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Quando Einaudi rifiutò “Se questo è un uomo” di Primo Levi. La controversa storia editoriale

Nel 1947 l'esordio letterario di Primo Levi fu rifiutato da Natalia Ginzburg e Cesare Pavese, all'epoca redattori della casa editrice Einaudi. Ripercorriamo la complessa storia editoriale di "Se questo è un uomo".

Alice Figini
Alice Figini Pubblicato il 27-01-2022
Quando Einaudi rifiutò “Se questo è un uomo” di Primo Levi. La controversa storia editoriale

Primo Levi a lungo fu considerato un outsider dalla società letteraria. D’altronde non era uno scrittore di mestiere, ma di professione faceva il chimico, inoltre i suoi libri venivano relegati sotto la dicitura di “testimonianze memorialistiche” che in parte ne screditava il valore. Ripercorriamo insieme la storia della pubblicazione di Se questo è un uomo.

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È il 1947 quando Primo Levi, dopo due anni di scrittura febbrile, si decide a consegnare il proprio manoscritto Se questo è un uomo alla prestigiosa casa editrice torinese Einaudi. Poco tempo dopo, una lettera scritta su carta intestata comunicava all’autore con un tono professionale quanto perentorio che il manoscritto non era stato ritenuto idoneo alla pubblicazione. Ma chi fu a scrivere quell’anonima lettura di rifiuto? L’aspetto più sorprendente è che si trattava di un nome noto della letteratura italiana: una scrittrice raffinata e di origine ebraica.

Il rifiuto di Natalia Ginzburg

Molti anni dopo si scoprì che l’artefice del rifiuto di Se questo è uomo era stata nientemeno che la scrittrice Natalia Ginzburg. La conferma venne dallo stesso editore Giulio Einaudi durante un’intervista tv:

È stata Natalia Ginzburg a leggerlo. Il ricordo del nazismo, delle persecuzioni, della Shoah era ancora troppo bruciante. Natalia aveva perso il marito poco tempo prima, nel gennaio del 1944.

In seguito, quando la faccenda divenne ormai nota, Ginzburg stessa si difese dalle accuse sostenendo che la prima bocciatura al manoscritto di Levi era venuta da Cesare Pavese, all’epoca editor di punta di Einaudi.
Pavese, riferì Ginzburg nella sua testimonianza, sostenne che erano già usciti troppi libri sui campi di concentramento e che forse sarebbe stato meglio aspettare a pubblicarne un altro. Dopo una lettura veloce e disinteressata, Ginzburg gli diede ragione, salvo poi auto-accusarsi anni dopo affermando: "Siamo stati dei colpevoli imbecilli."

Furono dunque due gli illustri scrittori che rifiutarono un libro-capolavoro divenuto un’opera di culto della narrativa italiana. Se fosse stato per Natalia Ginzburg e Cesare Pavese Se questo è un uomo non avrebbe mai visto la luce. Per fortuna Primo Levi non si arrese e decise di andare oltre quel perentorio “no” da parte di Einaudi.

La storia editoriale di Se questo è un uomo

Primo Levi trovava in quel libro di testimonianza sofferta una nuova ragione di vita. Vivere per raccontare, farsi testimone della Storia. Il rifiuto di Einaudi quindi gli dispiacque, ma non lo scalfì più di tanto.
Levi consegnò il manoscritto a un amico, Silvio Ortona, un ebreo che lavorava per un giornale comunista di Vercelli. I primi cinque capitoli di Se questo è un uomo comparvero quindi su un giornale vercellese, L’Amico del Popolo, con il primo titolo scelto dall’autore Sul fondo. Furono i cittadini della città di Vercelli dunque i primi lettori di Se questo è un uomo.

L’autore si rivolse in seguito alla piccola casa editrice torinese De Silva, diretta da Franco Antonicelli. Antonicelli accettò il manoscritto, vi vide ciò che evidentemente Ginzburg e Pavese non vi avevano visto, ma decise di cambiargli il titolo.

