

Nell’ottava giornata del Decameron, in cui
si ragiona di quelle beffe che tutto il giorno o donna ad uomo, o uomo a donna, o l’uno uomo all’altro si fanno
si inserisce, narrata da Elissa, la novella di Calandrino e l’elitropia, una delle più divertenti e celebri dell’intera raccolta.
Il protagonista è un personaggio tipico della narrazione comica toscana che ben si adatta agli ingranaggi umoristici che sorreggono l’opera di Boccaccio, tanto da comparire in altre tre novelle e sempre accompagnato da Bruno e Buffalmacco, gli amici che cinicamente si prendono gioco di lui.
La perfetta caratterizzazione di Calandrino lo ha reso talmente popolare e iconico da farne, in pratica, il tonto per antonomasia, in letteratura e nell’accezione comune.
“Calandrino e l’elitropia”: trama della novella
Il protagonista della novella è Calandrino, un uomo stupido e credulone che viene beffato da tre burloni,Bruno, Buffalmacco e Maso del Saggio. Quest’ultimo, un chiacchierone che usa la parola per abbindolare il malcapitato di turno, riempie la testa dell’ingenuo Calandrino di fandonie: gli parla della fantomatica Bengodi, una sorta di paese della Cuccagna dove tutto è cibo e divertimento e, soprattutto, lo convince dell’esistenza di una pietra magica, l’elitropia, che sarebbe capace di rendere invisibili le persone. Inoltre, gli dice che è più vicina di quanto crede, trovandosi sul greto del fiume Mugnone.
Troppo forte la tentazione per resistere, e così lo sciocco propone a Bruno e Buffalmacco una spedizione alla ricerca del suddetto sasso miracoloso. Nella sua ottusità, Calandrino è convinto di potersi arricchire facilmente rubando poiché, ritiene, una volta che nessuno potrà vederlo gli sarà facile prendere i soldi che i "cambiatori" della città lasciano sui banchi. I due compari non perdono l’occasione di prenderlo in giro e lo accompagnano al Mugnone.
Una volta giunti sul posto, Calandrino si butta su tutte le pietre che trova, in quanto Maso non gli ha fornito alcuna descrizione precisa del minerale. Una volta che l’uomo si ritrova con le tasche piene di pietre, Bruno e Buffalmacco fanno finta di non vederlo e, con questa scusa, sulla via del ritorno lo riempiono di sassate. Tuttavia Calandrino è davvero convinto di essere diventato invisibile e rientra a casa contento.
Appena varcata la soglia, la moglie lo rimprovera per il ritardo e lui reagisce malissimo, riempiendola di botte. Per ignoranza e dabbenaggine, ma anche per un diffuso pregiudizio maschilista che associa le donne al peccato e a una morale naturalmente corrotta, il bonaccione è convinto che lei abbia spezzato l’incantesimo facendolo tornare visibile.
Fuori di sé per quanto accaduto, per sbollire la rabbia Calandrino incontra gli amici, che ovviamente fanno una gran fatica a trattenere le risate. Anzi, continuano a prendersi gioco di lui, ricordandogli che è tipico delle donne far "perdere la vertù alle cose" e che quindi prendersela con la consorte è del tutto inutile. Beffato per l’ennesima volta, il povero Calandrino si allontana e se ne va "malinconoso con la casa piena di pietre".

Recensione del libro
Il Decameron
di Giovanni Boccaccio
Calandrino: il "comico" nell’aspetto e nelle azioni del protagonista


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Calandrino, protagonista della novella, è un personaggio che ben si presta a rappresentare il comico in Boccaccio e nel Decameron, poiché la sua fisicità e il suo comportamento sono tali da scatenare il riso sia nella storia che in chi legge.
In linea di massima Calandrino è lo stupido che si crede furbo e in un certo senso merita di essere irriso. Goffo e ridicolo negli atteggiamenti, si lascia ingannare soprattutto linguisticamente da persone ben più intelligenti e colte di lui, in quanto incapace di comprendere la raffinata ironia che si cela nelle loro forbita e complessa dialettica.
L’intelletto "di grossa pasta" di cui è fatto gli impedisce di rendersi conto delle atroci beffe che subisce, incapace com’è di decodificare le parole e i concetti che sente, pertanto rovescia il mondo che gli sta intorno (ad esempio quando viene preso a sassate e resta convinto di essere invisibile) e alla fine se ne estrania, come si evince dal comportamento che ha nei confronti dell’incolpevole moglie o nella granitica stoltezza che dimostra sino alla fine, non riuscendo mai a comprendere di essere stato ingannato.
Tuttavia il dileggio, in tal caso e come sempre accade nel Decameron, serve a ristabilire l’ordine sociale che Boccaccio ritiene giusto: Calandrino è il tipico provinciale da poco arrivato in città, quindi poco astuto e rozzo, capace solo di far ridere il prossimo, mentre chi è dotato di intelligenza e cultura occupa un livello sociale ed etico più elevato.
Gli altri personaggi della novella: Bruno, Buffalmacco, Maso e Monna Tessa
Come è nel tipico stile di Boccaccio e del Decameron in particolare, attorno al protagonista Calandrino ruota tutta una serie di personaggi dai tratti molto ben definiti e un mondo vivace, ricco di contrasti e sfaccettature.
Queste le caratteristiche essenziali delle personalità presenti nella novella:
- Bruno, Buffalmacco e Maso, nonostante un intelletto e una cultura di gran lunga superiori a quella della loro vittima, presentano anch’essi tratti negativi evidenti, che tutto sommato non li rendono chissà quanto migliori di Calandrino. Sono sostanzialmente dei perdigiorno e hanno una moralità decisamente scarsa, non solo perché si divertono a fare burle ai limiti della crudeltà ma anche per il fatto di non riuscire a darsi un limite. Quando lo scherzo si trasforma in dramma, continuano a ridere e non rivelano nulla a Calandrino, mostrando tutta la propria pochezza;
- Monna Tessa è la moglie di Calandrino, unico personaggio positivo della novella e vittima dell’altrui stupidità, quella del marito innanzitutto, ma anche dei suoi degni compari. Nel voler leggere la storia in maniera più ampia, Tessa è oppressa dal maschilismo imperante della società in cui vive, dove le donne sono relegate ai margini e spesso maltrattate senza motivo, in balia dei voleri e degli umori di coniugi, padri e fratelli.
La realtà dietro la fantasia nella novella di Boccaccio
I personaggi della novella, tipici della tradizione letteraria comica toscana, si ispirano ad altrettanti uomini realmente esistiti e vissuti nel Medioevo.


