

Alla riscossa! Emozioni e politica nell’Italia contemporanea
- Autore: Stefano Pivato
- Genere: Politica ed economia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2025
L’abito fa il monaco, e pure l’attivista politico. Look sgarrupato o - di contro – mise da proto-fighetto, nell’immaginario emotivo del lungo Sessantotto italiano sono contate più di un breviario di Lenin o di un compendio di Julius Evola. Fungevano da collante, da segno distintivo ideale. Senza contare il cromatismo vessillifero nelle fiumane dei cortei, come nelle adunate segrete e complottarde: bandiere rosse o nere, nelle varianti rosse con falce e martello, castriste, maoiste; nere con fiamma tricolore, o svastica nazi di ariana memoria (si parva licet). Storie da un altro mondo e di una diversa antropologia sociale: oggi come oggi anche la casalinga di Treviso veste Prada (taroccati, oppure a rate, s’intende), e i calciatori sfoggiano barbe di segno modaiolo-disideologico. Anche i nomi di movimenti e partiti politici risultano discutibili derivati da un populismo comunicativo di impatto immediato quanto a-culturale. Valgano gli esempi del mazzinismo trash di Forza Italia, Fratelli d’Italia, Italia Viva, Azione, e dell’orrido qualunquismo del Movimento Cinque Stelle, eponimo di una militanza che trae spunto dalla certificazione doc degli alberghi di lusso (Sic! Sob!). In un paragrafo dell’articolata indagine storica sulle mutazioni del comparto simbolico della politica italiana ( Alla riscossa! Emozioni e politica nell’Italia contemporanea, il Mulino, 2025), Stefano Pivato si sofferma persino su Barbe e pizzetti che furono, habitus distintivo di borghesismo e ribellismo nel corso sociale della storia. Scrive:
Nel corso della storia portare barba e baffi ha assunto diversi significati. Generalmente ritenuti espressione di virilità, dall’età moderna in poi essi hanno palesato anche appartenenze politiche. Durante l’Ottocento, presso le classi borghesi, stanno a testimoniare l’adesione agli ideali risorgimentali. In anni più tardi quella moda continua, sia come nostalgico legame all’epopea di Garibaldi e di Mazzini sia come segno distintivo di appartenenza alla massoneria.
E qualche pagina dopo, per venire ad anni più recenti, e alle divise caratterizzanti il movimentismo politico del lungo Sessantotto:
[…] tra la fine del 1967 e l’inizio del 1968 è il movimento degli studenti a lanciare la sua sfida contro l’autoritarismo del mondo adulto. L’irriverente antiautoritarismo nei confronti dei padri si esprime anche attraverso l’abbigliamento […] Il rifiuto di una moda che per anni aveva espresso attraverso il modo di vestire la rispettabilità borghese conduce la generazione giovanile di quegli anni a scoprire i mercatini dell’usato. I maschi smettono di indossare giacca e cravatta e il loro posto è preso dai jeans. In luogo dei capelli corti compaiono sui volti dei giovani contestatori barbe e capelli lunghi. Fazzoletti, bandane e sciarpe, rigorosamente rossi, completano l’abbigliamento della contestazione. Ma il capo che più di ogni altro caratterizza il guardaroba giovanile di quegli anni è l’eskimo.
Gaber e Guccini (peraltro citati nel testo) ci scrivono sopra, e gli operai delle fabbriche occupate dell’epoca indossano a loro volta il famigerato capo di abbigliamento. Prendete nota: al netto della simbologia politica, l’eskimo era comodo e non griffato come i modelli attuali. Storie di un altro tempo e un altro spazio sociali che Pivato rivanga attraverso situazioni topiche dell’immaginario emotivo della politica che fu - rivoluzione francese, risorgimento italiano, resistenza e fascismo italiani, la folla oceanica ai funerali di Togliatti e Berlinguer –, antitesi al grado zero di un’attualità che degli antichi fervori simbolizzati dai look ha mantenuto, in fondo solo quest’ultimi (Da Elly Schlein a ‘Madame Vero’).
Idealmente compreso all’interno di due passaggi storici ideali - la Rivoluzione francese (1789) da cui discendono forma e contenuti della politica moderna (rimpiazzo dell’araldica tradizionale coi simboli di libertà, uguaglianza, fraternità) e il nefasto (l’aggettivo è mio) crollo del Muro di Berlino (1989) che sancisce la fine delle grandi ideologie, e con esse la fine della storia (F. Fukuyama) - Alla riscossa! palesa uno sguardo giocoforza retroverso, concentrato cioè sugli anni e i giorni in cui la politica parlava ai cittadini, e questi ci credevano. Gli intellettuali maturando le proprie idee attraverso la lettura, le masse, dal canto loro, attraverso un’emotività sollecitata da simboli che restituivano un senso di appartenenza. A veicolarlo colori, canzoni (patriottiche, operaiste di lotta), capelli e vestiario meta-significante (i capelloni trasandati degli anni Sessanta/Settanta), persino un’onomastica omaggiante gli eroi della Causa (nera o rossa che fosse), trasferita ai nascituri. Stefano Pivato vaglia il tutto con dovizia analitico-informativa, licenziando un saggio indispensabile per gli attuali tempi di crisi, tempi afasici dove una politica senza ideali ha ucciso in primo luogo la passione.

Alla riscossa!. Emozioni e politica nell'Italia contemporanea
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