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Recensioni di libri

Se siamo ancora vivi di Marilù S. Manzini

Rizzoli, 2008 - L’incontro di due vite apparentemente lontane che s’incrociano casualmente in un momento cruciale per entrambe. Il libro è un’universale riflessione sulla vita con la sua irriverente tragedia, ma all’interno di questo tema tragico ed assoluto, il tono assume connotati comici e anche surreali.

Arcangela Cammalleri
Arcangela Cammalleri Pubblicato il 26-09-2011

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Se siamo ancora vivi

Se siamo ancora vivi

  • Autore: Marilù S. Manzini
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Casa editrice: Rizzoli
  • Anno di pubblicazione: 2008

Il romanzo “Siamo ancora vivi” di Marilù S. Manzini è l’incontro di due vite apparentemente lontane che s’incrociano casualmente in un momento cruciale per entrambe.
A Divine, centro del mondo, un concentrato delle forme della meraviglia architettonica delle città più importanti, vivono i due protagonisti della storia. Essi si alternano in lunghi e deliranti monologhi attraverso i quali traspare il grado di alienazione che li sta metamorfosando in estranei anche a se stessi.
Lui è Alex Goodnight, un giovane ed affermato scrittore di romanzi d’amore, impregnati di edulcorato romanticismo, adorato dalle sue lettrici. Agli occhi altrui appare un modello di ragazzo, bello, per bene e talentuoso. Ma dentro di sé cova conflitti non risolti, nevrosi e una perversa forma di autolesionismo che lo dilania fino alle sue estreme conseguenze. Dietro al suo malessere si nasconde l’ombra di un padre negletto e anaffettivo, quella di una madre fredda e distaccata, abbarbicata nel suo passato, una snob professionista con le peculiarità di una vedova nera. L’unica strada da percorrere è quella del non ritorno, farla finita in modo plateale gettandosi dall’ultimo piano del più alto grattacielo che sia mai stato costruito. Lo schianto ideale, senza possibilità di salvezza.
Lei è Lexa Sunrise, una ragazza bella, ma afflitta da miriadi di fobie, vive relegata in casa da due mesi, per evitare il mondo e tutte le sue pseudo contaminazioni: sembra che tutte le patologie si siano coalizzate contro di lei pronte ad attaccarla. In un’ossessione maniacale diffida di tutto e di tutti, prende assurde precauzioni per evitare ogni contagio. Dietro le sue dietrologiche fobie, un dolore la tormenta, quello per il fratello Jonathan, così troppo lontano anche solo per ricordarlo. Quando decide di uscire dall’esilio volontario è per programmare la sua morte. Incontrarsi e incastrare le due solitudini è una fatale e tragicomica combinazione, la paura degli spazi chiusi di lui, il terrore di qualsiasi contatto con gli altri di lei, è un binomio dall’inaspettato esito. Confliggono e si attraggono, due poli opposti e paradossalmente paralleli si ritrovano e si alleano in una lotta esiziale lasciata in sospeso dall’autrice e aperta a più conclusioni.

Come è facile arguire non è tanto la trama (l’incontro/scontro di due anime è un topos della letteratura) ad essere interessante, ma l’estrema risposta di chi in questa società si muove come estraneo tra estranei, un rifuggire da una sorta di contagio o malattia endemica che si diffonde e fagocita. Il disagio e l’inadattabilità alle apparenze che mortificano l’essenza dell’essere travolgono i due protagonisti, che si sentono inghiottiti dagli altri e dal crepitio della vita. L’incapacità per contrastare la vita è imporsi ad essa con la morte, secondo il concetto del morire che si sconta vivendo. Alex si sente distrutto dentro, tutto l’annoia, i suoi sensi affogano in una lenta agonia, ha solo voglia di stare chiuso in casa, abbracciato al silenzio. Non si può trattenere chi ha deciso di partire. Come disse Breton: “Cercate, se potete, di fermare un uomo che viaggia col suicidio all’occhiello”. Voglio uno splendido tramonto, e che sia io a decidere quando guardarlo. Come Alex progetta il suicidio, così Lexa si prepara alla sua morte e a quando dovrà affrontare l’ultima chiacchierata. Cita Freud ossessionato dal doloroso enigma della morte, la Piccola Signora, “Noi siamo meri giocattoli per le potenze celesti”.

Il libro è un’universale riflessione sulla vita con la sua irriverente tragedia, ma all’interno di questo tema tragico ed assoluto, il tono assume connotati comici e anche surreali: l’elencazione delle fobie di Lexa, delle malattie che potrebbe contrarre, dei dieci momenti più belli della sua vita; le svariate forme di suicidio, le ultime dieci cose da fare di Alex, il silenzio dei sensi per contemplare la mia anima in riposo.
L’autrice ci descrive con sorprendente realismo il magma interiore che agita gli animi di Alex e Lexa, sovrapponendo al cupo pessimismo che attraversa la scrittura sfumature ironiche e irriverenti che ne attenuano l’atmosfera.
Un libro che si legge con predisposizione e convinzione fino alla fine.

Marilù S. Manzini

Nasce a Modena il 27 Marzo 1978. Figlia di un’industriale nel campo dell’abbigliamento e di un giornalista di cronaca nera e giudiziaria ma che è stato anche il primo radiocronista sportivo di radio private e che scriveva racconti sotto pseudonimo. Manzini è il cognome di sua madre, la S. è il cognome di suo padre (non ha mai voluto usare il cognome di suo padre per non avere neanche il più piccolo aiuto). Suo zio è un abbastanza noto fotografo erotico che per molto tempo è stato un fotografo di moda. Ha iniziato a scrivere e a dipingere “seriamente” a 15 anni. Il suo primo romanzo “Bambola di Cera” è stato pubblicato nel Dicembre del 2001 per una piccola casa editrice di Piacenza. Il secondo dal titolo “Io non chiedo permesso” nel 2004 per Salani, il terzo “Il quaderno nero dell’amore” nel 2006 per Rizzoli e il quarto “Se siamo ancora vivi” nel 2008 sempre per Rizzoli. Ha curato per tre anni una rubrica fissa su Style il mensile del Corriere della Sera. Ha collaborato anche per i giornali A, Max e Riders.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Se siamo ancora vivi

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