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Calandrino è il soprannome di Giannozzo di Perino, un modesto pittore formatosi probabilmente alla scuola fiorentina del maestro Andrea Tafi e famoso per la sua proverbiale dabbenaggine. Egli compare, con le medesime caratteristiche, ne Il Trecentonovelle di Franco Sacchetti (1332-1400) e nelle Vite del Vasari (1511-1574).
Per quanto riguarda la coppia di sodali che si prende gioco del protagonista, Bruno è il pittore trecentesco Bruno di Giovanni, mentre Buffalmacco è Bonamico di Cristofano, pittore anche lui e forse autore degli affreschi che adornano la chiesa di Badia di Firenze e del Duomo di Arezzo oltre che del Trionfo della Morte al Camposanto di Pisa.
“Calandrino e l’elitropia”: analisi del testo
Calandrino e l’elitropia è considerata a ragione una delle novelle più riuscite del Decameron, un piccolo capolavoro perfetto sia dal punto di vista formale e stilistico che contenutistico.
Il racconto poggia su un impianto narrativo lineare in cui il linguaggio semplice, a volte popolare e dialettale nonché frequentemente dialogato, aiuta la lettura, rendendola fluida e scorrevole. Gli avvenimenti descritti, inoltre, basati su scenette comiche e divertenti, si susseguono ad un ritmo incalzante, in grado di coinvolgere il pubblico dall’inizio alla fine in un crescendo di battute esilaranti e situazioni grottesche che destano riso e allegria.
Dal punto di vista del contenuto, l’incipit condensa le informazioni di base della vicenda, della quale si apprende che si svolge a Firenze in un periodo trascorso da poco coinvolgendo “l’uom semplice” Calandrino e gli “uomini sollazzevoli molto” Bruno e Buffalmacco. Dunque all’inizio della novella si scoprono già il contesto, l’epoca e i protagonisti, con relative peculiarità, della storia.
La collocazione temporale, in particolare, è piuttosto precisa, poiché in un passaggio troviamo Calandrino che ammira i bassorilievi della chiesa fiorentina di San Giovanni, realizzati da Lippo di Benivieni nel 1313.
Per quanto concerne la struttura, la novella si divide in tre blocchi narrativi distinti:
- antefatto, costituito dal colloquio fra Maso e Calandrino, che segna l’inizio della beffa che si consumerà a danno di quest’ultimo di lì a poco;
- atto, spedizione del gruppetto di amici alla ricerca dell’elitropia e il suo finto ritrovamento;
- conclusione, con il protagonista che, rientrando a casa, vede svanire ogni illusione senza che venga mai a conoscenza dello scherzo che ha subito.
L’uso del linguaggio burlesco per amplificare l’effetto comico della narrazione
Per amplificare la comicità del racconto, Boccaccio utilizza le tecniche retoriche e stilistiche proprie del linguaggio burlesco, che consiste principalmente nel ricorso a nomi fantasiosi di posti immaginari (Bengodi, ad esempio, parola formata da "ben" e "godi", rende immediatamente l’idea di un luogo in cui tutto è piacere). Di queste località inventate, tuttavia, lo scrittore dà una descrizione geografica minuziosa e ricca di particolari, in quanto proprio attraverso questo voluto e riuscito contrasto fra realismo e finzione i discorsi assurdi rivolti a Calandrino assumono, alle orecchie ingenue di costui, l’unico a essere talmente tonto da poterci cascare, un’aura di credibilità.
Il linguaggio farsesco, inoltre, si completa di termini di nuovo conio (ad esempio "millanta"), iperboli, parole illogiche, frasi apparentemente prive di senso, equivoci, vocaboli arcaici e popolari, al preciso scopo di amplificare l’effetto umoristico della storia.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Calandrino e l’elitropia”: riassunto e analisi della novella di Boccaccio
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