Il concetto di memoria si oppone a quello di tempo nella poesia di Montale e questa presunta antitesi concettuale è uno degli aspetti più interessanti della poetica dell’autore premio Nobel.
L’impossibilità angosciosa del ricordo ritorna ciclicamente nelle opere montaliane, a partire da Cigola la carrucola del pozzo in Ossi di seppia (1925), ma raggiunge il proprio vertice espressivo nella raccolta Le occasioni (1939) con poesie come La casa dei doganieri, Dora Markus e Non recidere forbice quel volto. Quest’ultima è una poesia che indaga i silenziosi circuiti del ricordo attraverso il tentato recupero del passato che trova, tuttavia, nella “memoria” una forza oppositiva e nel “tempo” un’azione demolitrice.
Lo stesso titolo della raccolta, Le occasioni, del resto presentava un riferimento alla memoria involontaria: le “occasioni” descritte da Eugenio Montale sono quelle situazioni che all’improvviso rimettono in moto il processo psichico della memoria, restituiscono il ricordo dal buio profondo della coscienza riportandolo alla luce; non sono dunque molto diverse dalle madeleine proustiane.
In Non recidere forbice quel volto, come fatto precedentemente in Cigola la carrucola del pozzo, Montale si serve di una metafora per scavare nelle profondità insondabili della memoria: ma, mentre nella poesia contenuta in Ossi di seppia l’autore cantava il recupero, seppur momentaneo, del ricordo, qui ne narra l’oblio, descrivendo, attraverso l’immagine della forbice che taglia e spezza, l’oscuro processo della dimenticanza.
Ancora una volta il poeta ligure ci sta dicendo che “tempo” e “memoria” non coincidono, anzi, sono due forze in perenne attrito che si scontrano in un’azione continua di demolizione e costruzione: il tempo distrugge ciò che la memoria tenta disperatamente di salvare.
Il concetto di tempo in Montale
La poesia diventa la maniera di narrare questa discordanza, questo contrasto irrisolvibile. E Montale trova rifugio nelle parole, nelle sue “occasioni”, nelle metafore del “pozzo” e della “forbice”, cercando un modo per risolvere l’inestricabile groviglio dell’esistenza che lo assillava con le sue tracce, le sue orme invisibili che poi sfumavano nell’oscurità del nulla.
Proprio come teorizzato dal filosofo francese Henri Bergson, Montale aveva compreso che il passato è costantemente “presente”.
Secondo il poeta c’è una distinzione netta tra il tempo cosmico e il tempo dell’umano: il tempo umano è reversibile grazie all’azione immaginativa della memoria. C’è uno strappo tra il tempo della vita e il tempo inteso invece in senso assoluto. La memoria diventa quindi rappresentazione della coscienza umana e il ricordo è l’intuizione che risveglia l’uomo dal suo torpore: ma che fare quando sopraggiunge la forza inoppugnabile della dimenticanza? Nemmeno la memoria è eterna e in questa poesia Montale ci narra proprio quel senso di perdita, di sgretolamento.
Non recidere forbice quel volto fu pubblicata per la prima volta sulla rivista Olimpo nel 1938 con il titolo di Quinto mottetto, in seguito inserita nella raccolta Le occasioni e rinominata sulla base del primo verso.
Vediamone testo, analisi e figure retoriche.
“Non recidere forbice quel volto” di Eugenio Montale: testo
Non recidere, forbice, quel volto,
solo nella memoria che si sfolla,
non far del grande suo viso in ascolto
la mia nebbia di sempre.Un freddo cala… Duro il colpo svetta.
E l’acacia ferita da sé scrolla
il guscio di cicala
nella prima belletta di Novembre.
“Non recidere forbice quel volto” di Eugenio Montale: analisi
Il testo di Non recidere forbice quel volto è diviso in due quartine tra loro simmetriche, separate come da un taglio netto che tuttavia le rende speculari: tutto il testo montaliano è strutturato sulla base di richiami e simmetrie. Se nella prima parte troviamo l’azione metaforica della forbice (ovvero il tempo) che recide i ricordi dalla memoria, persino il ricordo delle persone più care e amate. Nella seconda parte invece la metafora si fa più concreta e meno astratta: l’azione irreversibile dell’oblio è rappresentata dall’acacia ferita e, infine, dal guscio di cicala che rotola nella fanghiglia del mese di novembre, segno dell’estate che si piega inevitabilmente all’inverno.
Il colpo della forbice che con un taglio netto spezza il filo della memoria e il gelo che percuote con le sue fredde lame l’acacia sono l’emblema della medesima lacerazione. Il guscio della “solare” cicala che, ultimo barlume di felicità, si polverizza nel fango rappresenta il ricordo che svanisce nelle paludi dell’oblio.
In Non recidere forbice quel volto Montale non si concentra tanto sulla memoria - sua grande ossessione - ma sul processo, ancora più imperscrutabile della dimenticanza.
Di particolare impatto è l’immagine metaforica de “la mia nebbia di sempre” per rappresentare la mente umana e il suo oscuro lavorio di selezione di fatti, azioni, pensieri che consegna progressivamente le memorie, anche quelle più care, all’oblio. L’intera poesia è pervasa da un senso di abbandono e di desolazione: le lame delle forbici ci restituiscono il gelo di un’azione irreversibile come la dimenticanza, capace di rimuovere alla stregua di un bisturi le memorie dalla mente. Montale, arreso, ammette la propria impotenza che si traduce in una supplica come ci indica l’apostrofe iniziale: Non recidere, forbice.
Tutto è immerso in un clima evanescente di sospensione delle coordinate spazio-temporali: il paesaggio, come ne La casa dei doganieri, sembra essere soprattutto mentale ed è connotato da un presagio apocalittico, tutto è sul punto di crollare, di cadere o, in qualche modo, soccombere.
Già domina il sentimento riflessivo e l’analisi metafisica dell’ultimo Montale, il suo tragico “sentimento del tempo”.
“Non recidere forbice quel volto” di Eugenio Montale: figure retoriche
- Metafore: “non recidere forbice quel volto”; “la mia nebbia di sempre”;
- Enjambements: in ascolto/la mia nebbia; scrolla/il guscio di cicala
- Apostrofe: la parola “forbice” inserita in tono declamatorio del primo verso.
- Personificazione: la forbice che taglia diventa rappresentazione della dimenticanza, dell’effetto distruttore del tempo.
- Paranomasia: “recidere/forbice”, vengono accostati nomi simili nel suono ma dal diverso significato.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Non recidere forbice quel volto”: la dimenticanza nella poesia di Montale
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