Al posto del titolo originale I sommersi e i salvati,, Antonicelli decise di optare per Se questo è un uomo, suggerito da Renato Zorzi. Il titolo riprendeva inoltre la prima riga di Shemà, la poesia scritta da Primo Levi e posta in apertura del romanzo, che rimandava alla più celebre preghiera della liturgia ebraica.

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Il libro fu pubblicato in una tiratura limitata di 2500 copie, nell’autunno del 1947. Non fu un successo immediato, tuttavia riscontrò il favore di Italo Calvino che ne scrisse una recensione entusiasta su L’Unità definendolo “il più bel libro testimonianza sulla Shoah”.
Tuttavia di quelle prime 2500 copie molte rimasero invendute. Le oltre 600 copie rimaste vennero riposte a Firenze in un magazzino di libri invenduti e andarono perse nell’alluvione del 1966. Nel 1952 Einaudi, nonostante i pareri positivi della critica, si rifiutò nuovamente di pubblicare il libro considerandolo una perdita a livello commerciale.

Solo dieci anni dopo la prima edizione, nel 1958, finalmente Einaudi decise di dare a Se questo è un uomo una chance pubblicandolo, con notevoli integrazioni e varianti, nella collana I saggi.

Nella nuova prefazione, Primo Levi riassunse in questi termini la difficile storia editoriale del suo romanzo autobiografico:

Se questo è un uomo è un libro di dimensioni modeste, ma, come un animale nomade, ormai da quarant’anni si lascia dietro una traccia lunga e intricata.

Il parere di Giulio Einaudi su Se questo è un uomo

Nel libro-intervista Colloquio con Giulio Einaudi di Severino Cesari, l’editore torinese giustifica così la travagliata pubblicazione del capolavoro di Primo Levi:

Forse in quel tempo di aspro dopoguerra la gente non aveva molto desiderio di tornare con la memoria agli anni dolorosi appena terminati.

Inoltre Giulio Einaudi attribuisce il ritardo della pubblicazione nei primi anni Cinquanta alla crisi economica che aveva colpito la casa editrice in quel periodo.
Stampato da Einaudi nel 1958 in duemila esemplari, Se questo è un uomo fu ristampato nel febbraio del 1960 in altri duemila, e ancora in duemila copie nel 1963. Dopo il ’63 la svolta, il libro ebbe un successo inatteso iniziando a vendere oltre 25.000 mila copie l’anno mantenendo l’alta percentuale di vendite sempre pressoché immutata.

Giulio Einaudi, nell’intervista del 1991 con Severino Cesari, commentò con queste parole le ragioni del successo:

Un successo dovuto alla collocazione del libro in una collana di narrativa, dove pubblicammo contemporaneamente La tregua, il racconto picaresco del ritorno da Auschwitz, accolto subito con favore dal pubblico, che accese l’interesse per lo scrittore.

Il grande editore torinese riassunse in questi termini le ragioni del successo del maggior memoriale italiano sulla storia dell’Olocausto. Forse con queste parole Giulio Einaudi voleva in parte motivare la mancata pubblicazione del libro molti anni prima e così auto-assolversi da una presunta mancanza di fiuto editoriale.

In ogni caso la controversa storia della pubblicazione di Se questo è un uomo di Primo Levi dimostra che l’editoria ha le sue ragioni, che spesso chi scrive non conosce. Ragioni che, come molti altri fatti della vita, si legano strettamente ai ritmi alterni della fortuna e del fato.
La riprova che alla domanda: “cosa rende un libro un capolavoro?” non esiste mai una risposta certa.

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Commenti: 1

  • Gloria Lai
    28 gennaio 2022, 08:50

    Interessante e chiarificatore questo articolo, che illustra le dinamiche alla base della fortuna, o meno, di un testo letterario, il cui valore è uno degli elementi in gioco.

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