

Un anno al comando del IV corpo d’armata
- Autore: Alberto Cavaciocchi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2024
E dire che nell’inverno 1917, nel visitare le zone in cui erano attestati i reparti dipendenti, il generale Cavaciocchi smadonnava contro il maltempo che ostacolava i suoi spostamenti. Avversità simili avrebbero inabilitato il 24 ottobre successivo la reazione italiana all’offensiva austrotedesca su Caporetto, affatto disturbata invece, anzi favorita dalle eversività. Non aveva messo in conto pioggia e nebbia a proprio svantaggio, pur lamentandosene in avvio delle sue memorie, che le Edizioni udinesi Gaspari ripropongono col titolo Un anno al comando del IV corpo d’armata, nella collana Le battaglie della ritirata (ottobre 2024, 260 pagine, con immagini e cartine in bianconero nel testo), a cura dello storico Andrea Ungari, docente universitario e del ricercatore goriziano Marco Mantini.
Il generale Alberto Cavaciocchi, travolto tra il Rombon e la testa di ponte di Tolmino, non era “un fulmine di guerra”, secondo il capo di stato maggiore del suo stesso reparto, colonnello Boccacci. Il futuro scrittore Carlo Emilio Gadda, allora ufficiale alpino in quel settore del fronte, commentava sarcasticamente: “evidentemente i tedeschi hanno dei generali meno Cavaciocchi nei nostri”, dopo una grande vittoria nemica contro l’esercito russo.
Un uomo serio, taciturno, ottimo storico militare, tuttavia poco stimato come condottiero e solo tollerato alla testa di un’unità, per quasi un anno intero, caso rarissimo a quei tempi, praticamente dimenticato. Non di prim’ordine, ma nemmeno pessimo, pagò per tutti, capro espiatorio della pesante sconfitta. Fosse solo questa la principale ragione d’interesse delle note di suo pugno, ci sarebbe già da correre a procurarsi il volume, ma il tema è in buona compagnia di altri contenuti rilevanti, in quest’opera, nuova edizione dopo quella del 2006 sempre per i tipi Gaspari.
Alberto Cavaciocchi (1862-1925) era nato a Torino, nel 1862. Allievo del Collegio di Firenze e dell’Accademia della città sabauda, dalla quale uscì tenente d’artiglieria nel 1881, frequentò la Scuola di guerra (dove insegnò dal 1901 al 1996) ed entrò nel 1889 nel Corpo di Stato Maggiore. Diresse l’Ufficio Storico dell’Esercito dal 1906 al 1910, con un apprezzabile contributo da storico militare. Tra le sue opere, studi sulle campagne napoleoniche. Ispirò la rivista “Memorie Storiche Militari”, proposta dal gennaio 1909 dall’Archivio militare del Regno ai giovani ufficiali che volevano acquisire una cultura storica militare. Prese parte con onore al conflitto in Libia nel 1911, meritando la croce di ufficiale dell’Ordine Mauriziano di Savoia e un argento al valor militare. Scoppiata la Prima Guerra mondiale, partecipò come capo di Stato Maggiore della III Armata. Promosso tenente generale, assunse il comando del IV corpo d’armata, dal novembre 1916 al 25 ottobre 1917.
Per Ungari, l’importanza delle memorie di Cavaciocchi risalta per una serie di elementi. La testimonianza del generale piemontese è stata una delle ultime ad essere diffusa, dopo che quasi tutti i protagonisti della dodicesima battaglia dell’Isonzo avevano già esposto la rispettiva versione e glorificato la propria azione militare. Nel complesso, rappresenta un contributo significativo, arricchisce la storiografia caporettiana, pur avendo il chiaro obiettivo di dimostrare infondate le accuse rivolte alle scelte di comando a Caporetto e di ribaltarle sul comandante del XXVII corpo d’armata, Pietro Badoglio, sottolineandone le lacune.
Rigettando qualsiasi ipotesi di “sciopero militare”, Cavaciocchi difende risolutamente la condotta dei soldati alle sue dipendenze - mette a fuoco le cause principali della sconfitta italiana. Primo punto: il mancato rispetto delle disposizioni di Cadorna da parte del generale Capello e il divergente giudizio dei due sull’assetto da fare assumere alla II Armata, difensivo secondo il capo di Stato Maggiore, offensivo per il comandante d’Armata. Secondo: la scarsa convinzione di entrambi che l’offensiva austrotedesca avrebbe investito le linee giulie, quindi, il ritardo con cui vennero fatti affluire nel settore aggredito i rinforzi ripetutamente chiesti dal IV corpo. Arrivati alla spicciolata, disarticolati, non usati a massa, vennero sopraffatti dal nemico.
Lo studio del generale non si ferma alla cause strategiche, ma evidenzia i punti deboli dello schieramento della più grande Armata italiana. Infelici molte posizioni del IV corpo; sempre negata l’opportunità di arretrare le forze su posizioni più sicure; deboli le truppe, logorate negli anni, impreparate ad affrontare le nuove tattiche d’infiltrazione delle formazioni tedesche, che in più sviluppavano un volume di fuoco impressionante, con l’inedita disponibilità di mitragliatrici portatili per ogni squadra. Infine, le pessime condizioni atmosferiche, soprattutto la fitta nebbia, che nascose gli attaccanti e moltiplicò l’efficacia dei gas asfissianti, facendoli ristagnare in basso.
Nella pagina finale, Cavaciocchi insiste sulle responsabilità, che dovrebbero risalire la scala gerarchica fino ai vertici. Invita a non trascurare l’efficacia che avrebbe avuto una corretta interpretazione degli ordini difensivi del Comando supremo. Se la II Armata vi si fosse attenuta, il successo nemico sarebbe stato reso se non altro meno agevole. Incolpa il gen. Badoglio, incapace-impossibilitato, per suoi errori, ad esercitare l’azione di comando del XXVII corpo. Dimostra che anche un eventuale tempestivo intervento del VII corpo, volto a impedire al nemico di raggiungere Caporetto alle spalle del IV, avrebbe soltanto favorito almeno una resistenza prolungata, senza influire però sulle sorti della battaglia. Ritiene il racconto oggettivo degli eventi sufficiente a liberarlo da ogni addebito,
agli occhi delle persone oneste. Principalmente ho voluto rivendicare la reputazione del IV corpo, contro il quale era diretto il calunnioso bollettino del 28 ottobre, mentre il suo contegno durante la battaglia è stato, salvo rare eccezioni, quale le circostanze avverse consentirono e quali imponevano il dovere e l’onore. Certo è che oggi il gen. Cadorna sarebbe alquanto imbarazzato a citare i reparti ’vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresi al nemico.

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