È considerato il “più antico tra i poeti contemporanei”. Il 29 aprile 1863 nasceva ad Alessandria d’Egitto Costantino Kavafis (in greco Konstantinos Petrou Kavafis, Ndr), un autore che è stato scoperto tardivamente, ma ci ha regalato opere dal valore immortale.
La poesia di Kavafis insegna una verità esistenziale e si nutre di tutti gli elementi cardine della lirica ellenistica classica. È una poetica introspettiva, nostalgica, che fa propria una visione tragica del destino umano e parla dell’inquietudine connaturata all’uomo.
Nel 1911, all’età di quarantotto anni, Costantino Kavafis compose la poesia Itaca, considerata il suo capolavoro.
Scopriamone testo e analisi.
Itaca di Costantino Kavafis: testo
Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
né nell’irato Poseidone incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti – finalmente e con che gioia –
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta;
più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.Sempre devi avere in mente Itaca –
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio;
senza di lei, mai ti saresti messo sulla via.
Nulla di più ha da darti.E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.(Traduzione di Margherita Dalmàti e Nelo Risi)
Itaca di Costantino Kavafis: analisi
Costantino Kavafis condusse un’esistenza solitaria e appartata, profondamente segnata dalla vergogna per la propria omosessualità. Trascorse nella città di Alessandria d’Egitto gran parte della sua vita, visitando la Grecia solo tre volte. Iniziò a scrivere poesie in età avanzata, superati i quarant’anni. Il valore della sua opera non fu riconosciuto quando l’autore era ancora in vita, anzi fu spesso svalutato con l’accusa di attaccare i tradizionali valori della cristianità, del patriottismo e dell’eterosessualità.
L’intero corpus delle sue liriche fu pubblicato postumo nel 1935, due anni dopo la sua morte.
Kavafis non si riconosceva nei panni di “anticonformista” che la società gli aveva cucito addosso: la sua poetica, in realtà, aveva origini antiche e parlava un linguaggio certamente anticonvenzionale per l’epoca, che tuttavia appariva legato a tempi remoti, arcaici, e non futuri né avveniristici. La sua era una poesia che evocava utopie, connotata da un senso onnipresente di impalpabile rimorso, e parlava del lontano con una costante tensione verso l’irraggiungibile.
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Itaca, scritta nel 1911, appartiene al secondo periodo della produzione di Kavafis quando il poeta abbandona il simbolismo per recuperare la tradizione ellenistica realizzando così i suoi massimi capolavori.
Nella lirica il riferimento al mito e alla classicità appare evidente fin dal titolo: Itaca, la terra natìa di Ulisse, la promessa universale del ritorno.
Attraverso la metafora del viaggio dell’eroe greco Kavafis narra una verità esistenziale: la navigazione di Ulisse si trasfigura così nel percorso della vita che in realtà non ha altra meta se non il viaggio.
Per questo motivo il poeta greco nella prima strofa fa un’affermazione quasi paradossale: “Devi augurarti che la strada sia lunga”. Kavafis non augura all’eroe, così come all’essere umano, di raggiungere presto la destinazione agognata: fin dall’incipit rivela che in realtà il senso del viaggio è il viaggio stesso e la miriade di accidenti, casualità e imprevisti che ne costellano il percorso.
Gli ostacoli incontrati lungo la strada assumono le sembianze di creature mitologiche, come i Lestrigoni e i Ciclopi. Kavafis invita l’uomo ad affrontare la paura, i pericoli e i dolori perché solo attraverso queste esperienze potrà conoscere veramente se stesso. Ritorna tra le righe il diktat dell’Oracolo di Delfi “Nosci te ipsum” (“Conosci te stesso”, l’iscrizione sul Tempio di Apollo di Delfi Ndr). L’eroe è chiamato ad affrontare i demoni che si annidano nel profondo della sua anima, deve provare l’inquietudine e le turbolenze del mare: il viaggio è questo, null’altro. L’autore pone l’accento sulla necessità di sperimentare ogni esperienza del viaggio: assaporarne i gusti, gli odori, annusarne i profumi, apprezzare la bellezza perfetta dei mattini di sole nitido, splendente, nell’estate.
Itaca ti ha dato il bel viaggio;
senza di lei, mai ti saresti messo sulla via.
Nulla di più ha da darti.
Cosa significa “Itaca” per Kavafis?
L’isola remota di Itaca, nel procedere dei versi, assume le vesti di un’utopia diventando non un approdo sicuro e confortevole, ma un concetto astratto. Itaca, nelle parole di Kavafis, assume i connotati immateriali, incorporei della “Saggezza”.
Nella conclusione il poeta dice: “Già avrai capito quel che Itaca vuole significare” e con queste parole enigmatiche intende che l’uomo, giunto alla fine della propria esistenza, capirà che in fondo la meta non è poi così importante. Itaca viene infine a rappresentare una tensione dell’anima verso l’alto, l’assoluto, l’irraggiungibile.
Per chi crede potrebbe trattarsi di Dio, o di una presunta divinità. Per tutti gli altri non è che una fame insaziabile di vita, di realizzazione, di compimento fine a se stessa che traduce la perenne inquietudine umana e il desiderio, costantemente inappagato, di felicità.
“Itaca” di Costantino Kavafis: commento
Mi piace pensare che la poesia voglia in qualche modo insegnarci la vita attraverso l’esaltazione dell’astratto, dei dettagli che spesso sfuggono alla nostra attenzione, dell’invisibile. Alcune poesie si prestano a tale insegnamento meglio di altre e certamente Itaca di Kavafis è una di queste.
Non contiene grandi ammonimenti, né particolari perle di saggezza, eppure dice tutto il necessario. Dà un senso all’inquietudine umana proprio affermando, paradossalmente, la necessità di abbandonarsi al destino. Ananke, dicevano i greci, identificando con questo nome la Dea del destino venerata nel tempio di Corinto che personificava la necessità inalterabile del fato.
Nella lirica di Costantino Kavafis forse Ananke ci mostra il suo vero volto: le sue sembianze, a differenza di quanto si possa credere, non sono affatto spaventose, ma rasserenanti.
Il senso della vita è nella vita stessa, vuole dirci Kavafis, e in questi versi invita l’essere umano a governare i flussi della sorte come l’eroe greco di omerica memoria, Ulisse, assettato di conoscenza e di sapere. Nella conclusione l’autore ci invita a distogliere lo sguardo dalla meta, dall’obiettivo che potrebbe trarci in inganno.
Il significato di Itaca è accogliere il viaggio per quello che è - vivere la vita così come è, ovvero come un insieme di esperienze uniche, irripetibili, casuali e caotiche che forgiano in maniera singolare e irrimediabile la nostra essenza di esseri umani.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Itaca”: la poesia di Costantino Kavafis sul senso del viaggio
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Ottimo articolo. Grazie