Leonardo Sciascia, che quando scrive prova diletto e gioia, in diversi racconti si mostra anche incline al grottesco. Si legga Una storia vera, racconto contenuto nell’opera Il fuoco nel mare (Adelphi, 2010), in cui l’incipit è dato da un colto riferimento.
Cita Luciano di Samosata (Scrittore greco del II sec. d. Cristo, di carattere a preferenza umoristico e satirico), il quale, apprestandosi a raccontare la sua “storia vera”, diceva:
Scrivo dunque di cose che non ho vedute, né ho sapute da altri, che non sono, e non potrebbero mai essere: e però i lettori non ne debbono credere niente.
Le sue sono storie inventate anche se hanno uno sfondo “vero”, ed egli così avverte il lettore della sua e della loro falsità.
Al contrario, lo scrittore di Regalpetra con chiarezza stilistica vuole far subito credere che l’episodio da lui raccontato sia realmente accaduto, esistendo in proposito una documentazione:
Le cose che stiamo per raccontare le vediamo invece, mentre scriviamo, in una ventina di fotografie; le abbiamo lette nelle pagine di cronaca cittadina dei due quotidiani palermitani; e benché siano di quelle che non potrebbero mai essere, e mai dovrebbero essere credute, sono accadute e speriamo siano credute da coloro che leggeranno questa breve relazione.
Una storia vera di Leonardo Sciascia: analisi del racconto
Leonardo Sciascia propone qui la letteratura come arte della cronaca e dell’invenzione e la proposta non può che essere avanzata ironicamente: è proprio un discorso condotto con un margine di ludica ironia intorno al rapporto invenzione e realtà. Della storia restano tracce che l’io narrante organizza allo stesso modo della redazione di un rapporto. I dati vengono infatti esposti con la precisione del cronista e il buon lettore è subito interessato a come essi si svolgano senza il minimo dubbio che possa trattarsi di un fatto inventato.
Di saggezza e di malizia benevola è la sua ironia, senza inquietudini, se non quella che segna la conclusione del racconto. Poiché la cronaca, si sa, abbonda di minuzie e di particolari esposti con la sicurezza documentata dei fatti, ecco che Sciascia ne offre un bell’esempio:
Il 2 ottobre del 1965, sabato, giornata calda come di piena estate e appena appannata dallo scirocco, Palermo bruscamente si scrollò dalla sonnolenza della controra per precipitare, ad occhi aperti, in un incubo. Le strade, quasi vuote in quell’ora, furono improvvisamente corse dagli urlanti automezzi della polizia, dei carabinieri, dei vigili del fuoco. Nelle case squillarono disperatamente i telefoni. Da un balcone all’altro, da una porta all’altra, allarme e panico si diffusero nei quartieri popolari...
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La narrazione cresce sulla descrizione dell’accaduto i cui dettagli risultano particolarmente incisivi e significativi fino a fare il ritratto del teatro della sicilitudine:
i marziani erano calati a Palermo, e per di più accompagnati da mostri.
Anzi, si trovavano già da tempo a Palermo: si erano rifugiati nelle grotte che si aprivano dietro la piazza intitolata a San Giovanni Bosco. E c’erano anche i dinosauri “addomesticati ai marziani come i cani agli uomini”.
A questo punto la cronaca si mescola con l’invenzione che è un momento gioioso, una meraviglia del tutto umana che induce a fantasticare. E’ una dichiarazione di scrittura questa con cui Sciascia vuole evidenziare come il fantasticare con l’animo fanciullesco sia importante nello spazio dell’infinità.
E, allora, affida alla scrittura il gusto del trucco e della finzione scenica, facendo esistere ciò che non c’è.
Nella storia il caso, di stampo pirandelliano, ha una svolta quando, a seguito dell’infruttuosa esplorazione della grotta, due bambini indicano senza esitazione uno spettatore. A loro dire è il marziano tra la folla:
Sembrava uno come gli altri, era vestito come gli altri; e non aveva baffi. Le sue parole e i suoi gesti di protesta, a vedersi indicato come marziano, furono quelli di un palermitano autentico: lo vediamo in una fotografia mentre agita la mano, le dita raccolte a pigna, nel gesto tipico dei comici meridionali (irresistibile in Totò) quando senza parlare che cosa mai volete, e fatevi gli affari vostri, e non scocciate, e se per caso non vi ha dato di volta il cervello.
Un marziano dunque perfettamente mimetizzano in palermitano, di cui nessuno vuol farsi prendere in giro. Il cronista riferisce che, caricato su una camionetta, viene portato in caserma per essere interrogato.
E’ ora che sorge il sospetto:
che tutto fosse fantasia e scherzo dei bambini.
Si inserisce qui lo smascheramento su cui si appunta la nascita dello scherzo: quei bambini, il giorno prima, avevano visto in televisione “Il risveglio del dinosauro”. Ridotto il mostro alle proporzioni di un cane, lo avevano addomesticato a un marziano; di costui si erano detti amici e ogni pomeriggio andavano a trovarlo in un luogo abbastanza noto: “in quelle grotte di cui era favola in Palermo come luogo di riunione della setta dei Beati Paoli” (che era poi, secondo un romanzo popolare, la setta dei franco-muratori: e ne era capo quel Francesco Paolo Di Blasi che come giacobino fu decapitato nel 1795).
L’immaginazione dei bambini non può che presentare finzioni, ma loro non avrebbero mai pensato alla credulità dei palermitani che avevano accettato alla lettera l’inverosimiglianza.
Sciascia, coinvolgendo la sua immaginazione, fa la parodia dell’ “Ispettore di Gogol” (opera teatrale satirica scritta nel 1836, considerata uno dei capolavori dello scrittore russo):
E potremmo metterci in fantasia anche noi […] vien fuori il marziano vero col suo dinosauro al guinzaglio. Veloce come un turbine si avvia al palazzo d’Orleans, sede del governo regionale: tutte le luci del palazzo si accendono; il rumore delle carpette che si aprono, dei documenti che si sfogliano, si amplifica nelle sale vuote, rimbomba tra le vecchie mura, esplode nella città. E’ l’ispezione quella vera finalmente.
La trovata, avanzata in modo dilettevole, vuole in sostanza dire che in quel luogo non potranno mai esserci interventi ispettivi. E’ come un’idea gettata verso il silenzio.
Del resto, silenziosa è la mafia di cui viene ignorata l’esistenza: si è più propensi a credere ai marziani che non all’organizzazione mafiosa. Tutt’al più ritenuta un’organizzazione di mutuo soccorso.
La conclusione del racconto, dettata da un’esigenza etico-civile, viene così data dall’omertà, unitamente dalla disinformazione.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: "Una storia vera" di Leonardo Sciascia: il rapporto tra scrittura e verità
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