come minimo, studiare la Geografia a scuola.
Ciò che lascia maggiormente perplessi, meditando sul baratro che esiste tra certi discorsi e l’effettivo stato delle cose, infatti, è che mentre (anche tra i politici) si proclama di voler puntare tutto sul turismo, in molte aree della Penisola mancano completamente gli istituti turistici, ossia quelle scuole che dovrebbero preparare i giovani a diventare lavoratori del settore. E dove questi istituti ci sono, inoltre, spesso non sono adeguatamente valorizzati, come se – a dispetto della decantata ricchezza della Penisola – formare professionisti del turismo fosse una questione secondaria.
Eppure, se davvero si vuole fare seriamente del turismo una risorsa, bisogna necessariamente partire dalla scuola. Non con progetti estemporanei o “collaborazioni” improvvisate con il mondo imprenditoriale, ma con una programmazione seria e riconoscendo il ruolo fondamentale della Geografia turistica come disciplina. Se è vero che in Italia non esistono zone in cui le potenzialità turistiche sono assenti, ne consegue che bisognerebbe da un lato aumentare il numero degli istituti turistici e, dall’altro, restituire dignità all’insegnamento delle Geografie in tutti gli indirizzi di studio, ovviamente affidando l’insegnamento di queste discipline solo ai docenti abilitati nella specifica classe di concorso (A021).
L’analfabetismo geografico e i legami con la scuola di oggi
Tuttavia, per citare un altro umorista, Ennio Flaiano (1910-1972), anche riguardo al mondo della scuola, in Italia “la situazione è grave, ma non seria”.
Quando si parla di scuola – a giudicare dalle parole di certi commentatori di giornali digitali – pare ad esempio che un gran numero di italiani si sia fossilizzato sulle famose “tre I” della Moratti: inglese, informatica e impresa. Un mantra ripetuto da anni, acriticamente, come se nulla fosse mai cambiato e la scuola non avesse fatto dei passi in avanti — a volte incerti, ma reali.
Soprattutto tra coloro che in una scuola non ci entrano da decenni, c’è una sorta di fissazione, un’ossessione quasi patologica nel collegare la conoscenza dell’inglese a un successo immediato e garantito negli affari. Nei commenti in rete, nei messaggi dei genitori infuriati e persino nei salotti televisivi tuona un grido di battaglia: “Serve più inglese!” Come se l’insegnamento dell’inglese fosse improvvisamente scomparso dalle programmazioni didattiche, come se oggi gli studenti non vivessero immersi in un flusso costante di contenuti anglofoni, tra video, musica, piattaforme, social.
Sembra quasi che molti adulti abbiano trasferito sul sistema scolastico le proprie insicurezze linguistiche, convinti che la sola padronanza dell’inglese sia la chiave del successo, la via infallibile per una vita economicamente felice. Si è costruita una narrazione illusoria: la convinzione che basti “sapere bene” l’inglese per “farcela”. Come se parlare fluentemente una lingua fosse, di per sé, un passaporto per la ricchezza.
Sia chiaro, la conoscenza delle lingue straniere, oggettivamente, è importantissima, ma pare che molti non vi attribuiscano un sano valore di arricchimento culturale, bensì esclusivamente economico. La realtà però è che la conoscenza delle lingue straniere da sola non basta, e che la materia che davvero è scomparsa dalle scuole è la Geografia, cioè una disciplina che – tra le sue tante utilità – potrebbe anche spiegare a cosa serve materialmente conoscere le altre lingue.
Come si può pensare di rilanciare il turismo, se nelle scuole l’insegnamento della Geografia è praticamente assente? Esiste un problema reale di analfabetismo geografico diffuso, e senza le competenze geografiche basilari (che non riguardano solo la conoscenza dei confini e delle capitali degli stati), anche la conoscenza dell’inglese resta sospesa, inutilizzabile ai fini di quel “fare impresa” che sembra stare a cuore a tanti.
La Geografia, insegnata da docenti abilitati nella specifica classe di concorso A021, sarebbe la materia più importante per creare i presupposti per un processo di rinnovamento del turismo italiano. Le competenze che le Geografie permettono di acquisire sono essenziali per leggere il territorio, capire le dinamiche culturali e ambientali, orientarsi nel mondo, e sì, anche per lavorare seriamente col turismo. Perché un buon lavoratore del settore turistico non si improvvisa, e non basta solo conoscere l’inglese: la preparazione si forma innanzitutto con lo studio, formando conoscenza e consapevolezza, non gettando i giovani in sistemi di addestramento aziendale.
La malsana ingerenza dell’imprenditoria nelle scuole
Ed è qui che si pone un altro nodo centrale: la scuola non può essere messa nelle mani degli imprenditori. Il loro punto di vista è sicuramente importante per comprendere le esigenze del mercato, ma non può dettare i contenuti della formazione. La tendenza sempre più marcata, anche rispetto alla formazione turistica, a lasciare spazi sempre più ampi agli imprenditori dentro le scuole è una deriva rischiosa. Scuola e impresa devono restare due ambiti distinti: dialoganti, sì, ma con ruoli chiari e separati. L’insegnamento spetta ai docenti, non ai futuri datori di lavoro.
A voler essere onesti, molti dei problemi strutturali del turismo italiano derivano proprio dalle visioni miopi di una parte dell’imprenditoria: investimenti sbagliati, scarsa cura del territorio, gestione errata delle risorse. Pensare che sia l’imprenditoria a dover dettare la linea formativa è un errore che la scuola non può permettersi, chi insegna deve avere l’autonomia per farlo e a insegnare devono essere i docenti. Chi amministra la scuola pubblica ha il dovere di proteggerla da pressioni esterne.
Se davvero vogliamo un turismo forte, serio, radicato nel territorio e non basato sull’improvvisazione, allora bisogna partire dalle fondamenta. Si devono valorizzare gli istituti turistici, bisogna reintrodurre l’insegnamento delle Geografie in tutti gli indirizzi di studio e affidarne l’insegnamento a docenti abilitati nella specifica classe di concorso, e soprattutto bisogna liberare la scuola da logiche nocive. Solo così, forse, in Italia il turismo potrà davvero crescere come risorsa.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il turismo italiano non può migliorare senza la Geografia nelle scuole
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