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Storia della letteratura

La Bella e la Bestia: le vere origini della fiaba

"La Bella e la Bestia" è una celebre fiaba europea diffusasi nel corso del tempo in diverse varianti. La versione più nota e standardizzata è la fiaba dell'autrice francese Jeanne-Marie Le Prince de Beaumont.

Alice Figini
Alice Figini Pubblicato il 30-12-2021
La Bella e la Bestia: le vere origini della fiaba

La prima versione della fiaba La Bella e la Bestia (La Belle et La Bête) fu pubblicata nel 1740 dalla scrittrice Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve in una raccolta di racconti per bambini dal titolo La jeune américaine, et les contes marins.
Mentre la versione, ormai standardizzata, che tutti noi conosciamo oggi risale a qualche anno più tardi, quando un’altra scrittrice francese, Jeanne-Marie Le Prince de Beaumont, nel 1756 tagliò alcune delle sotto-trame della versione originaria di Villeneuve riadattandole a una nuova storia.

La fiaba di de Beaumont fu pubblicata sulla rivista Magasin des enfants, ou dialogues entre une sage gouvernante et plusieurs de ses élèves e sarà tradotta in lingua inglese un anno dopo, nel 1757, con il titolo ufficiale The Beauty and The Beast.
Il libro ebbe molto successo nell’Europa dell’Ottocento e la fiaba, così conosciuta, è raccontata ancora oggi.

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La Bella e la Bestia: la versione di Villeneuve

La versione originale de La Bella e la Bestia di Gabrielle Villeneuve è molto più estesa di quella scritta da de Beaumont.

Villeneuve fornisce numerosi dettagli sui trascorsi familiari sia di Bella che del Principe, che saranno successivamente omessi dal racconto di Beaumont.
Nella storia di Villeneuve, Bella è figlia di un re e di una fata buona ma diventa vittima di un sortilegio indetto da una fata malvagia che intende sedurre il Re e conquistare il Regno. La madre di Bella viene dunque imprigionata e la bambina è data in figlia a un ricco commerciante, che non è a conoscenza delle sue nobili origini.
Mentre il Principe a sua volta viene stregato dalla fata malvagia che decide di vendicarsi poiché lui non corrisponde il suo amore.
Quasi la metà della storia di Villeneuve è dunque incentrata sulle guerre tra le fate e il Re. Nel finale il matrimonio tra il Principe e Bella viene infine celebrato al cospetto della regina madre del principe, del re dell’Isola Felice e di sua moglie, che viene liberata dalla prigionia.

La Bella e la Bestia: la versione di Beaumont

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Nella sua versione de Beaumont decise di omettere completamente lo sfondo familiare e tragico del racconto di Villeneuve, appianando di conseguenza anche il messaggio della scrittrice che intendeva essere una critica feroce ai matrimoni di convenienza che si usavano al tempo.
Jeanne-Marie de Beaumont riadattò la storia eliminando gran parte dei personaggi secondari e riducendo la trama a una semplicità archetipica che segue gli schemi classici della fiaba.
Nella fiaba originale di Beaumont, Bella, dolce e pura di cuore, è la terza di tre sorelle molto presuntuose e vanitose - che ricordano Anastasia e Genoveffa, le sorellastre di Cenerentola. Sono le sorelle di Bella - e non il Gaston reso celebre dall’adattamento Disney - le vere antagoniste della storia, loro che per invidia cercano di sabotare il suo amore per la Bestia.

Nel finale Bella e il Principe vissero felici per il resto della loro vita insieme al padre della ragazza, mentre le malvagie sorelle furono trasformate in statue, così che potessero assistere alla felicità altrui finché non si fossero pentite della loro cattiveria.

L’intento educativo di Beaumont

Jeanne-Marie Le Prince de Beaumont, autrice della versione più nota della fiaba, era un’aristocratica francese trasferitasi in Inghilterra nel 1745. Insegnante e scrittrice, Beaumont cercò di coniugare nelle sue storie la scrittura educativa francese dell’epoca che era votata a dare una morale all’infanzia.

L’autrice scrisse la fiaba de La Bella e la Bestia immaginandola come racconto educativo per i suoi alunni, eliminando di conseguenza molti dei dettagli scabrosi o violenti dell’originale.
Beaumont, secondo le tendenze intellettuali dell’epoca, seguiva un ideale di scrittura metafisico influenzato da alte tendenze morali. Il linguaggio della celebre fiaba è infatti sobrio e privo di ornamenti, la struttura è logica e razionale e nasconde significati profondi sulla dualità tra Bene e Male.
I protagonisti, non a caso, incarnano due elementi archetipici e opposti tra loro - come suggerisce l’antitesi manifesta tra i loro nomi. In un’interpretazione più più metafisica alcuni critici hanno scorto in Bella l’incarnazione dell’Anima che è chiamata a calarsi in una realtà più materiale, rappresentata dalla Bestia che esprime la difficile condizione umana.

Fuor di metafora La Bella e la Bestia ci racconta l’amore in grado di andare oltre le apparenze e quest’ultima è senza dubbio la morale più semplice compresa da grandi e piccini, ma anche la più bella, e ciò che davvero rende La belle et la bête una storia immortale.

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La Bella e la Bestia: le origini della fiaba

La fiaba de La Bella e la Bestia ha tuttavia origini antecedenti rispetto alle versioni scritte dalle autrici francesi.
L’archetipo della fiaba è infatti rintracciabile già nella mitologia classica della Grecia antica, nella storia di Amore e Psiche, contenuta ne L’Asino d’oro di Apuleio.

La figura della Bestia o meglio, quella di un amore in grado di andare oltre le apparenze, era già presente nella storia antica e si è sviluppata negli anni fino ad arrivare ai giorni nostri.
Nel 1550 si rintraccia una prima versione edulcorata della fiaba nel Pentamerone di Giambattista Basile, la famosa raccolta ci cinquanta novelle dal tono fiabesco in lingua napoletana. Il Pentamerone è noto anche con il nome di Lo cunto de li cunti, ovvero “il racconto dei racconti”.

La Bella e la Bestia non è dunque una storia nuova, ma un racconto archetipico che appartiene alla narrazione fiabesca fin dall’inizio dei tempi, a partire dalla tradizione orale.
Una morale profonda che gli esseri umani hanno sempre avuto cuore di tramandare per ricordare l’importanza di vedere oltre le apparenze superficiali, poiché il vero valore è spesso nascosto oltre la superficie di ciò che vediamo.

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