Vladimir Di Prima è nato a Catania nel 1977. Fa il suo esordio con la silloge di poesie La teoria della donna fumante (ed. Greco 1999). Nel 2002 si aggiudica il primo posto al concorso nazionale di poesia "Sandro Normanno". Sempre nel 2002 pubblica il suo primo romanzo Gli Ansiatici, living in the pool (Prova d’Autore editore).
Oltre alla poesia e alla narrativa, Di Prima coltiva un’altra grande passione: il cinema. Nel 2005 gira “Shalev Hu Haiam”, un cortometraggio che vede, tra gli altri, l’attore mito di una certa Sicilia che non c’è più, Lando Buzzanca, e poi Lucio Dalla e i poeti Mario Grasso e Giancarlo Majorino.
Nel 2007 torna alla narrativa col libro Facciamo silenzio (Azimut editore). Nel 2011 legge un poema sperimentale in occasione del Lucio Dalla & Friends. Nel 2014 torna al romanzo con Le incompiute smorfie (Meligrana Giuseppe editore) e nel 2015 con la raccolta di aforismi Pensieri in faccia (Algra editore con prefazione di Arnaldo Colasanti).
Ma il libro che lo rende uno scrittore non più alle prime prove, ma con un suo stile riconoscibile, è Avaria (A&B Editrice), la storia di Morando, un quarantenne ancora con dei sogni incompiuti nel giornale in cui lavora, che finirà in un crescendo di novità e colpi di scena.
Poi arriva La banda Brancati, il romanzo rivelazione di Vladimir Di Prima (A&B Editrice, 2021): è su questo "caso editoriale" che faremo le domande allo scrittore e regista Vladimir Di Prima.
- Grazie per la disponibilità. Com’è nato questo libro molto bello, scritto benissimo? Era un romanzo a cui pensava da molto o è nato per caso?
Posso tranquillamente affermare che è nato per caso, un caso tuttavia fortemente indotto da un mio grande amico e scrittore, Renzo Paris. È stato quest’ultimo, infatti, a prospettarmi l’idea di scrivere qualcosa che avesse a che fare con la figura di Brancati.
- La presenza di Renzo Paris, con cui lei passeggia a Zafferana Etnea, è stata quella molla per scrivere di Vitaliano Brancati. Un concittadino tuttora di prestigio, che trovò poi fortuna a Roma. Com’è nato questo incontro?
Se intende l’incontro con Brancati posso dire che, essendo nato e cresciuto in un paese dove la sua figura ha significato moltissimo per la cultura locale, era inevitabile che accadesse. Il fascino e le suggestioni lasciate dal grande scrittore aleggiano ancora in questi luoghi. Con Paris invece ci siamo incontrati per la prima volta in una libreria romana (io presentavo un romanzo di Angela Capobianchi insieme alla poetessa Federica D’Amato); prima di allora avevamo avuto brevi scambi epistolari e qualche battuta sui social. Con Renzo c’è un’amicizia sincera, leale e profonda nonostante lo scarto generazionale.
- Personalmente io faccio molta fatica a districarmi tra memoir, diario biografico, romanzo con spunti autobiografici, autofiction. Lei ha capito subito quale stile prediligere? Come spiegare la forma da lei usata? Chi è il narratore e chi il personaggio?
Diciamo che io non ho ancora capito nulla della scrittura, men che meno della vita. È un argomento così complesso che incasellarlo per tentarne definizioni approssimative mi risulta ad oggi piuttosto sterile e vano. Nella stesura di questo romanzo ho seguito un istinto che poi è diventato stile per quella personale considerazione che ho della letteratura. Alcuni hanno parlato di metaromanzo, definizione molto azzeccata. Il protagonista è un certo Vladimiro che a un certo punto decide di scrivere un romanzo su Vitaliano Brancati; Vladimiro però non coincide con Vladimir, ovvero con l’autore della banda Brancati.
- La scomparsa di Brancati troppo presto, che in ogni caso era riuscito a farsi una famiglia, a sposare la bella e affascinante Anna Proclemer, una bravissima attrice teatrale, le varie discussioni in televisione sui pericoli di vivere a Zafferana, troppo vicina al vulcano. Ha mai desiderato di abbandonare la Sicilia?
La Sicilia ha due dimensioni: una sociale, angosciante e oppressiva, e l’altra amniotica. Se la prima provocherebbe un desiderio di abbandono sin dai primi vagiti, la seconda è quella che frega. Il vulcano, i suoi declivi, i boschi e poi il mare sono elementi che creano indiscussa dipendenza. Conservo certamente una visione molto ristretta del mondo, ma in questo spicchio di terra credo vi sia riposta tutta la bellezza di cui gli occhi, quantomeno i miei, hanno giornalmente bisogno.
- Poi c’è la storia della passione per il calcio. Mi spiega chi gioca bene e chi gioca così così tra narratore e protagonista?
Ho sempre sostenuto quanto il calcio sia la perfetta metafora della vita. Attraverso questa associazione sono giunto alla conclusione che tutto è determinato dal caso, che quella che volgarmente chiamiamo fortuna sia alla base del successo ritenuto quale momento di affermazione sulle masse. Il merito in sé non esiste come valore assoluto; il merito è un’invenzione strutturale, conveniente senz’altro, per rendere meno amaro lo sciroppo della vita. Nulla è dato al merito se non vi è il giusto incastro del caso. Vladimiro per esempio è goffo, impacciato, dimentica persino come si corre; vorrebbe, ma il calcio non è per lui. Vladimir viceversa è uno che questo sport l’avrebbe potuto praticare assai seriamente, ma, a un certo punto, la sorte non ha voluto. Nella fattispecie, però, non è affatto detto che sia stata una sfortuna.
