L’attività di Primo Levi come testimone dell’Olocausto trova voce tanto nella prosa, quanto nella poesia; forse la produzione del Levi poeta è meno nota, ma certamente non meno efficace nella sua volontà di tramandare la memoria “di ciò che è stato”. Le poesie “coincise e sanguinose” di Primo Levi (così le definì nel libro Il sistema periodico, Ndr) risentono dell’esperienza del lager, narrata poeticamente soprattutto negli anni successivi al 1943, poi si focalizzano - a partire dagli anni Sessanta - sugli avvenimenti storici, ad esempio la cattura del criminale nazista Adolf Eichmann, infine si fanno più astratte unendo i temi biografici alle scoperte astronomiche dei primi anni Settanta. È questo il caso di Stelle nere (1974), che rimanda al cosiddetto “filone astronomico” della poesia di Levi in grado di unire scienza e letteratura.
La poesia, contenuta nella raccolta Ad ora incerta (Garzanti, 1984) (il cui i titolo fa riferimento al Since then, at an uncertain hour di Coleridge), presenta in calce una data, 30 novembre 1974, e una nota.
Nella nota a margine Levi si premurava di collegare Stelle nere a un articolo della rivista Scientific American dedicato alla ricerca dei buchi neri, dal titolo The search for Black holes di Kip S. Thorne. I cosiddetti black holes, i buchi neri risvegliarono l’immaginazione poetica del chimico-scrittore inducendolo a una profonda riflessione sull’universo e il senso della vita umana.
Cosa erano, in realtà, le stelle nere che davano il titolo alla poesia? Primo Levi, con una conclusione molto leopardiana, ci presenta l’universo come violento, informe, un groviglio di stelle che collassano e ignorano l’immensità del dolore umano.
“Stelle nere” di Primo Levi: testo
Nessuno canti più d’amore o di guerra.
L’ordine donde il cosmo traeva nome è sciolto;
Le legioni celesti sono un groviglio di mostri,
L’universo ci assedia cieco, violento e strano.
Il sereno è cosparso d’orribili soli morti,
Sedimenti densissimi d’atomi stritolati.
Da loro non emana che disperata gravezza,
Non energia, non messaggi, non particelle, non luce;
La luce stessa ricade, rotta dal proprio peso,
E tutti noi seme umano viviamo e moriamo per nulla,
E i cieli si coinvolgono perpetuamente invano.
“Stelle nere” di Primo Levi: analisi e commento
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Le stelle nere, immagine metaforica che racchiude in sé la scoperta dei “buchi neri”, si fanno rappresentazione della cecità del cosmo dinnanzi al dolore umano.
In questa poesia Levi compie lo sforzo di tradurre il linguaggio scientifico in espressione lirica e letteraria, associando la scoperta dei buchi neri all’infinità vanità del tutto e all’inconsistenza della vita umana. La dura esperienza della vita nei lager si riflette nel tono pessimistico della poesia che certo non è meno “sanguinosa e coincisa” delle precedenti e presenta una conclusione sorprendentemente leopardiana:
E tutti noi seme umano viviamo e moriamo per nulla,
E i cieli si coinvolgono perpetuamente invano.
L’avanguardia scientifica nella poesia di Levi si annulla nella spettrale indifferenza divina, nel vuoto apocalittico del cielo. L’universo leviano richiama la visione della terra come “atomo opaco del Male” di pascoliana memoria, descritta in X agosto.
In Stelle nere l’autore sembra far convergere il Big Bang, la grande esplosione che ha dato origine all’universo tredici miliardi di anni fa, e la fine del mondo. L’universo, nella visione dello scrittore-scienziato, si è generato dalla violenza e nella violenza vive assediando l’umanità “cieco, violento e strano” con i suoi buchi neri. L’oscurità, nella poesia di Levi, prevale sulla luce e inghiotte ogni cosa nel suo eterno abisso.
Il fenomeno stesso dei buchi neri diventa una metafora per esprimere la condizione umana; tutto è risucchiato senza scampo nel campo gravitazionale della morte, scrive Levi, “viviamo e moriamo per nulla”. Lo scrittore fu colpito soprattutto da un’immagine dell’articolo scientifico di Kip S. Thorne che definiva i buchi neri come “fornaci atomiche” (a un lettore attento certo non sfugge lo stretto parallelismo tra le “fornaci atomiche” e i “forni crematori”).
Ma è curioso che il termine scientifico del fenomeno black holes venga convertito dall’autore nell’italiano “stelle nere”: forse un drammatico riferimento alla Stella di David, simbolo dell’ebraismo, impiegata dai nazisti per l’identificazione dei prigionieri. Nei lager davvero si “viveva e si moriva per nulla”, dove “si moriva per un sì o per un no”, l’unico centro gravitazionale era la morte; ecco dunque che le “stelle nere” diventano il riflesso del trauma vissuto da Primo Levi, traducono l’immagine inenarrabile dell’Olocausto. Le metafore atroci utilizzate da Levi in questa poesia drammatica: “il groviglio di mostri”, “gli orribili soli morti”, “gli atomi stritolati”, traducono l’agghiacciante visione dei suoi incubi, una storia di pena e di morte già testimoniata nella poesia Shemà che apriva il libro Se questo è un uomo.
Il “seme umano” cui fa riferimento Levi in Stelle nere sono le vittime della Shoah, cui ancora in fondo affida la possibilità remota di fiorire (la definizione “seme” non è casuale, apre un labile spiraglio di speranza) attraverso la Memoria, la testimonianza che “questo è stato”. Anche l’universo, con i suoi buchi neri che inghiottono la luce come fornaci atomiche, è un monito a non dimenticare.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Stelle nere”: la poesia di Primo Levi per la Giornata della Memoria
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