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Storia della letteratura

“Posso scrivere i versi più tristi” di Pablo Neruda: la poesia dedicata a chi soffre per amore

Leggiamo insieme “Posso scrivere i versi più tristi” di Pablo Neruda, una delle liriche più famose di tutti i tempi sulla fine di un amore, dedicata a quanti, il giorno di San Valentino, soffrono per una relazione da poco conclusa.

Isabella Fantin
Isabella Fantin Pubblicato il 14-02-2023
“Posso scrivere i versi più tristi” di Pablo Neruda: la poesia dedicata a chi soffre per amore

Per chi il giorno di San Valentino soffre per una relazione da poco conclusa, non potevamo non pensare a una famosa poesia di Pablo Neruda. Nel 1923 Neruda pubblica i suoi primi versi nella raccolta Crepuscolario e l’anno seguente Venti poesie d’amore e una canzone disperata da cui è tratta la poesia intitolata Posso scrivere i versi più tristi. Per la precisione solo la canzone disperata ha il titolo eponimo, le altre hanno una numerazione da 1 a 20.

La lirica in oggetto (n.20) propone temi senza tempo con quella studiata immediatezza in grado di fare breccia anche nei cuori più refrattari alla poesia e all’amore. Il testo dall’ambientazione notturna è pervaso dalla nostalgia per un amore perduto, sfiorata dal sospetto della gelosia.

Solo la scrittura è in grado di arrecare sollievo allo stato d’animo deflesso dell’io lirico, che non dimentica in controluce l’interrogativo più grande: quello della fugacità dell’amore nella nostra breve esistenza.

Scopriamo testo, analisi e commento della poesia.

Posso scrivere i versi più tristi di Pablo Neruda: testo

Posso scrivere i versi più tristi questa notte.
Scrivere, ad esempio: «La notte è stellata,
e tremolano, azzurri, gli astri, in lontananza».
Il vento della notte gira nel cielo e canta.
Posso scrivere i versi più tristi questa notte.
Io l’amai, e a volte anche lei mi amò.
Nelle notti come questa la tenni tra le mie braccia.
La baciai tante volte sotto il cielo infinito.
Lei mi amò, a volte anch’io l’amavo.
Come non amare i suoi grandi occhi fissi.
Posso scrivere i versi più tristi questa notte.
Pensare che non l’ho. Dolermi d’averla perduta.
Udire la notte immensa, più immensa senza lei.
E il vento cade sull’anima come sull’erba la rugiada.
Poco importa che il mio amore non potesse conservarla.
La notte è stellata e lei non è con me.
È tutto. In lontananza qualcuno canta. In lontananza.
La mia anima non si accontenta di averla perduta.
Come per avvicinarla, il mio sguardo la cerca.
Il mio cuore la cerca, e lei non è con me.
La stessa notte che fa biancheggiare gli stessi alberi.
Noi, quelli di allora, più non siamo gli stessi.
Più non l’amo, è certo, ma quanto l’amai.
La mia voce cercava il vento per toccare il suo udito.
D’altro. Sarà d’altro. Come prima dei miei baci.
La sua voce, il suo corpo chiaro. I suoi occhi infiniti.
Più non l’amo, certo, ma forse l’amo.
È così breve l’amore, ed è sì lungo l’oblio.
Perché in notti come questa la tenni tra le mie braccia,
la mia anima non si rassegna di averla perduta.
Benché questo sia l’ultimo dolore che lei mi causa,
e questi siano gli ultimi versi che io le scrivo.

(Traduzione di Giuseppe Bellini)

Posso scrivere i versi più tristi di Pablo Neruda: analisi e commento

Il poeta cileno Pablo Neruda (1904 - 1973), che García Márquez definì "Il più grande poeta del XX secolo", non ha bisogno di presentazioni.
All’anagrafe Neftalí Ricardo Reyes Basoalto, adotta a partire dagli anni Venti il nom de plume di Neruda, in omaggio a Jan Neruda (1834 - 1891), giornalista, prosatore e poeta praghese.

