In occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia ricordiamo l’intenso rapporto tra Achille e Patroclo narrato da Omero nell’ Iliade.
A lungo la relazione ambigua tra l’eroe e l’amico compagno d’arme è stata oggetto di diatribe, persino tra gli studiosi, sin dai tempi antichi. Erano amici, oppure amanti?
Nelle edizioni scolastiche del poema omerico si è privilegiato per molto tempo la definizione di “amicizia speciale” per descrivere il rapporto tra i due: sin dalle scuole medie viene insegnato agli studenti che Patroclo era il migliore amico di Achille, ed è innegabile che l’episodio della Morte di Patroclo sia uno degli eventi cardine nella trama dell’Iliade. L’uccisione del compagno scatena l’ira di Achille “Il Pelide” contro i Troiani e la sua sete di vendetta implacabile che lo porterà all’uccisione di Ettore e allo scontro finale con Priamo. Dopo la morte dell’eroe, che non viene narrata nell’Iliade, il suo corpo sarà cremato e le sue ceneri unite a quelle di Patroclo, chiuse e mischiate nella stessa urna, perché stiano per sempre insieme.
L’amicizia tra i due è stata tuttavia privilegiata da molte narrazioni, tra cui il film cult Troy (2004) con protagonista Brad Pitt nel ruolo di Achille che doveva esaltare il lato virile dell’eroe e quindi mostra il legame con Patroclo in chiave amicale e familiare, suggerendo che i due fossero parenti.
A lungo, per diverse ragioni, si è taciuto riguardo la presunta omosessualità di Achille, che di recente è stata sdoganata anche grazie al successo del bestseller di Madeline Miller, La canzone di Achille, dove l’amore tra Achille e Patroclo rappresenta la trama principale della storia.
Analizziamo più approfonditamente il rapporto tra i due eroi omerici.
Achille e Patroclo: amicizia o amore?
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Certo non sfuggono gli accenti amorosi con cui Achille si rivolge al compagno e la buia disperazione con la quale reagisce alla notizia della sua morte. Sull’eroe, è scritto dell’Iliade, cadde una “densa nube di dolore” e Achille iniziò a straziarsi la chioma con le proprie stesse mani.
L’eroe mandò un urlo spaventoso: lo sentì la divina madre
che stava seduta nelle profondità marine accanto al vecchio genitore
e prese subito a lamentarsi.
Chi ha fatto studi classici sa bene che la cultura greca contemplava l’omosessualità, soprattutto in ambito guerriero: Achille e Patroclo nell’Iliade sono spesso descritti come “hetairoi”, ovvero “compagni d’arme”; durante le campagne militari, gli uomini erano costretti a trascorrere lunghi periodi senza donne e a convivere negli accampamenti ed erano soliti intrecciare relazioni tra loro.
La pederastia, inoltre, nella Grecia Antica era una pratica istituzionalizzata: era prassi comune nel rito di passaggio dalla giovinezza all’età adulta che un ragazzo avesse un maestro più maturo, sia educatore che amante.
La relazione tra l’eròmenos (adolescente) e l’erastès (l’adulto) rappresentava un vero e proprio rituale nella formazione del “buon cittadino” e del “valido guerriero”; dopodiché il giovane solitamente contraeva un buon matrimonio con una donna e il maestro rimaneva nell’ombra. Le donne, tuttavia, nella concezione dell’epoca avevano spesso un ruolo puramente passivo: lo scopo dell’amore tra uomo e donna era la procreazione, mentre la relazione che si instaurava tra uomo e uomo aveva una finalità diversa, legata alla crescita e all’esperienza.
Ritroviamo lo stesso riferimento nel Simposio di Platone, in particolare nel discorso di Fedro in omaggio a Eros come “sovrano degli dei” che, nominando le coppie celebri esempio di vero amore, cita Orfeo ed Euridice, Alcesti e il marito Admeto, infine Achille e Patroclo che definisce, senza troppi giri di parole, come amanti.
Secondo quanto dice Fedro, Achille era l’eròmenos e non l’erastès, in quanto era più giovane di Patroclo; in questo contraddice Eschilo che invece sosteneva il contrario.
Il discorso di Fedro insomma è la risposta alla sempiterna domanda e ci fornisce anche una nobilitazione di Achille - che agì in nome di Amore - senza alcun imbarazzo. Fedro anzi afferma che l’amore omosessuale è la più nobile forma d’amore, perché è l’amore più puro, non avendo come fine la procreazione ma solo l’amore stesso.
Perché [ …] preferì scendere in campo per Patroclo, per l’amico che amava e vendicarlo e morire per lui.
Questo sacrificio rende onore alla fama di Achille “Il Pelide”, cui sarà concessa una vita dopo la morte nelle isole dei Beati, sottolinea Fedro affermando che gli Dei lo preferirono ad Alcesti perché:
“Colui che ama è cosa più divina di chi si lascia amare, perché un dio lo possiede”.