- Qual è il suo ricordo di Sciascia? Quando lo ha letto e cosa le piacerebbe riportare nei suoi libri del suo stile?
Sciascia è un maestro per tutti quelli che intendono approcciarsi alla scrittura. Ho cominciato a leggerlo tardi, ovvero durante i primi anni di università. Di Sciascia mi hanno sempre affascinato lo stile e i ricami avverbiali, mai scontati, mai superflui. Personalmente ritengo che il suo esito migliore sia stato “Il Consiglio d’Egitto”, anche se ho amato tantissimo “Todo Modo” e gli “Zii di Sicilia”.
- Cosa pensa delle scuole di scrittura? Ce ne sono molte, alcune da molti anni. Cosa ci vuole per saper scrivere?
Delle scuole di scrittura non penso. E dico “non penso” nel senso di non volergli attribuire alcuna utilità o importanza. Sarebbe molto più utile l’istituzione di scuole di lettura o di pensiero. Ecco, bisognerebbe che gli uomini imparassero a pensare con profonda coscienza e non per induzioni di concetti prefabbricati e livellanti. Cosa ci vuole per saper scrivere? Ci vuole quello che io chiamo “il guizzo”, che non è tecnica, e neppure plot, e neppure perfetta conoscenza grammaticale. Il “guizzo” è la voce del folle in mezzo alla piazza che a un certo punto avverte dell’invasione degli orsi (in Sicilia, per dirla con Buzzati).
- Quali sono i suoi scrittori di riferimento? Quali sono i libri che le danno la gioia di leggere?
Tutti i siciliani, naturalmente, da Verga a Sciascia, passando per De Roberto, Pirandello, Brancati, Patti, Aniante, Tomasi, D’Arrigo, Bonaviri, Bufalino. Poi ci sono i grandi russi di cui ho amato particolarmente Gogol. E come dimenticare Thomas Mann o Bernhard? E gli americani Faulkner e Roth? Se però devo confessare il mio preferito non posso fare a meno di citare quel grande che è stato Vladimir Nabokov, uno scrittore immenso, capace di scendere negli abissi dell’animo umano come pochi. I libri che danno la gioia di leggere sono quelli che vanno oltre il tempo della stagione perché traducono universalmente i vizi, le virtù e le fragilità dell’essere umano.
- La Sicilia e le donne, partendo da Il bell’Antonio, un uomo bellissimo che ha problemi ad avere una vita sessuale con la moglie. Quanto conta ancora lo struscio nelle vie principali o come Internet, invece, è entrato nelle case e quindi c’è la mania di chattare per conoscere altre persone?
Siamo prepotentemente entrati nell’era della digitalizzazione sentimentale; tutto passa per lo schermo di un computer o di uno smartphone. Lo struscio di cui parla sembrerebbe già un residuato storico, eppure l’essere umano ha, per sua natura, bisogno del contatto con l’altro. Temo che si vada verso un inesorabile isolamento dell’individuo dove le emozioni primarie saranno gestite, filtrate e controllate da una macchina. Anche il sesso è diventato oggetto di consumazione rapida nel grande market del fast-food relazionale. Noi stessi siamo oggetto di consumazione, (e non di ammirazione), per altri esseri umani. Questo è molto triste.
- Questo libro ha avuto anche la fortuna di un massiccio passa parola. Cosa può dire a chi vuole pubblicare un libro?
La Banda Brancati è un libro fortunato oltre il merito che può aver avuto il suo autore. E sulle ali di questa fortuna continua a riscuotere parecchio successo lungo tutto lo stivale. Il fatto che sia stato pubblicato da una piccola casa editrice lo rende ancora più fortunato perché lontano da logiche di mercato, bussole e baricentri. La Banda Brancati è infine un romanzo libero e questo il lettore lo percepisce sin da subito. A chi vuole pubblicare un libro dico di non cedere alle lusinghe di editori a pagamento, stamperie e ominicchi di malaffare. Un libro è una cosa sacra e pertanto va trattato con sacralità. Mai avere fretta, piuttosto studiare bene il catalogo degli editori seri e proporlo con cognizione di causa. E poi ricordarsi sempre che ogni rifiuto è un mattone verso la gloria, a meno che uno non confonda quest’ultima col successo e ne faccia una questione di profitto o, peggio ancora, di vanità. La vanità in letteratura è come la bugia: ha le gambe corte.
- Nel suo caso, dire solamente Vladimir Di Prima scrittore è una diminutio, perché lei è anche un regista. Quali sono le differenze sostanziali tra scrivere un libro e girare un film?
Non è affatto una deminutio anche perché scrittore io non mi ci sento ancora, figurarsi regista. Credo che le parole siano importanti; oggi si fa presto ad attribuire titoli. Credo che più rilevante, invece, sia il percorso di una persona. Solo alla fine di quest’ultimo potranno, semmai, utilizzarsi degli epiteti, ma solo per descrivere meglio l’autore. Film e romanzi hanno in comune la scrittura; può sembrare scontato, ma un film ancora prima di essere girato deve essere scritto. E se è scritto male è probabile, anzi piuttosto sicuro, che risulti un pessimo film. L’unica differenza sostanziale è che un libro è frutto del singolo mentre un film nasce dal lavoro corale di tante figure, tutte importanti, tutte fondamentali.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista allo scrittore Vladimir Di Prima, in libreria con “La banda Brancati”
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