Ha diciannove anni quando compone la raccolta Venti poesie d’amore e una canzone disperata che riscosse un successo straordinario: quasi due milioni di copie vendute l’anno della sua morte.
Alcuni osservano pignoli che gli amori cantati nel libro non hanno spessore autobiografico, anche in virtù della giovane età dell’autore. Ma cosa importa! L’amore immaginato forse declassa la lirica Siciliana, Stilnovista, Petrarchesca?

Il poeta cileno propone un ologramma femminile ed emotivo che non conosce latitudini. Altri ravvisano riferimenti a tale Teresa Vásquez León o Albertina Rosa Azocár. Se anche fosse, il componimento continua a vibrare di un respiro universale, perché il poeta poco più che adolescente, patisce con autenticità la fine di un amore e la sofferenza del distacco che porta con sé. Questo conta. Chi di noi è immune dal vulnus dell’abbandono? Chi non ha provato il vuoto, l’incredulità, lo smarrimento di fronte a un legame spezzato?

Metrica: versi liberi di 17 strofe di distici (coppia di versi) e due versi isolati. Il v.1 introduce il sentimento di tristezza accentuato dall’anafora. Il v.3 ci presenta uno scenario notturno.

Avete osservato che nella poesia ben 26 versi sono suggellati dal punto?
Questa scelta interpuntiva forte non solo segnala che ciascuno ha una propria compiutezza logica, perché ogni verso è un’unità di senso. Ma traduce sintatticamente la chiusura di un amore finito. Inoltre l’impianto paratattico giustappone immagini che, tra passato remoto, imperfetto e presente, danno forma ai sentimenti contrastanti del poeta.
Lessico ad alta frequenza, predilezione per termini generici in frasi asciutte fanno parlare Neruda in tutte le lingue del mondo, come osserva García Márquez.

Per chi volesse approfondirne lo stile della raccolta di derivazione, è disponibile (usato) il saggio di Giorgio Morelli del 1979 Struttura e lessico di Venti poesie d’amore e una canzone disperata.

Per l’elevata chiarezza comunicativa, la parafrasi è sostituita da alcune riflessioni di carattere grammaticale, tematico e contenutistico.
Il verso incipitario, ripetuto in anafora, comunica una condizione di sconforto e introduce i temi portanti: il dolore per la fine di un amore, la rielaborazione dei sentimenti attraverso la scrittura, la corrispondenza con la notte che si fa specchio dell’interiorità del poeta. Di contro la consapevolezza della rassegnazione compare nell’ultimo verso. Si tratta di una rassegnazione dettata dalla razionalità, non dal cuore. Il poeta non è ancora pronto per attraversare il dolore.

La classificazione dei tempi verbali mette a fuoco il tormento emotivo dell’io lirico.

  • I versi più dolorosi sono al passato remoto. Questo tempo crudele compare 6 volte a sancire la conclusione di ciò che fu: “io l’amai”, “lei mi amò”, “la tenni fra le mie braccia” ripetuto due volte, “la baciai”, “quanto l’amai”.
  • Due imperfetti, indicanti la continuità di un’azione nel passato, hanno il compito di sottolineare che il sentimento continua a rimanere vivo nel ricordo e a bruciare nel ricordo: “anch’io l’amavo”, “la mia voce cercava il vento per toccare il suo udito”.
  • Il tempo presente, che compare 7 volte in relazione alla donna, è quello che fa più male perché traduce la consapevolezza dell’assenza dell’amata: “non l’ho”, “lei non è con me” ripetuto due volte; “il mio sguardo la cerca”, “il mio cuore la cerca”, “non siamo più gli stessi”, “la mia anima non si rassegna di averla perduta”. Siamo indotti a pensare che la separazione sia recente e che il soggetto sia ancorato al passato felice.

Schegge di fisicità ci restituiscono una femminilità intensa. La voce cristallina e il corpo dalla pelle chiara. Grandi e profondi gli occhi, immortalati nello stato di grazia di chi ricambia il nostro amore con lo sguardo.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Posso scrivere i versi più tristi” di Pablo Neruda: la poesia dedicata a chi soffre per amore

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Commenti: 1

  • Laura
    17 febbraio, 15:34

    Complimenti a Isabella Fantin per la stupenda analisi. Grazie da una prof di spagnolo

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