Composta il 4 dicembre 1934, Bellezza è una delle più intense liriche di Antonia Pozzi, la poetessa “triste” del nostro Novecento, come la definì Eugenio Montale che la scoprì postuma. Una poesia che si configura come un dono, sin dal primo verso “Ti do me stessa”; l’atto del donarsi era ricorrente nella scrittura di Pozzi.
In una lettera all’amico Dino Formaggio, nella quale la poetessa includeva alcune fotografie da lei scattate, scriveva:
“Tu dici che nelle mie fotografie si vede la mia anima e allora eccotele”.
Nelle immagini l'anima. Antologia fotografica. Ediz. ampliata
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Antonia nutriva una grande passione per la fotografia: fotografava paesaggi (la campagna lombarda, i Navigli di Milano, gli altopiani innevati), oggetti e persone, soprattutto volti di bambini e di vecchi; e, anche se nella maggior parte di questi poetici scatti in bianco e nero lei è assente, in realtà sembra essere presente in tutti.
Lei è l’occhio che vede e seleziona, cattura l’esistente per donargli una durata che si prolunga oltre l’attimo. Travasava la propria bellezza interiore in ciò che vedeva: “Nelle immagini l’anima”, come suggerisce il titolo di un’altra sua celebre raccolta postuma edita da Ancora Edizioni che include fotografie e poesie. Le altre sue passioni ardenti erano la montagna (molte le liriche dedicate ai monti, da Dolomiti ad Acqua alpina) e i viaggi: nella sua pur breve vita aveva viaggiato molto, visitando l’Inghilterra, l’Africa e la Grecia.
Bellezza fu scritta a inizio dicembre, una data che già configurava un destino: la breve, intensissima, esistenza di Antonia Pozzi si sarebbe chiusa proprio nel mese di dicembre in un giorno innevato nei pressi dell’Abbazia di Chiaravalle. Era il 2 dicembre 1938 quando il corpo della giovane ventiseienne venne ritrovato esanime nella neve, accanto a lei un biglietto inequivocabile in cui parlava di “disperazione mortale”.
Quelle ultime parole, scritte sempre in un giorno di dicembre, stridono se accostate ai versi epifanici di Bellezza, in cui Antonia formula visioni di puro respiro portandoci sulle vette della vita, in cima alle sue amate montagne che si fanno metafora vertiginosa di immensità e - trascinandoci in un moto che sembra folle volo - nel profondo di abissi che non sono che il rovescio del cielo.
Bellezza è un inno all’unicità, alla rarità e allo splendore di ogni creatura, come sancisce l’ultima strofa:
“E tu accogli la mia meraviglia di creatura”.
L’atto stesso del vivere comporta un dono ed è quanto Pozzi ricorda in questi versi, come del resto aveva scritto al suo professore di greco e latino, Antonio Maria Cervi, in una lettera:
È terribile essere donna e avere diciassette anni. Dentro non si ha che un pazzo desiderio di donarsi.
Non si sa chi sia il dedicatario della poesia Bellezza, ma è possibile che sia lo stesso professor Cervi che, proprio nel 1933, fu allontanato dal padre di Antonia, Roberto Pozzi, intenzionato a ostacolare l’affetto profondo provato dalla figlia nei suoi confronti. Lei non si sarebbe rassegnata, avrebbe continuato a scrivere lettere appassionate a Cervi sino a poco prima della sua morte; spesso l’“amore impossibile” e contrastato per il professore di Lettere viene annoverato tra le possibili cause del suicidio di Antonia.
La data di stesura di questa poesia, posta a suggello del testo, 4 dicembre 1934, ci suggerisce che possa essere proprio Antonio Maria Cervi l’ignoto dedicatario, il misterioso “tu” cui la poetessa si rivolge e che ora abbraccia ogni lettore.
Vediamone testo, analisi e commento.
“Bellezza” di Antonia Pozzi: testo
Ti do me stessa,
le mie notti insonni,
i lunghi sorsi
di cielo e stelle – bevuti
sulle montagne,
la brezza dei mari percorsi
verso albe remote.Ti do me stessa,
il sole vergine dei miei mattini
su favolose rive
tra superstiti colonne
e ulivi e spighe.Ti do me stessa,
i meriggi
sul ciglio delle cascate,
i tramonti
ai piedi delle statue, sulle colline,
fra tronchi di cipressi animati
di nidi –E tu accogli la mia meraviglia
di creatura,
il mio tremito di stelo
vivo nel cerchio
degli orizzonti,
piegato al vento
limpido – della bellezza:
e tu lascia ch’io guardi questi occhi
che Dio ti ha dati,
così densi di cielo –
profondi come secoli di luce
inabissati al di là
delle vette –(4 dicembre 1934)
“Bellezza” di Antonia Pozzi: analisi e commento
In questi versi l’estrema sensibilità di Antonia Pozzi raggiunge il proprio massimo livello di espressività e splende, come una gemma, sopra ogni cosa. La poesia Bellezza procede per elencazione scomponendo il termine posto a inizio di ogni strofa, ripetuto anaforicamente, “me stessa”, in una miriade di elementi naturali.
Attraverso l’identificazione metaforica con il paesaggio Antonia dilata il proprio essere in una pluralità di immagini vivide: cielo e stelle, la brezza dei mari percorsi, albe e tramonti, mostrandoci quanta immensità sia racchiusa nella vita di ciascuno di noi e quanto questa bellezza che talvolta non vediamo contribuisca a renderci unici, a fare di noi degli esseri rari e preziosi.
Dopo essersi scomposta in un’enumerazione per asindeto, ripercorrendo tutti i luoghi da lei visitati e le immagini da lei vedute in una rappresentazione molto fotografica, ecco che Antonia Pozzi si ricompone nello sguardo di chi la ama, ricongiungendosi nella sua:
La mia meraviglia di creatura.
Una “meravigliosa creatura” che ha l’essenza fragile e limpida della bellezza: è come uno stelo che trema al vento - con questa immagine Pozzi sembra simboleggiare la caducità della vita - e si colloca nel cerchio degli orizzonti che suggerisce la vastità inesplorabile del mondo in grado di inglobare e comprendere in sé il singolo. Quanta bellezza è contenuta in una singola vita: questo il messaggio finale della poesia di Pozzi che ci lascia attoniti e stupefatti, commossi e grati.
Nell’ultima strofa avviene il passaggio dall’io al tu, quando l’immensità dell’io si riverbera nel tu:
e tu lascia ch’io guardi questi occhi
che Dio ti ha dati,
così densi di cielo –
Ed è solo allora che il dono è veramente compiuto, quando avviene lo scambio d’anime tra l’io e il tu, l’unicità dell’uno si riverbera nell’unicità dell’altro attraverso l’attimo irripetibile in cui due occhi si guardano - e si riconoscono, come non si erano mai conosciuti. Questa è la vera Bellezza, a volte dura solo un momento, ma la perfezione racchiusa in quell’istante di cristallino splendore, basta a sancire l’immortalità di una vita. È una sensazione che si riverbera come un’eco, tutta contenuta nel muto splendore dell’intesa, ed così profonda da dare significato a un’intera esistenza.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Bellezza”: la poesia di Antonia Pozzi dedicata a Antonio Maria Cervi
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