La morte di Patroclo narrata nell’Iliade
La morte di Patroclo, narrata nel XVI libro, è uno degli episodi chiave dell’Iliade, perché gravido di conseguenze. Troviamo l’eroe vestito con le armi di Achille, deciso a provocare la fuga dei nemici Troiani. Il guerriero si lancia per tre volte all’assalto compiendo una strage, tuttavia, alla quarta volta, gli viene incontro il dio Apollo che lo colpisce alle spalle. Patroclo viene ferito da un altro guerriero, Euforbo, perde l’armatura; a questo punto, mentre è ferito e disarmato, gli si avvicina Ettore che lo trafigge con la spada. Il colpo fatale non giunge subito: il figlio di Priamo, una volta riconosciuto il guerriero, tiene un discorso in cui ribadisce il suo legame con Achille.
Pazzo! Achille, per forte che sia, non ti potrà proteggere
Prima di morire, Patroclo, sfinito, con un filo di voce, riesce a formulare l’amara profezia, annunciando a Ettore che morirà per mano di Achille. Le sue ultime parole contengono il nome dell’amico-amante in un ultimo elogio formulato in suo onore.
Cadrai per mano d’Achille, dell’Eacide perfetto.
Poi Omero ci racconta che “la morte gli avvolse le membra” e lo portò nell’Ade. La vita di Patroclo vola via, piangendo il suo destino, la perdita della giovinezza e della forza. L’autore dell’Iliade fa sì che le ultime volontà di Patroclo siano riservate al compagno: non prova pena per sé, non piange il suo ingiusto destino, ma pronuncia un’ode in nome dell’amante.
La reazione di Achille alla morte di Patroclo non è, d’altro canto, meno intensa. Dopo aver appreso la notizia da Antiloco, l’eroe cade nella disperazione più nera. Si strappa i capelli, si rotola nella polvere, lancia un urlo disumano. A questo punto, richiamata dal pianto del figlio, emerge dal fondo del mare la madre Teti che gli domanda le ragioni del suo grande dolore.
Dolcemente la madre domanda al figlio: “Creatura, perché piangi?” Al che Achille risponde pronunciando parole piene di vendetta e ribadendo il grande amore che lo legò al perduto Patroclo:
Ma che dolcezza è per me, s’è morto il mio amico,
Patroclo, quello che sopra tutti i compagni onoravo,
anzi alla pari di me? L’ho perduto! Ed Ettore che l’ha ucciso
l’armi giganti ha spogliato, meraviglia a vederle,
bellissime
Nelle parole di Achille è già contenuto il suo destino: la vendetta dell’amico, l’uccisione di Ettore e la propria stessa morte. Rivolgendosi alla madre l’eroe dice: “il cuore non mi spinge a vivere, a stare tra gli uomini”, Achille sente di essere già morto dentro dopo la scomparsa di Patroclo, ha perduto la voglia di vivere. Queste parole che trasudano disperazione sono anche una dichiarazione d’amore struggente. Achille sente forte il senso di colpa, perché il compagno è morto mentre indossava la sua armatura divina, che era destinata a proteggerlo. Nulla potrà guarire la sua angoscia; dal momento che Patroclo è morto, sente di essere destinato a morire anche lui.
Achille e Patroclo come Ettore e Andromaca
La madre Teti comprende la pena d’amore del figlio. Quando Achille sarà ucciso per mano di Paride sarà la stessa Teti a incidere il nome di Patroclo sull’urna cineraria del figlio, perché i due possano riposare per sempre insieme e lo spirito di Achille - che aveva scelto la morte per amore - trovi finalmente pace.
Rileggere l’Iliade di Omero con piena coscienza del sentimento che univa Achille e Patroclo dona all’intera opera una luce diversa. Il legame tra Achille e Patroclo può essere letto alla stregua di quello tra Ettore e Andromaca, che erano marito e moglie: la pena di Achille per la morte del compagno non è meno straziante di quella provata dalla troiana Andromaca, rimasta vedova. Il parallelismo è così evidente, in un’opera scritta nell’VIII secolo prima di Cristo, da far riflettere: non c’era alcuna distinzione tra amore omosessuale e amore eterosessuale, i sentimenti provati erano identici. Omero narra i due lutti allo stesso modo, senza badare al fatto che una coppia fosse formata da due uomini e l’altra da uomo e donna, né che i primi fossero nemici dei secondi. L’Iliade di Omero è un poema di guerra che parla di pace e, soprattutto, narra l’amore senza distinzioni di sesso. Il lettore comprende l’amore di Achille per Patroclo così come quello di Andromaca per Ettore.
Forse, se oggi leggessimo l’Iliade con la giusta attenzione e la dovuta empatia, non sarebbe neppure necessaria una giornata contro l’omofobia. Era già tutto scritto da millenni.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Achille e Patroclo: l’amore omosessuale narrato nell’Iliade di Omero
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