La città straniera
- Autore: Ada Murolo
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2022
Ada Murolo l’ho conosciuta e apprezzata quando ho letto il suo libro Il mare di Palizzi (Frassinelli 2013), che racconta “una Calabria assolata e nobile, povera e aristocratica, le radici della sua famiglia e della sua identità”. Poi tempo addietro mi ha fatto avere questo piccolo libro di racconti, La città straniera (La Città del Sole Edizioni, 2008), ora ripubblicato ed ampliato.
In copertina, un carboncino della stessa autrice, un ritratto di sua sorella, e in esergo una lunga poesia del 1918 di Giuseppe Ungaretti, “Girovago”, che appare una sorta di sintesi di quanto Ada Murolo ci racconta nei brevi racconti della raccolta. Tante città appunto, Roma, Budapest, Gardone Riviera, nelle quali la scrittrice si trova a vivere e a descrivere.
Ecco Trieste:
La mattina era limpida e la città splendeva giù in fondo alle Rive, oltre la darsena e il molo, il mare era chiaro e lucente…
La voce narrante cerca di affittare un pianoforte per sua figlia che studierà al conservatorio, ma l’ostilità del titolare della ditta Kohn la respinge: si trova in una città straniera, respingente, lontana. Anche il racconto “Il sanatorio triestino” documenta l’esperienza di quella città:
Una magnifica costruzione asburgica dei primi del Novecento
Trieste viene descritta in modo dettagliato nella sua decadente bellezza architettonica, mentre si aggirano nelle salette in attesa del Professore personaggi che parlano in dialetto, ostili anche loro alla donna in attesa di essere ascoltata.
Un racconto quasi surreale, breve come un’epifania joyciana, è quello intitolato “In memoria di E.A.P.”: la narratrice scorge un dirimpettaio a pochi passi da lei, in una serata ormai quasi conclusa; l’uomo declama dei versi, difficilmente riconoscibili, Dante o Ariosto forse, ma il vero problema è l’impossibilità di dialogare fra i due, il disagio di doversi intrattenere con un estraneo, il desiderio irrefrenabile di scavalcare il davanzale e gettarsi di sotto, una ipotetico “piccolo elegante volo”.
Molto intrigante il racconto che Murolo intitola “Euthanasia”, sul tema inquietante della volontà di morire, della impossibilità di riuscire a farlo.
Sembra di leggere una delle Operette Morali leopardiane: la Natura, l’uomo in sua balia, la scienza, “L’uomo è natura e Natura imperfetta”, e alla fine, mentre viene eseguito un quintetto per archi di Schubert, nel giardino dell’ospedale si consuma in silenzio una inattesa e dolorosa morte annunciata.
L’ultimo racconto, “La Habana, agosto 2004”, sembra riassumere le esperienze di viaggio in città straniere alla ricerca spasmodica di “un paese innocente”.
Nell’isola caraibica, dove ha raggiunto la figlia Nina, la narratrice racconta i propri giorni nel caldo umido, in una stanza fatiscente, nell’attesa di un uragano che potrebbe spazzare via case e persone.
Non c’è possibilità di fuga, i voli aerei sono bloccati, non resta che rifugiarsi nella piccola casa della figlia senza finestre all’esterno:
Mi sono sentita in trappola, sentivo questo orrore della prigionia, in attesa che la lama d’acciaio squarciasse ancora un poco le tenebre della prigione…
La cosa che più colpisce nella raffinata prosa di Ada Murolo è la ricchezza del lessico, l’eleganza delle citazioni, la capacità di sintetizzare in pochi tratti atmosfere dense di angoscia e di mistero: il mistero dell’esistenza, della vita e della morte, dell’attesa e della ricerca filosofica del perché dell’esistenza di noi umani.
“Il ritmo del tempo dei mortali aveva ripreso il suo fantasioso percorso”
Frasi brevi, icastiche, efficaci. Una prosa che sfiora la poesia.
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