Non sono mai stata il mio tipo. Dialoghi al posto di un’autobiografia
- Autore: Irmgard Keun
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: L’orma editore
- Anno di pubblicazione: 2023
Non sono mai stata il mio tipo è uno dei libri tra i più belli a chiusura del mio anno di letture.
L’autrice, Irmgard Keun, era una donna libera, emancipata, colta, perseguitata dalle SS, che rifiutò qualsiasi forma di etichetta, con una lunga relazione d’amore con Joseph Roth, di una bellezza che non credeva possibile a tal punto da dire di sé stessa, non sono mai stata il mio tipo. Una scrittrice che raggiunse il successo a soli vent’anni e poi venne dimenticata.
Il libro, con il sottotitolo Dialoghi al posto di un’autobiografia, racchiude una raccolta di interviste e dialoghi curati da Heinrich Detering e Beate Kennedy con traduzione di Eleonora Tomassini, pubblicati da L’orma editore, una casa editrice autorevole e attenta alle storie di donne, alle figure femminili della nostra storia, come la storia di esodi e abbandoni narrati qualche anno fa dalla scrittrice Carolina Schutti.
Nel 1977 per merito della scrittrice e giornalista tedesca Ursula Krechel, dopo anni trascorsi per la maggior parte nell’Ospedale di Bonn, Irmgard Keun uscì dall’oblio con le sue prime interviste e con la ripubblicazione dei suoi romanzi. Irmgard Keun venne così riscoperta e la Germania riprese a leggere colei che aveva inventato il romanzo sull’emancipazione femminile.
Il pubblico si rese conto con rispettosa commozione che in realtà Irmgard Keun non si era mai mossa da lì.
Era da tutti, giornalisti ed esperti di letteratura, ricordata come la scrittrice che aveva raccontato con attenzione e cura la vita delle donne e la quotidianità nei primi anni del nazismo. Scrisse di giovani donne dallo sguardo meravigliato: si era sempre identificata con coloro che si meravigliavano. Il suo desiderio di scrivere era forte, ma non più della voglia di sopravvivere e di restare in vita.
Irmgard Keun era una donna che aveva saputo vivere il successo e l’isolamento volontario. Era nata a Berlino nel 1905 in una famiglia borghese molto liberale; il padre era un industriale e un uomo colto che parlava ben nove lingue. Visse gli anni giovanili a Colonia e le vacanze estive a Ostenda. Cresciuta tra tate e insegnanti privati conoscerà con il Nazismo e la fine della guerra la povertà e la fame. Quando incontrò a sedici anni ad una presentazione letteraria Alfred Döblin, questi le disse:
“Se solo scrivesse bene la metà di come parla, racconta e osserva, sarebbe la migliore scrittrice che la Germania abbia mai avuto, scriva un libro!”
Lo scrisse e, una volta recapitato il manoscritto di Gilgi, una di noi alla casa editrice, venne subito invitata a firmare il contratto.
Irmgard proveniva da un ambiente borghese, ma seppe descrivere la periferia di una città e la vita delle prostitute in modo così credibile che era lecito domandarsi se le avesse frequentate. Il successo arrivò e i suoi libri vennero successivamente messi all’indice dal nazifascismo: bruciati e mai più ristampati. Perseguitata, segnalata e interrogata dalla Gestapo, mascherando la paura dovette scappare dalla Germania e cercare asilo altrove a Bruxelles, Ostenda, Amsterdam tra i suoi straordinari colleghi, Kisch, Koestler, Stefan Zweig, del quale ricorderà la sofferenza intellettuale e intima. Nella cerchia degli esuli era l’unica donna e per di più giovanissima.
Conobbe e si innamorò perdutamente di Joseph Roth, che la aiutò con uno stratagemma ad ottenere il divorzio.
“È stato l’unico uomo che mi abbia mai affascinato.”
Lo ricorderà spassoso, con una mente straordinaria, con un gran senso dell’umorismo e al tempo stesso malinconico. Lo conobbe ad Ostenda al Café Flore: vide entrare Stefan Zweig con un uomo che barcollava in preda ai fumi dell’alcol: era biondo rossiccio, con i baffi e gli occhi azzurri quasi ciechi per la disperazione. Un alcolista inguaribile dal quale per salvarsi Irmgard dovette scappare. Per un certo periodo visse, scrisse e bevve con Roth.
“Mi addormentavo con le sue dita intrecciate ai capelli, e quando mi svegliavo erano ancora lì.”
Io sono tutto e niente è un’altra frase che accompagna la sua autobiografia: che dire ancora di una grande scrittrice che è riuscita a scrivere anche delle sue pessime qualità a suo dire infinite. Una sola vita le era bastata, altra non ne voleva, nella quale l’amicizia aveva avuto un posto più importante dell’amore. Una vita durante la quale non si era mai sentita appartenente ad una patria, da nessuna parte, ma la associava al luogo dove le persone erano gentili. La patria era nel suo intimo, una solitudine necessaria che spesso poteva divenire straziante. Non aveva mai avvertito la sensazione di non avere una patria, perché si era sentita a casa ovunque. Una donna che ha saputo vivere tra gioia e depressione: amava dire che una cosa presupponeva l’altra.
“Se si è in grado di essere felici, allora si è pure in grado di essere depressi, bisogna metterlo in conto.”
Tra abusi di alcol e tentativi di suicidio, alternava da un lato la depressione e l’alcolismo e dall’altro tentativi di affermarsi con la scrittura. Ironica, originale, nostalgica, semplice, la storia della vita della sua vita è piena di meraviglia.
“Per decenni è sembrato che a nessuno importasse che una scrittrice messa al rogo fosse ancora in vita. Per decenni attorno a lei non c’è stato altro che silenzio, finché non ci si è accorti che i suoi romanzi, al tempo tutti bestseller, andrebbero riletti ancora oggi.”
Non sono mai stata il mio tipo. Dialoghi al posto di un'autobiografia
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