Adolf Eichmann, noto anche con il nome di Angelo sterminatore, è noto per essere uno dei principali criminali di guerra nazisti, il cosiddetto “burocrate dell’Olocausto”. Fu catturato nel maggio del 1960 in Argentina, mentre camminava su una strada isolata a pochi chilometri da Buenos Aires, dopo un lungo lavoro di inchiesta da parte dei servizi segreti israeliani. Era uno dei criminali di guerra più ricercati; durante il celebre Processo di Norimberga, tenutosi nel 1945-1946, grazie a numerose testimonianze era divenuto chiaro il ruolo cruciale di Eichmann nello sterminio di milioni di ebrei.
Ricevuta la notizia della sua cattura e dell’imminente processo a suo carico, Primo Levi, uno dei maggiori testimoni italiani dell’Olocausto, scrisse di getto una poesia. Il titolo era: Per Adolf Eichmann, ma naturalmente non si trattava di una dedica rassicurante, era più un atto d’accusa, una rivendicazione alla stregua della nota Shemà che apre le pagine di Se questo è un uomo.
Tramite quei versi disadorni, che lo stesso Levi definì “coincisi” e “sanguinosi”, lo scrittore aveva finalmente modo compiere la sua vendetta non violenta nei confronti dell’Angelo sterminatore di Auschwitz usando le parole come un’arma di riscatto, ma Primo Levi fu più saggio del suo persecutore e nei suoi versi ebbe cura di aggiungere un crudo atto di perdono che rendeva lui - e con lui tutti gli ebrei uccisi nei campi di sterminio - moralmente superiori ai loro carnefici.
Levi infatti scrisse un verso fulminante che sembra giocare sui contrasti e traduce un’amara verità:
“O figlio della morte, non ti auguriamo la morte.”
La poesia Per Adolf Eichmann è inserita nella raccolta Ad ora incerta
(Garzanti, 1984), che contiene le poesie scritte da Primo Levi dopo Auschwitz. Erano liriche che contenevano, come scrisse il critico Giovanni Raboni su “La Stampa”:
La stessa forza di memoria, ammonimento e pietà, che rendono così sostanziosa, così giusta, così naturalmente memorabile la sua prosa.
Scopriamone testo e analisi in occasione della Giornata della Memoria.
“Per Adolf Eichmann” di Primo Levi: testo
Corre libero il vento per le nostre pianure,
Eterno pulsa il mare vivo alle nostre spiagge.
L’uomo feconda la terra, la terra gli dà fiori e frutti:
Vive in travaglio e in gioia, spera e teme, procrea dolci figli.…E tu sei giunto, nostro prezioso nemico,
Tu creatura deserta, uomo cerchiato di morte.
Che saprai dire ora, davanti al nostro consesso?
Giurerai per un dio? Quale dio?Salterai nel sepolcro allegramente?
O ti dorrai come in ultimo l’uomo operoso si duole,
Cui fu la vita breve per l’arte sua troppo lunga,
Dell’opera tua trista non compiuta,
Dei tredici milioni ancora vivi?O figlio della morte, non ti auguriamo la morte.
Possa tu vivere a lungo quanto nessuno mai visse:
Possa tu vivere insonne cinque milioni di notti,
E visitarti ogni notte la doglia di ognuno che vide
Rinserrarsi la porta che tolse la via del ritorno,
Intorno a sé farsi buio, l’aria gremirsi di morte.20 luglio 1960
“Per Adolf Eichmann” di Primo Levi: analisi e commento
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La prima strofa della poesia di Levi dedicata ad Adolf Eichmann presenta dei toni biblici, come se stesse narrando il momento della Creazione. La vita continua, questo vuole dirci Primo Levi: l’uomo continua ad arare la terra che gli consegna semi e frutti, uomini come Eichmann - rappresentazione stessa della morte incarnata - non sono riusciti a spegnere la forza propulsiva dell’energia vitale che continua a generare e a generarsi. Mentre il mondo procede sereno verso un nuovo giorno, ecco Eichmann catturato e chiamato a giudizio: è lui “il prezioso nemico” finalmente chiamato a rispondere delle proprie colpe. A questo punto Levi si erge a giudice e lo interroga direttamente, quasi sfidandolo:
Che saprai dire ora davanti al nostro consesso?
Nelle strofe successive, Primo Levi ci consegna una sorta di anticipazione del processo vero. Immagina le risposte di Eichmann al giudice, interroga gli stessi pensieri del criminale nazista e, come un oracolo, tenta di indovinarne il destino. L’Angelo sterminatore sarà chiamato a giurare sulla Bibbia, come da prassi: ma su quale Dio potrà giurare? La stessa esistenza di uomini come lui, afferma tra le righe l’autore, non è forse la prova che non esiste nessun Dio?
A questo punto Primo Levi ci presenta due possibili scenari: nel primo Eichmann muore giustiziato e salta nella tomba, rallegrandosi di ciò che ha compiuto; nel secondo si duole per non aver portato a termine la sua opera di sterminio, per aver lasciato tredici milioni di ebrei ancora in vita. In entrambi i casi, Levi non contempla il rimorso: forse non ritiene l’Angelo sterminatore capace di provare rimorso.
