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Recensioni di libri

L’ultimo legionario di Guido Pallotta

Diarkos, 2021 – Memorie dal vivo della repubblica dannunziana del Carnaro, nazionalista, ribelle, apartitica, libertaria, lontana dall’assolutismo mussoliniano, ma il regime l’ha fagocitata e svuotata dei contenuti trasgressivi.

Felice Laudadio
Felice Laudadio Pubblicato il 03-06-2022
L'ultimo legionario

L’ultimo legionario

  • Autore: Guido Pallotta
  • Genere: Romanzi e saggi storici
  • Categoria: Saggistica
  • Anno di pubblicazione: 2021

Poco più di un secolo fa, l’impresa di Fiume scriveva una pagina di storia e di rivoluzione sociale (senza freni e precedenti istituzionali) mai più ripetuta in Europa. Nazionalista, ribelle, apartitica, la Repubblica dannunziana del Carnaro è stata un’esplosione libertaria decisamente lontana dall’assolutismo mussoliniano, eppure il regime l’ha fagocitata, svuotata dei suoi contenuti trasgressivi, dissimulata nella propria massa conformista irregimentata in orbace.

L’introduzione di Giordano Bruno Guerri al volume L’ultimo legionario fa giustizia di tante piatte assimilazioni della stagione fiumana alla causa fascista. Presentando le memorie di un legionario fiumano diciottenne, il forlivese Guido Pallotta, lo storico e saggista toscano commenta le due sezioni del volume: una ricostruzione storica del periodo fiumano e il diario finora inedito del giovanissimo protagonista. Entrambe sono a cura del giornalista Aldo Grandi (editore-direttore di quattro quotidiani online a Lucca), per la casa editrice romagnola Diarkos, realtà editoriale che nasce dalla passione per i libri di qualità: “Prima sognatori, poi lettori appassionati, infine editori consapevoli alla continua ricerca del bello”.

Guerri fa notare che pur avendo tradito in modo spregiudicato D’Annunzio, accordandosi segretamente con Giolitti, Mussolini ha saccheggiato tutto quanto avvenuto a Fiume, tranne il documento più importante, la modernissima Carta del Carnaro. Con l’aggiunta del culto del Capo, la stagione fiumana diventa “una fabbrica di eroi, secondo la mistica fascista”. Ma se il principale collaboratore di D’Annunzio a Fiume, Giovanni Giuriati, sarà segretario del Fascio nazionale, il secondo morirà in esilio da antifascista, Alceste De Ambris.

Nella repubblica irredenta c’era di tutto, futuri antifascisti e fascisti, sognatori e delinquenti, avventurieri e patrioti. C’era anche un minorenne forlivese, Guido Pallotta, imbevuto di retorica e patriottismo: non vedeva l’ora di agire, non avendo partecipato alla Grande Guerra. Ha redatto il diario poco dopo gli eventi, nel 1923, in una situazione del tutto diversa, quando D’Annunzio si era ritirato sconfitto a Gardone Riviera e sanava l’orgoglio ferito con la costruzione del Vittoriale, mentre Mussolini andava consolidando il potere, dopo la Marcia su Roma.

Quando scrive, “Pallotta è già fascista e si vede fin troppo”, riconosce Guerri, anche per questo il volume consente di verificare, “quasi in contemporanea”, come il regime abbia fatto propria l’impresa fiumana, prendendone tutto — miti, modi, riti — tranne lo spirito giovanile inedito, che aveva “trasformato un colpo di mano nazionalista in una rivoluzione libertaria”, in una democrazia. A Fiume avevano cittadinanza diritti e comportamenti individuali spregiudicati, si praticava la parità dei sessi (e il libero amore), tutti votavano ed erano eleggibili dai vent’anni. A scuola le lezioni venivano impartite in tutte le lingue delle etnie. Era vietato qualsiasi insegnamento religioso e politico. Si provvedeva all’assistenza sociale per malattia, invalidità, disoccupazione, vecchiaia. Lavoratori e padroni condividevano un sistema corporativo. Il lavoro doveva consentire “fatica senza fatica”. Vigeva una sensibilità pre-ecologista: ci si preoccupava della tutela d’ambiente, della salubrità dell’aria e della difesa del paesaggio.

Nei ricordi di un altro ragazzo legionario, lo scrittore Giovanni Comisso, a Fiume si faceva “senza ritegno ciò che si vuole”, si alternavano le forme di vita più basse e più elevate. Il diciassettenne Marcello Gallian avvertiva “un grande odore di perdizione”, la città conservava un che di sensuale, non c’erano regole, fantastico per i giovani. L’avventura aveva attirato i migliori e i peggiori, gli eroi e la “schiuma”, giovanissimi in fuga da casa, ufficialetti di complemento, reduci abbrutiti, agitatori politici, artistoidi, faccendieri e ricettatori.

Pallotta era nato a Forlì nel 1901. Dopo Fiume sarà segretario del Guf di Torino e giornalista. Volontario in Etiopia nel 1935-36, componente dal 1939 della Camera delle Corporazioni, morirà nel dicembre 1940, durante la controffensiva inglese in Libia.

L’area fiumana, abitata in maggioranza da italiani rispetto ai croati, era contesa con la neonata Iugoslavia. Incidenti con le truppe interalleate d’occupazione portarono la Conferenza di pace di Parigi a deliberare nel luglio 1919 l’espulsione dei militari italiani. I Granatieri chiesero a D’Annunzio di porsi al comando e occupare militarmente la città. Sostenuti da Mussolini, colonne di camion e autoblindo dei legionari varcarono il confine e occuparono la città il 12 settembre 1919, proclamando l’annessione all’Italia, che il Regno però non accolse. Mentre crescevano contrasti tra annessionisti e autonomisti, si affermò il progetto di un piccolo Stato autonomo. Il 12 agosto 1920 D’Annunzio proclamò la Reggenza del Carnaro.
A novembre il Trattato di Rapallo costituì Fiume in Stato libero e indipendente, non riconosciuto dai fiumani, che a fine mese resistettero in armi alle truppe del generale Caviglia, inviate a sgombrare l’occupazione. Solo il 31 dicembre, dopo combattimenti fratricidi, D’Annunzio rimise i poteri a un governo provvisorio. La questione venne risolta nel 1924, dagli accordi di Roma: la Iugoslavia riconobbe la città all’Italia, in cambio di Porto Barosa e del cosiddetto Delta.

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’ultimo legionario

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