Circe
- Autore: Madeline Miller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Sonzogno
- Anno di pubblicazione: 2019
La ninfa Circe, la maga che trasformava gli uomini in animali, una figura della mitologia greca che ha un ruolo nel secondo poema omerico, ma è sempre rimasta schiacciata dal protagonismo carismatico di Ulisse e dalla concorrenza di altre figure femminili: la moglie devota Penelope, la “collega” rivale Calipso, la tenera Nausicaa. In “Circe”, romanzo proposto in prima edizione a febbraio da Sonzogno (2019, 412 pagine, 19 euro), l’americana Madeline Miller la rende protagonista assoluta di una storia lunga e affascinante, in un romanzo lungo e attraente.
Nel mondo anglosassone, ha riscosso successo questo lavoro della ricercatrice di lettere classiche e insegnante di drammaturgia. Arriva preceduto da recensioni entusiaste e grande favore del pubblico. Si annunciano fortune anche per l’edizione italiana: l’argomento è particolarmente congeniale, quelli greci sono i miti della nostra gente, dopotutto.
Per quanto rappresentata puntando più sul carattere che sull’aspetto fisico, la volitiva e irrefrenabile Circe della Miller è altra rispetto alla stupenda Anna Mangano che l’interpretava nel film di Camerini del 1954 (“Ulisse”, che poi era Kirk Douglas) e dalla Juliette Mayniel dagli occhi magnetici della bella trasposizione televisiva del 1968, per la regia di Franco Rossi.
Circe è nata ninfa, una divinità minore, erano le ultime nella gerarchia dell’Olimpo con poteri tanto modesti da garantire a stento l’immortalità. Parlavano ai pesci, coltivavano fiori, distillavano la pioggia dalle nuvole e il sale dalle onde. Ninfa significa dea ma anche sposa, nella loro lingua. La mamma è Perseide, una naiade, figlia di Oceano che l’aveva concessa al fratello titano, il vanitoso Elios.
Ai genitori non piaceva, aveva i capelli striati come una lince, il mento affilato, irregolare. Una zia le diede il nome Circe (Sparviera) per gli occhi gialli e il pianto flebile, che diventerà una voce stridula.
Le divinità sono futili, piene di difetti, più crudeli che benevole con gli umani. La sorella Pasifae e il fratello Perse la disprezzano e la prendono crudelmente in giro per la sua ingenuità di ritenere immortali anche le giovenche dorate del padre. Di nascosto, Elios si trasforma in toro e le ingravida, poi fa cucinare quelle anziane così tutti vedono delle vacche sempre giovani e le credono divine.
Attraverso Circe, si apprende degli altri personaggi mitologici e degli umani, considerati dagli dei meno che vermi. Lei invece è incuriosita. Prometeo, punito in eterno per averli aiutati, le spiega che sono esseri mortali, uno diverso dall’altro. L’unica cosa che li accomuna è la morte. Dopo, i loro corpi si decompongono e si uniscono alla terra, mentre le loro anime si trasformano in fumo freddo e finiscono nell’oltretomba, dove non bevono, non mangiano e non provano sensazioni, ogni cosa che tentano di afferrare sfugge alla presa. Ma come possono sopportare questo destino? Fanno del loro meglio.
Il matrimonio di Pasifae con Minosse, re di Creta figlio di Zeus e di un’umana, le consente di vedere i mortali da vicino. Mantengono lo sguardo basso davanti agli dei, sembrano fragili, come credere alle storie che li vogliono violenti con le ninfe sorprese da sole? Abusi, rapimenti, stupri, sembrano solo esagerazioni.
Alla giovane piace un pescatore, Glauco, un umano pensieroso e amichevole, che cambia però completamente quando Circe lo trasforma in una divinità immodesta, usando abilmente i pharmaka, su consiglio di un altro fratello, Eete, le erbe “che possono cambiare le cose”. Muta in un mostro la bella e volubile ninfa Scilla, la rende un essere ripugnante con sei teste bavose.
Così Circe diventa una pharmakis, una maga. La magia non può essere insegnata, le ha detto Eete. “La scopri da sola o non la scopri affatto”.
Gli dei non hanno nessun potere sulle capacità dei maghi, per questo, gelosi di Circe e impotenti nei confronti delle sue arti, la fanno esiliare da Zeus in un’isola deserta, dove la conduce il padre, prima ritornare col suo cocchio nei cieli a diffondere la luce sul mondo per poi tuffarsi nelle acque e dare spazio alla notte. Lei non è una ninfa dei boschi e si trova in difficoltà in un intrico di tronchi e rami, per quanto il profumo dell’erba non sia sgradevole. C’è una casa, arredata, con tutto il necessario: capisce che la punizione inflitta è la solitudine.
È lì, ad Eea, che comincia la nuova vita di debole dea, pur sempre dotata di poteri sui mortali, che si chiamino Odisseo o Dedalo, il figlio Icaro, Penelope, Medea.
La storia si avvia verso il suo centro naturale, l’incontro con Ulisse e la relazione tra i due. È un romanzo di cambiamenti, di trasformazioni, Circe offre la coppa al re di Itaca, convinta di tramutarlo come ha fatto coi suoi compagni, ma quell’uomo scaltro è stato istruito da Ermes e capovolge la situazione, minacciando di morte la maga che lo deve implorare in ginocchio di risparmiarla.
Se Circe è sconfitta, non è vinta, Ulisse sarà il suo amante. Ma ovviamente non è finita qui, considerata la lunghezza del romanzo, che non disturberà affatto i lettori, perché la narrazione è costantemente ben condotta e non stanca, con l’aggiunta di particolari irresistibili sui difetti degli dei.
C’è anche un dopo Odisseo, eccome! Il forte senso di diversità di Circe con tutti gli altri la porterà a dover compiere una scelta. Quale?
