

Vite dimenticate. Scomparse. Dove? Quando? Perché? Le loro storie
- Autore: Lorella Chechi
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2024
Ci sono scomparsi e scomparsi. C’è chi è strappato con violenza alla sua realtà e chi si sottrae di propria volontà, scomparendo due volte, dalla vita ma prima ancora dal mondo, perché si allontana dalla società civile, si enuclea volontariamente dalla comunità civile, che sia cittadina, paesana, rurale o qualsiasi. Ce ne sono per strada, ma facciamo finta di non vederli e tanti al chiuso, ancora più invisibili. Sono gli autoesclusi, murati volontariamente in casa, sui quali posa lo sguardo Lorella Chechi, che se ne occupa - come nessuno fa, invece - in un libro per Oltre Edizioni, Vite dimenticate. Scomparse. Dove? Quando? Perché? Le loro storie (Sestri levante, luglio 2024, collana Letture del mondo, 142 pagine).
L’altomaremmana Lorella è un’insegnante cinquantasettenne, di lettere, a Grosseto. Mamma a quarant’anni passati di una bimba “meravigliosa ma faticosissima”, ha firmato nel 2018 Il paese degli orchi. Crescere una figlia difficile, sempre per Oltre.
Avverte come pressante il compito di denunciare la superficialità collettiva, che cancella la solidarietà verso gli altri.
Gli occhi guardano ma non osservano, le orecchie sentono ma non ascoltano.
Eppure, dovremmo tutti considerare un dovere sociale soffermarci sugli scomparsi e cercare di capire cosa sia successo, per il “semplice fatto” che continuerà a succedere, certamente. Splendide le sue parole: in questa società fragile e distratta, è facile svanire nel nulla. Altrettanto semplice dimenticarsi di chi vuol essere dimenticato. E dire che “esserci nel momento della necessità” non dovrebbe risultare inattuabile, per quanto complicato, tanto complicato.
Il libro è nato dalle forti emozioni scatenate da una notizia macabra. La stampa riportava: morto in casa da cinque anni, ritrovato scheletro. Una sequenza di tragici eventi aveva indotto un uomo a isolarsi completamente. Si era rinserrato silenziosamente nella propria abitazione, sentendosi ferito nel profondo. Era avvelenato dalla sua stessa rabbia, paura e vergogna. Non si prendeva più cura di sé stesso, in balia dell’alcol, fino al malore che lo ha spento. Nessuno lo aveva mai cercato o fatto cercare, anche le istituzioni non si ricordavano di lui. Solo un caso aveva indotto i vigili del fuoco a entrare, rinvenendo i poveri resti in terra, circondati da una montagna di oggetti e spazzatura.
La prima storia ha spinto Lorella a scoprirne altre, mai immaginando che ce ne fossero, “altrettanto terribili e quasi surreali”. Le ha scovate, l’hanno segnata, le racconta qui, con una prosa tanto sensibile e partecipata. Assicura d’essere entrata in punta di piedi dentro queste vite dimenticate, persuasa fortemente che ricordare sia fondamentale. Ancora non si rende pienamente conto di come questi fatti siano potuti accadere. Sta di fatto che l’umanità isolata si assomiglia: hanno tutti la stessa indole taciturna, riservata o scontrosa. Rapporti difficili o inesistenti coi familiari. Una varietà di stati depressivi, di dipendenze, alcolismo, disturbi ossessivi compulsivi. Difficoltà a socializzare e aprirsi all’esterno. Nei ventisette capitoli del libro, il copione è lo stesso. Esseri umani che si sono voluti trasformare in barboni nella propria abitazione. Molto di rado vengono visti fuori, anzi, erano stati visti fuori, perché di loro si parla soltanto dopo, al passato prossimo, mai al presente. Perché la comunità, grande o piccola, si “era” dimenticata rapidamente di loro. Il ritrovamento dei cadaveri, di solito mummificati, è ogni volta una sorpresa, sempre inattesa. Ritornano ad affiorare ciciclamente l’incredulità e lo sconcerto; si pensava che avessero abbandonato problemi e abitazione, trasferendosi da qualche altra parte.
Lorella cita il camionista solitario, ricomparso steso nel proprio letto dopo un’infinità di tempo, e anche l’anziano tanto riservato, diventato una mummia moderna. Il caso più recente è quello di un professore molto particolare, introverso, senza affetti, amante della solitudine, creduto in vita da istituzioni e concittadini. Quasi surreale la vicenda di un giovane medico, sparito e trasformatosi in una via di mezzo tra un eremita e un barbone, e anche quella della madre accumulatrice seriale che ha costretto sé stessa e la propria prole a sopravvivere sommersi da una montagna di spazzatura e oggetti d’ogni genere. È forse il caso più sconcertante, per una serie di cause e conseguenze,
Chechi non tollera il comportamento della gente e degli Enti, il disinteresse, la mancanza di sensibilità della società. Se resta complicato cogliere il motivo per cui uomini e donne siano rimasti intrappolati dalle proprie fragilità, si può però cercare di capire e diventa quasi impossibile tollerare l’indifferenza della comunità, il tiepido turbamento davanti alle scomparse, la mancanza di iniziative serie e continuative per rintracciarli. Nell’introduzione, si sofferma sul caso di Daniele Potenzoni, a metà tra un’autoscomparsa (perché incapace di volontà autonoma) e una sparizione per scelta altrui (culpa in vigilando). Trentaseienne con sindrome autistica, era in gita a Roma la mattina del 10 giugno 2015, per l’udienza papale. Faceva parte di un gruppo di ragazzi, guidato da tre accompagnatori e un volontario. Saliti sulla metropolitana alla fermata Termini, in direzione Ottaviano, scesero subito dopo per l’eccessivo affollamento. Però Daniele era rimasto sul convoglio, che ripartì subito. Nonostante le ricerche, nessuno è riuscito a trovarlo, né a capire a quale fermata fosse sceso, privo di denaro e cellulare. Le porte della Metro si chiusero intrappolando il giovane, inerme in mezzo a una folla di sconosciuti, rumorosa e insofferente, scrive Lorella. Da allora, tanti appelli accorati, avvistamenti, anche recenti - si trattava di un russo - ma è come se la città eterna lo avesse inghiottito. Ad oggi, resta un mistero per tutti, ma un incubo interminabile per la famiglia.

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