

Il potere nucleare delle Forze Armate Italiane
- Autore: Vincenzo Meleca
- Genere: Politica ed economia
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2015
Armamenti non convenzionali negli arsenali militari in Italia? La risposta è un’altra domanda: ci sono ancora?
Nel territorio nazionale sono stato stoccati ordigni termonucleari. Lo rivela un saggio di Vincenzo Meleca, pubblicato a fine 2015 dalle edizioni milanesi Greco & Greco: “Il potere nucleare delle Forze Armate Italiane” (pp. 270, euro 13,00).
Meleca, appassionato di viaggi e di storia, ha firmato articoli e reportage sulle missioni dei nostri contingenti in Afghanistan e Libano, oltre a romanzi d’avventura e a carattere storico.
Parliamo evidentemente di una materia riservatissima, “classificata”, come si dice in gergo militare. Un argomento segreto anche per molti componenti delle Forze Armate, perché blindato dai vincoli presenti in specifici accordi internazionali bilaterali.
“L’Italia negli ultimi 60 anni ha ospitato centinaia di ordigni nucleari”
scrive senza giri di parole nella prefazione il generale Michele Oliva
“Ufficialmente questo arsenale non è esistito”
aggiunge, sebbene l’esigenza della segretezza abbia pesato sui Governi che si sono succeduti ed abbia esposto la politica e il Paese a più di un rischio, dall’incidente diplomatico al conflitto sfiorato.
Il lavoro di Vincenzo Meleca, avvocato giuslavorista, giornalista pubblicista e ufficiale dell’Esercito in congedo, è il risultato di una ricerca puntuale, corredata da dati tecnici sulle unità coinvolte e sugli aspetti operativi, in merito alla dotazione di munizionamento nucleare.
Il periodo di riferimento risale agli anni della Guerra Fredda, quando il contesto politico-militare affidava alle risorse militari non convenzionali il compito di bilanciare la schiacciante superiorità numerica delle armate del Patto di Varsavia. In chiave antisovietica, l’Italia intera era una grande base nucleare NATO, nell’Europa occidentale, in quegli anni.
Beninteso, le norme del trattato di pace escludevano la possibilità di dotarsi di armi “atomiche” - come si diceva allora, nel 1947 - per un Paese come il nostro uscito sconfitto dal secondo conflitto mondiale. Ma di lì a poco subentrò un aspetto a modificare lo scenario, sfumando decisamente l’interdizione: l’adesione al Patto Atlantico, l’Italia fu anzi tra i dodici Stati occidentali fondatori dell’Alleanza NATO, a Washington, il 4 aprile 1949. In questa cornice si colloca l’intesa bilaterale sottoscritta con gli Stati Uniti a fine 1954, con la finalità di articolare un sistema di difesa nucleare sul nostro territorio.
Questo ed altri accordi altrettanto segreti ebbero come conseguenza il dislocamento nel Veneto della SETAF (Task Force USA per l’Europa meridionale). Con base a Vicenza, gli Stati Uniti potenziarono il loro dispositivo militare in Italia, trasferendo decine di migliaia di militari e coinvolgendo le Forze Armate italiane in una rete difensiva complessa, anche nucleare. Esercito e Aviazione furono messe in condizione di impiegare sistemi d’arma a munizionamento nucleare. La Marina invece restò esclusa, il motivo non è tuttora chiaro.
La parentesi si chiuse con il crollo del regime sovietico, lo scioglimento del Patto di Varsavia nel 1991 e i trattati tra gli Stati Uniti e l’ex URSS di riduzione delle armi nucleari nel teatro europeo. Per l’Italia, la conseguenza fu la perdita del “potere nucleare”. Una cancellazione totale per l’Esercito, parziale per l’Aeronautica.
Autore e saggio, con il supporto di tabelle e molte foto anche a colori, entrano nel dettaglio dell’armamento nucleare e dell’organizzazione delle due Forze: ogive non convenzionali per l’artiglieria campale e missili e testate per l’Arma aerea. Uomini, armi, mezzi e apparati vennero dislocati in basi, magazzini e aeroporti a Longare nel Veneto (due battaglioni di artiglieria USA custodivano le armi nucleari tattiche), ad Aviano in Friuli, a Ghedi (Brescia).
Rampe di lancio di missili balistici Jupiter, neanche eccessivamente dissimulate, apparvero sulle modeste alture della Murgia pugliese e lucana.
Non viene trascurata la Marina Militare e si apprende che l’Arma navale studiò autonomamente la propulsione nucleare per qualche unità, subacquea e di superficie. Sotto esame anche il lancio di testate dagli incrociatori lanciamissili Garibaldi e Vittorio Veneto. Non se ne fece niente, i progetti vennero via via abbandonati, da una parte per i costi elevati e dall’altra per il timore che la tecnologia potesse finire in mani sbagliate, considerata la presenza in Italia di una forte componente politica comunista.

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