Circe
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Madeline Miller scrittrice americana nata a Boston ha studiato lettere classiche ed ha insegnato greco e latino per anni nei licei americani. La sua scrittura è lineare scorrevole dinamica descrittiva ed immersiva. Ciò che affascina è ritrovare le storie lette sui libri di scuola, analizzate sotto un’altra luce. Nella canzone di Achille come in Circe ma anche in Galatea la scrittrice ha usato i suoi studi di lettere classiche, per creare un canovaccio su cui intessere i suoi romanzi. La Miller dona le emozioni ai personaggi dei miti antichi, l’aspetto umano agli dei, li avvicina a noi per farceli comprendere e per elevarli da archetipi ad accessibili e moderni stereotipi attraverso i quali il lettore può esplorare temi moderni e difficili. Da femminista militante, con “Circe”, modernizza l’archetipo di donna che sa bastarsi e difendersi, lo rende stereotipo per la donna di oggi.
Circe è una Ninfa cioè una dea minore. Figlia di Perseide, una naiade frivola e di Elios un titano vanitoso, non è amata dai genitori e dai fratelli perché bruttina e scontrosa dagli occhi gialli e dalla voce stridula. Le divinità sono futili, crudeli, elargiscono disgrazie affinchè gli umani li venerino con sacrifici. Circe vive una infanzia in solitudine con curiosità e attrazione per gli umani. Prometeo, punito per averli aiutati, le spiega che gli umani sono tutti mortali. Per amore dell’umano Glauco che trasforma in una presuntuosa divinità, Circe sperimenta per la prima volta la pharmakia, le erbe “che possono cambiare le cose”, la magia, il potere della trasformazione, della mutazione, su consiglio dell’unico caro fratello Eete.
Così Circe dopo questo primo sortilegio inizia il suo percorso di crescita come pharmakis come maga. La magia non può essere insegnata, le ha detto suo fratello Eete. “La scopri da sola o non la scopri affatto”.
Quando Circe viene scoperta e confessa di aver eseguito il sortilegio su Glauco, gli dei che non hanno potere sui maghi, la fanno esiliare da Zeus in un’isola deserta, l’isola di Eea. Circe è sola, non è una ninfa dei boschi e all’inizio si trova in difficoltà. A pag. 88 dice "entrai in quel bosco e la mia vita ebbe inizio”. Mi ricorda: nel mezzo di cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura…. l’inizio del cammino di illuminazione di Dante.
Lei affina il potere dalla mutazione, della trasformazione, deve sperimentare per arrivare alle sue pozioni, isolata sempre più maga ma anche sempre più umana nelle emozioni. Attraverso cambiamenti, trasformazioni, Circe segue il suo percorso di crescita, “dal timore della solitudine”, dal timore verso la natura e gli animali, arriva “al piacere della solitudine”, addomestica gli animali, assapora i momenti al cospetto della natura che domina attraverso la capacità di trasformazione delle erbe.
Ermes Dedalo Medea il Minotauro e poi l’amore per Odisseo la nascita del figlio Telegono, la lotta con Scilla, l’amicizia con Penelope l’amore per Telemaco, tutto servirà a Circe per crescere ed acquisire forza. Sarà la magia a renderla libera invincibile, eppure attraverso il racconto dei suoi amori mai pretenziosi sempre paritari, dello stupro dopo il quale sarà più accorta nel rapporto con gli umani, del parto che affronterà da sola con paura e forza animale, della lotta con Scilla che affronterà come una vera guerriera, del distacco da suo figlio Telegono, che vivrà come madre accudente e matura, ed alla fine l’amore per il giovane Telemaco che le darà la felicità, apparirà sempre più umana perché capace di provare forti e contrastanti emozioni, rendendo noi lettori partecipi, coinvolti, parteggianti.
Ed ecco che alla fine lei prenderà la pozione che la renderà mortale.
Perché i mortali l’hanno sempre affascinata per l’accettazione di vivere la vita nonostante ci fosse una fine, per essere "molto più forti degli dei immortali".
Circe, avendo vissuto una vita piena, ferma sulla sua essenza vista come luce, faro da seguire, può morire in pace.
La Miller mette in evidenza tre concetti
Chi è il diverso?
è colui che in "questa società deviata", rallenta la corsa che non si adegua che è difficile da gestire che vuole di più, che ha più bisogno, colui che è fuori dalla massa e che quindi va respinto, isolato.
In una "società giusta" l’altro non è “diverso” ma ha “altre caratteristiche” che non sono un problema ma sono "una risorsa per la comunità".
La figura femminile
con Circe, la Miller ci mostra una donna libera e liberata che non ha paura della solitudine ma ne trae insegnamento che si pone di fronte all’essere maschile come essere vivente alla pari, percepisce la sorellanza, sradicando la competizione, vivendola come comunione e rispetto dell’altro, vivrà l’amore senza pretese e condizionamenti (Telemaco più giovane), vive la genitorialità come accompagnamento e supporto non come possesso.
La morte
L’ultima sua pozione sarà preparata per divenire mortale.
Perché la sua vita è stata vissuta appieno, mantenendo sempre davanti a sé il rispetto della sua essenza.
La morte per il mondo occidentale è una sconfitta. Sorprende.
Correre e "dimenticarsi della morte" è il limite dalla società occidentale.
La prospettiva che ci attende è un mondo distopico tecnicistico dove il potere è sempre più delle macchine e meno dell’essere umano, dove il ciclo della vita perde il senso.
Dobbiamo ancora sperare e lottare perché ci si possa fermare, rallentare, guardarci intorno, tornare ad apprezzare la natura e salvarla, specchiarci nel nostro vicino e ritrovarci.
Cordelia