La strofa finale della poesia Per Adolf Eichmann non presenta una conclusione poi molto differente da quella di Shemà. In quel verso che apre l’ultima parte della poesia è contenuta implicitamente una minaccia:
Non ti auguriamo la morte
In sostanza è questa la pena che Primo Levi prefigge a Eichmann: una vita lunghissima. Era, a ben vedere, una soluzione ben peggiore di quella stabilita dal processo di Gerusalemme. Lo scrittore dell’Olocausto augurava al criminale di guerra nazista di continuare a vivere perseguitato dalla morte che aveva causato. Non gli consentiva alcuna assoluzione né compromesso: convertiva le parole di buon augurio, ovvero “possa tu vivere”, in una minaccia sinistra e senza scampo:
Possa tu vivere a lungo quanto nessuno mai visse:
Possa tu vivere insonne cinque milioni di notti.
La pena proposta da Primo Levi si distaccava dalla realtà, assumeva dei connotati onirici che si trasfondevano nell’incubo. Era la pena dantesca che si riserva ai dannati, una sorta di girone dell’Inferno. Nell’oscuro finale l’autore immagina Eichmann perseguitato dal dolore di coloro che aveva ucciso, un dolore che lo avrebbe visitato ogni giorno e ogni notte sottoforma di incubo. Nell’immagine metaforica e molto efficacie usata da Levi “aria di morte”, possiamo cogliere lo spettro delle camere a gas. La parola “morte” viene ripetuta con una ripresa anaforica insistente, come una maledizione: era questa, del resto, la pena che Primo Levi augurava a Eichmann, scontare la morte in vita.
Primo Levi non accettava la “banalità del male” teorizzata da Hannah Arendt; alla visione sociologica della filosofa opponeva la sua cruda poesia che forse ora ci restituisce l’immagine più concreta e veritiera dell’Angelo sterminatore di Auschwitz, qui ben riassunta dall’espressione “Figlio della morte”, unita a tutto il dolore - ancora palpitante - delle sue innumerevoli vittime.
In Per Adolf Eichmann, Levi non contempla alcuna assoluzione per chi ha compiuto il male: non c’è alcuna banalità, alcuna indifferenza, nemmeno quella divina. La grandezza della poesia di Primo Levi risiede nella capacità di mettere in versi l’orrore - senza edulcorarlo, senza abbellirlo - raccontandolo con una lucidità così umana da renderlo indelebile sino a scolpirlo a caratteri di fuoco nella memoria di chi resta.
Il processo ad Adolf Eichmann secondo Primo Levi e Hannah Arendt
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Nessuno meglio di Primo Levi, del resto, poteva sapere che c’era una condanna peggiore della morte, più avvilente e degradante: “la morte in vita”, quella che si scontava vivendo e lui stesso stava patendo ogni giorno come un appartenente alla tragica schiera dei Musulmänner, coloro che nel suo libro definiva “i sommersi”. Era troppo comodo morire; più difficile era vivere divorati dal senso di colpa e dal rimpianto. Ma uomini come Eichmann potevano provare il senso di colpa? Questa era la domanda che si sarebbe posta in seguito la filosofa Hannah Arendt che per scrivere il celebre libro La banalità del male avrebbe seguito giorno dopo giorno il processo a Adolf Eichmann a Gerusalemme.
Arendt sarebbe giunta infine alla conclusione che l’Angelo sterminatore non era che un “burocrate ordinario”, talmente inserito nel sistema di Hitler da non rendersi conto della malvagità dei suoi atti; in sostanza, era un servitore del Reich che, come purtroppo tanti altri, non aveva piena cognizione di ciò che stava facendo. Questo naturalmente non lo assolve, ma ci offre in maniera lucida e rigorosa l’interpretazione sociologica (e drammatica) di un fenomeno senza uguali come la Shoah.
Arendt, a proposito di Eichmann, scrisse:
Non era uno stupido; era semplicemente senza idee (una cosa molto diversa dalla stupidità), e tale mancanza d’idee ne faceva un individuo predisposto a divenire uno dei più grandi criminali di quel periodo.
La visione della filosofa tedesca si discosta da quella di Primo Levi che invece vede in Eichmann un “nemico” e un “figlio della morte” che ancora nel profondo della sua coscienza si duole per non aver portato a termine la sua opera di sterminio, per aver lasciato tredici milioni di ebrei ancora vivi. Levi non augurava la morte ad Adolf Eichmann, auspicava per lui una pena da scontare in vita, ma come sappiamo le cose andarono diversamente: il processo si concluse il 15 dicembre 1961 ed Eichmann fu ritenuto responsabile dei crimini contro gli ebrei e contro l’umanità compiuti durante la Seconda guerra mondiale.
Fu giustiziato il 1° giugno del 1962 per impiccagione. La poesia di Primo Levi non si era esaudita.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Per Adolf Eichmann”: la poesia di Primo Levi sull’Angelo sterminatore del Reich
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