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Storia della letteratura

“Dammi mille baci”: il celebre verso di Catullo del Carme 5 dedicato a Lesbia

In occasione della Giornata mondiale del bacio vi proponiamo un celebre carme. Il poeta latino Gaio Valerio Catullo compose un vero e proprio elogio dell'amore felice che si manifesta attraverso i baci. Scopriamo testo e analisi del celeberrimo carme “Vivamus, mea Lesbia, atque amemus” (“Viviamo, mia Lesbia, e amiamo”).

Alice Figini
Alice Figini Pubblicato il 06-07-2022
“Dammi mille baci”: il celebre verso di Catullo del Carme 5 dedicato a Lesbia

Catullo viene considerato, non a torto, il poeta d’amore per antonomasia.
Nella Giornata mondiale del bacio non possiamo non ricordare i carmi pieni di passione che il poeta latino dedicò alla sua Lesbia.

Come dimenticare gli intramontabili versi “Viviamo, mia Lesbia, e amiamo” o “dammi mille baci e ancora cento” racchiusi nel Carme 5 dedicato a Lesbia, che ormai sono entrati nell’immaginario popolare al pari di una filastrocca?

Gaio Valerio Catullo fu, a suo tempo, un rivoluzionario e un innovatore: nel suo celebre Liber cantò una storia d’amore dal suo principio sino alla conclusione, rivelando come la passione amorosa potesse essere un’esperienza centrale e determinante nella vita di un uomo.

L’amore di Catullo per Lesbia

L’amore del poeta latino per Lesbia fu tormentato e passionale. Oltretutto si trattava di un amore proibito: la donna infatti, che Catullo chiama “Lesbia” secondo l’abitudine dei poetae novi che usavano cantare le donne da loro amate con un nome fittizio, era una matrona romana sposata a un eminente politico (secondo alcune fonti si trattava di Quinto Metello Cèlere, Ndr). Il vero nome della donna, secondo le fonti, era Clodia e la ritroviamo nominata nell’orazione Pro Caelio di Cicerone che condannava apertamente la sua scostumatezza.
Il rapporto tra Catullo e Clodia era quindi condannato dalla società dell’epoca, ma il poeta latino nel suo Liber lo difende affermando di aver amato Lesbia “quanto nessuna fu amata mai” e persino “più di se stesso e di tutti i suoi”.
La dedizione appassionata di Catullo tuttavia non fu ricambiata dalla donna, che lo ripagava con costanti infedeltà facendolo patire. Per Lesbia l’amore non era che un gioco rapido e passeggero, mentre il poeta pretendeva da lei fedeltà e dedizione assoluta.
Nel suo Liber Catullo racconta le varie sfumature di una passione, dal suo momento di massimo ardore sino alla sua fine quando la fiamma d’amore si è ormai spenta.

I versi più belli naturalmente sono quelli dedicati all’amore felice, resi eterni dalla celebre frase “Dammi mille baci, e ancora cento” che è contenuta nel carme 5 del Liber dal titolo latino Vivamus, mea Lesbia, atque amemus, la cui traduzione è “Viviamo, mia Lesbia, e amiamo”.

Vediamo insieme testo e analisi del componimento.

Carme 5 di Catullo: testo

Viviamo, mia Lesbia, e amiamo
e ogni mormorio perfido dei vecchi
valga per noi la più vile moneta.
Il giorno può morire e poi risorgere,
ma quando muore il nostro breve giorno,
una notte infinita dormiremo.
Tu dammi mille baci, e quindi cento,
poi dammene altri mille, e quindi cento,
quindi mille continui, e quindi cento.
E quando poi saranno mille e mille
nasconderemo il loro vero numero,
che non getti il malocchio l’invidioso
per un numero di baci così alto.

(Traduzione di Salvatore Quasimodo)

“Viviamo, mia Lesbia, e amiamo”: analisi

Nei primi canti del Liber di Catullo trapela un’atmosfera magica e gioiosa, ammantata della gioia febbrile del primo amore. Il giovane poeta probabilmente incontrò Lesbia/Clodia nei salotti mondani di Roma dove la donna brillava per il suo fascino e la sua intelligenza. Ne rimase stregato e per lui fu l’inizio della passione divorante descritta nel Liber.
Clodia da parte sua cedette benvolentieri alla corte del giovane, consapevole che non fosse nulla più di un gioco. Per Catullo, invece, si trattava dell’opportunità di vivere un amore totalizzante accanto a una donna per lui “diversa da tutte le altre”.

Questa introduzione era necessaria per analizzare il celebre Carme 5 Vivamus atque amemus, un componimento apparentemente gioioso sul quale però si stende l’ombra di un presentimento angosciante.
L’invito di Vivamus atque amemus non è infatti a godere della bellezza dell’amore, ma a vivere nella dimensione dell’amore: l’utilizzo dei due congiuntivi esortativi posti, significativamente, ad apertura e chiusura del verso lo esemplifica.
Viene subito introdotto il distacco generazionale: l’amore e l’ardore della passione sembrano essere riservati ai giovani, mentre i vecchi condannano i loro atteggiamenti brontolando. Tuttavia, se al principio il tono è scanzonato e sembra farsi beffe della morale corrente, dal quarto verso sembra allungarsi sul canto spensierato d’amore l’ombra di un presagio.

L’amore viene posto in antitesi alla morte, secondo la contrapposizione classica tra eros e thanatos: la contrapposizione è esplicitata da una metafora cosmica. L’amore è la luce della vita ma, proprio come il sole, è destinato a tramontare condannando l’uomo a un’eterna notte. I tre brevi versi sembrano distaccarsi dal tono gioioso del componimento come un losco presagio.

Nox est perpetua una dormienda.

dice nell’originale latino Catullo con un efficace accostamento per sinalefe che ci presenta la frase come una sola temibile, paurosa parola traducibile in una sorta maledizione: “Dormiremo un’unica interminabile notte”.
Il contrasto è reso evidente dall’analogia cosmica: la luce (l’amore) è breve, mentre la notte (la solitudine) è perpetua come la morte. In una manciata di appena tre versi e nel significato di sole tre parole (soles; lux; nox nell’originale latino, Ndr) è racchiusa la consapevolezza della fugacità dell’esistenza. Simbolicamente la vita si identifica con l’amore e, dunque, di riflesso con l’evanescenza della luce.

Dal settimo verso Catullo pare destarsi, come scuotendosi da in incubo, e riprendere il tema gioioso del titolo. Viene quindi la celebre frase che oggi risuona come un ritornello:

Da mi basia mille, deinde centum.

Dammi mille baci, poi altri cento, dice Catullo. Nella ripetizione forsennata dei baci il poeta sembra annullare il fosco presagio dei versi precedenti. I baci sono l’esortazione a vivere appieno le gioie dell’amore felice. Nell’originale latino i versi sono scanditi dall’anafora di “deinde” che rafforza il concetto di ripetizione continua. Un turbine di baci che si confondono tra loro finché non diventa impossibile contarli.
I baci sembrano sottrarre, come un incantesimo, gli amanti alle coordinate spazio temporali, nel tentativo di prolungare il miracolo del loro amore nell’eternità.

Tramite la celebre frase Dammi mille baci, e ancora cento, Catullo sembra voler cristallizzare la felicità presente dell’amore, sottraendola al divenire.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Dammi mille baci”: il celebre verso di Catullo del Carme 5 dedicato a Lesbia

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