Il poeta italiano della guerra per eccellenza è Ungaretti, ma una degna rappresentazione è stata data anche dall’ermetico Salvatore Quasimodo.
Di rado invece viene citato Umberto Saba, che di solito si preferisce abbinare alla rima “fiore-amore” (la più antica, difficile del mondo), ai versi quotidiani del Canzoniere sulla vita e l’amore per Lina, oppure alla scontrosa grazia di una città come la natale Trieste. Saba, però, è stato anche un poeta di guerra, ce lo dimostrano i Versi Militari contenuti nel primo volume del Canzoniere (1920-1922) all’esperienza della guerra e dell’addestramento militare.
In queste poesie, alcune scritte durante il servizio di leva e altre nel corso della Prima guerra mondiale, è racchiusa una riflessione profonda sul senso di solidarietà tra eguali che il combattimento trasmette. Il poeta affermava di sentirsi in un “gregge”, per la prima volta parte di qualcosa; ma questa sensazione di fratellanza sperimentata durante l’addestramento diverrà sempre più vana una volta sperimentate le pene della battaglia vera.
In particolare Saba si sofferma sullo stato d’animo dei soldati che nei suoi versi non trasforma in eroi o “superuomini”, ma che ci restituisce in tutta la loro umanità, come uomini spaventati e fallibili.
Come scrisse in una lettera dal fronte divenuta celebre:
Mi pare che l’eroismo in guerra non consista nel non aver mai paura [...] ma nell’agire come se non si avesse paura.
Alle parole di Umberto Saba, che visse l’esperienza sul fronte in tutta la sua intensità drammatica, corrisponde un solenne rifiuto della guerra. La sensazione che prevale nei Versi militari oltre alla solidarietà umana-cameratesca che si crea in determinati contesti, è quella dello “smarrimento”.
Ammantata di una dolcezza malinconica, Marcia notturna di Umberto Saba ci parla del crudo orrore della guerra con un lirismo che commuove toccando il cuore più puro dell’umanità. Il verso diventa quindi uno strumento che amplifica le grandi domande esistenziali sulla vita e sulla morte, racchiudendo tutto il senso del nostro essere mortali.
In Marcia notturna l’atmosfera dolente e drammatica della guerra si lega intrinsecamente ai circuiti silenziosi del ricordo.
Vediamo testo, analisi e commento della poesia.
“La marcia notturna” di Umberto Saba: testo
Con le lanterne del tempo di guerra
si procede, e la luna ha un tenue velo,
tutte le chiare stelle ardono in cielo.
Oh, spegnete quei lumi, uomini, in terra!
Presso, nel mare, quell’argenteo gelo
trema, e ci segue. Ebbri di sonno, stanchi
di querelarsi e di cantare, i fanti
tornano sotto un luminoso cielo,
lungo il golfo che a me ricorda quello
dove nacqui, che a notte ha il tuo sorriso
malinconico, l’aria del tuo viso.
Cosi che intorno io mi ritrovi il bello
lasciato quando qui venni a marciare,
e i sonni dell’infanzia a ritrovare.
“La marcia notturna” di Umberto Saba: analisi e commento
La poesia di Saba ci restituisce una cornice analoga a quella evocata da Quasimodo in I soldati piangono di notte. Tuttavia, mentre Quasimodo riduce la parola all’essenziale, scarnificando il verso, Umberto Saba crea un’atmosfera più intensa ed evocativa. La natura diventa una presenza vivida in questi versi, come se i sensi dei soldati fossero in qualche maniera sollecitati dall’oscurità che impedisce loro di vedere oltre l’orizzonte rischiarato dalle lanterne.
Il contrasto luce-ombra ha un valore rilevante, quasi ossimorico, che in un gioco di opposti traduce la metafora vita-morte. La luminosità del cielo contrasta con il dolore e la morte che giacciono sulla terra. I soldati camminano in marcia attraverso una natura quasi idilliaca-paradisiaca dai rimandi bucolici: il mare, le stelle, la luna, tutto lascia pensare a un incantamento, che tuttavia si spegne presto nella stanchezza degli uomini che sono “ebbri di sonno”, ubriachi di fatica.
Si isola infine la coscienza del singolo soldato che, sotto quel cielo luminoso, si lascia trasportare dalla nostalgia rammentando la sua terra natale e le persone un tempo amate. Nella sua mente si fa strada il baluginio di un sorriso, come il ricordo che trema nell’acqua del pozzo evocato da Montale in Cigola la carrucola del pozzo; forse è il ricordo della donna amata? La presenza di una persona si mescola all’atmosfera del paesaggio nel verso che richiama “l’aria del tuo viso”.
Infine il ricordo svanisce e si riaffaccia in tutta la sua crudezza lo spettro della guerra: l’uomo sente di essere condannato a “marcire” - un verbo che riflette la condizione mortale, il processo stesso del morire - ma rammenta la perduta infanzia, quando ancora sperimentava solo il “bello” della vita, inondato dalla luce di un’inesausta vitalità.
Il contrasto vita-morte sulla quale si regge l’intera poesia emerge solamente nel finale che sembra racchiudere una domanda esistenziale straziante: perché dovremmo morire dal momento che siamo nati?
Il ricordo d’infanzia del soldato evocato da Umberto Saba richiama una condizione comune a tutta l’umanità: tutti gli uomini sono stati bambini un tempo. Questi soldati (Ungaretti li paragonava, non a caso, a foglie sugli alberi d’autunno) sperimentano a ogni passo la fragilità dell’esistenza, camminano su un terreno cedevole, perennemente in bilico tra il vivere e il morire.
Il sentimento dominante che pesa sui loro cuori è la nostalgia per una vita ormai perduta - irrimediabilmente lontana, come la loro infanzia.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La marcia notturna” di Umberto Saba: una poesia contro la guerra
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