Le righe nere della vendetta
- Autore: Tiziana Silvestrin
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2020
“Hanno trovato morto Oreste Vannocci”.
Chi, il prefetto delle Fabbriche? No l’architetto... Ma se sono la stessa persona! Per quanto fidate, le guardie della Signoria di Mantova non sono tanto istruite, ma per il capitano di giustizia Biagio dell’Orso non cambia, sa bene che dovrà rinunciare al pochissimo riposo che una notte movimentata sembrava concedergli l’8 luglio 1585. Dell’Orso: dovrebbe ricordare qualcosa agli appassionati dei gialli storici di Tiziana Silvestrin. Le righe nere della vendetta è il secondo della serie alla corte dei Gonzaga, pubblicato dalla casa editrice napoletana Scrittura & Scritture in seconda edizione nel 2020 (296 pagine), a nove anni dall’uscita nel 2011. Nel 2009 era apparso il romanzo d’esordio di quella saga, I leoni d’Europa, capofila di cinque titoli nel complesso.
Biagio, realmente esistito e vero capitano di giustizia al tempo del Ducato rinascimentale di Mantova, non era probabilmente l’affascinante ed efficiente dignitario, non sempre allineato al politicamente e religiosamente corretto dell’epoca, che la scrittrice ha reso tanto simpatico.
Nata e attiva anche lei nella capitale dei Gonzaga (dove si distingue nella difesa dei diritti degli animali), Tiziana è approdata alla scrittura dal teatro, passando da una laurea in lettere. Studi umanistici, poi scene amatoriali: entrata in una compagnia di attori non professionisti, si è cimentata nella scrittura di commedie, scoprendo le doti di apprezzata narratrice grazie al successo in un concorso letterario.
Unendo la curiosità per la storia alla passione per gli eventi del passato e a una spiccata immaginazione — riconosce d’essere una grande sognatrice — ha cominciato a dare vita a caratteri di fantasia, facendoli interagire con non pochi personaggi autentici. Ovviamente, si è concessa libertà sui temperamenti individuali e sugli sviluppi delle vicende, ma il risultato è decisamente intrigante e i suoi romanzi sono piacevoli e coinvolgenti, in un contesto di attendibilità storica, che aggiunge motivi d’interesse. Tiziana si documenta costantemente e sostiene che la consultazione degli atti del Cinquecento l’abbia portata a rivivere con partecipazione le atmosfere in cui si muovevano uomini e donne, nobili e popolani, che animavano i palazzi, le strade, le chiese della Mantova che vede tutt’ora. E trasmette le sue emozioni ai lettori.
Dell’Orso è un uomo attraente, alto. Il corpo è asciutto e muscoloso, gli occhi scuri e profondi sono regolari, il volto accattivante sebbene atteggiato spesso in modo spigoloso e poco portato al sorriso, secondo l’amico Marcello Donati, prima precettore ora consigliere di Guglielmo Gonzaga. Piace alle donne ma è fedele all’amata Rosa, non piace alla Chiesa e all’Inquisizione, è uno spirito libero indomito.
Arrivando alla trama di questo giallo, se dietro la morte di Vannocci ci fosse un omicidio, sarebbe un delitto perfetto. La giovane vittima, il promettente architetto tanto apprezzato dal duca, era solo in casa, con l’uscio chiuso dall’interno. Biagio guarda il corpo del conoscente ventisettenne riverso in terra nello studio. Gli dispiace vedere penosamente raggomitolato quell’intelligente ragazzo toscano, che amava dipingere e raccontare storielle piccanti: le guance cianotiche, la bocca sporca di bava, le mani contratte a pugno contro il petto. È piegato in posizione fetale, il pavimento è cosparso di macchie e vasetti di pigmenti, che preparava per i suoi dipinti.
La moglie era a Siena dalla madre, con lui non c’era nessuno, ma lo avevano sentito urlare e chiedere aiuto. Il bargello Giò Morisco, bravo capo delle guardie, nega che possa essere stato aggredito da qualcuno, sebbene la stanza sia in grande disordine: due sedie rovesciate, una tela calpestata, un secchio rivoltato, l’acqua per pulire i pennelli sparsa per terra. Si direbbe sia stato colto da forti convulsioni e abbia combinato quel macello.
Un accesso di cattiva febbre malarica, ipotizza il duca Guglielmo, da quello che Donati riferisce all’amico Biagio. È stato assassinato, è invece il parere senza ombra di dubbio di un altro amico e vecchia conoscenza del primo titolo, il capace, infallibile speziale Hyppolito Geniforti. Da esperto erborista, ha riconosciuto sul posto un forte odore di sedano, caratteristico anche della cicuta virosa, una pianta tanto rara quanto altamente tossica, che cresce spontanea negli acquitrini del Mantovano. È stata somministrata per contatto, impregna la camicia indosso al cadavere: chi lo ha voluto morto ha nascosto le altre sotto un mucchio di legna, per assicurarsi che fosse l’unica da trovare a portata di mano per il cambio. D’estate, le punture di zanzare creano delle piccole lesioni sulla cute, attraverso le quali una sostanza velenosa può passare facilmente nell’organismo e compiere il suo lavoro letale.
Intelligentemente, Biagio dell’Orso decide di non rivelare che sia stato accertato l’operato di un assassino, in modo che chi abbia agito non si senta braccato e possa così commettere un errore.
Il cerchio, che si allarga alla grande Signoria medicea di Firenze, si stringe intorno a due malcapitati giovani. Accusati di ogni malefatta, rischiano il rogo. Una è Lucilla, nipote di Geniforti e brava apprendista speziale, a suo agio con sostanze e preparati.
Dell’Orso si mette a caccia del vero responsabile e per farlo deve raggiungere la Toscana. Ma fermiamoci qui, perché a Tiziana Silvestrin non vanno a genio le anticipazioni.
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