Lo scrittore Piergiorgio Pulixi è nato a Cagliari nel 1982 e vive oggi a Milano. Di formazione classica, fa parte del collettivo di scrittura Mama Sabot, creato da Massimo Carlotto, insieme al quale ha pubblicato Perdas de Fogu, L’albero di microchip, Un amore sporco e Padre nostro.
Sempre con Carlotto ha scritto Lovers Hotel, la prima audioserie italiana, diffusa da Audible nel 2016.
Nel 2012 ha inizio la pubblicazione per E/O della quadrilogia poliziesca dedicata a Biagio Mazzeo. Dal primo volume, Una brutta storia (2012), all’ultimo, Prima di dirti addio (2016), la serie ha conquistato i lettori e riscosso diversi riconoscimenti.
La produzione di Pulixi non si ferma però alla serie di Biagio Mazzeo. Nel 2014 ha pubblicato L’appuntamento, sempre per E/O, e successivamente ha inaugurato una seconda serie thriller: I canti del male.
Tra i volumi più recenti, ricordiamo Lo stupore della notte (Rizzoli, 2018) e L’isola delle anime (Rizzoli, 2019, vincitore del premio Scerbanenco).
Angela Meloni e Alessandra Piras, che hanno recensito alcuni libri dello scrittore sul nostro sito, hanno preparato alcune domande per un’intervista all’autore.
Angela Meloni ha chiesto:
- Ciao Piergiorgio, benvenuto su Sololibri. Vorremmo iniziare questa intervista chiedendoti com’è nato in te l’amore per la scrittura.
È figlio della mia passione per la lettura. Soprattutto i primi tentativi creativi credo che siano dettati da una sorta di forma di “restituzione” di tutte le storie di cui ti sei impregnato negli anni, leggendo libri su libri. A un certo punto avverti quasi l’esigenza di provare a liberarti di qualcuna di queste storie che nel frattempo si è miscelata con le tue esperienze, con la tua sensibilità e con la tua visione della vita, diventando qualcosa di originale, di “tuo”. Ovviamente non accade a tutti i lettori, ma ad alcuni lettori molto forti sì. Per me è andata così. C’è stato un punto nella mia vita di lettore in cui leggere non mi bastava più. Era necessario provare a fare un altro passo. L’ho fatto, con esiti mediocri. Ho persistito. Ho sbagliato ancora. E ancora. Fino a che ho iniziato a migliorare, e alla fine anche ad apprezzare questi tentativi di scrittura.
- Il tuo ultimo romanzo è stato pubblicato nel 2019 da Rizzoli e si intitola L’isola delle anime. Com’è nata questa storia?
Dal desiderio di raccontare la mia terra attraverso gli stilemi del genere noir/thriller, perché ritenevo che attraverso la letteratura di genere avrei potuto raccontare diverse “anime” dell’isola. Mi piaceva l’idea di descrivere una Sardegna poco conosciuta – le zone più interne e remote dell’isola – ibridando il thriller con elementi di archeologia e antropologia, elementi esoterici e metafisici, che stuzzicassero e coinvolgessero i lettori. È stato un libro di rottura rispetto ai miei precedenti, per tanti motivi. In più c’è una coppia investigativa tutta al femminile, formata dalle ispettrici Eva Croce e Mara Rais. Mi piaceva l’idea di raccontare due giovani donne molto diverse, che all’inizio della storia non vanno per niente d’accordo, ma che per risolvere il caso dovranno in qualche modo serrare i ranghi e fare fronte comune contro l’orrore che le si dipanerà innanzi.
- Da dove prendi ispirazione per le storie e per creare i tuoi personaggi?
È difficile rispondere a questa domanda, perché ogni romanzo ha una propria genealogia, e spesso metodi di lavoro e ispirazione variano parecchio. In generale posso dire che sicuramente ci dev’essere sempre una base di realtà, un caso di cronaca, un delitto, un’indagine che nasce nella realtà e che poi trasfiguro letterariamente. A volte anche i personaggi nascono sotto suggestione di persone reali che mi capita di incontrare. Molto più spesso, però, i personaggi sono un’accozzaglia di tratti di persone reali che metto insieme creando un personaggio/persona che contiene tante sfaccettature diverse e che quindi non esiste “assemblato” in quella maniera nella vita reale. Altre volte, invece, capita che m’imbatta in persone reali che sono perfette per una storia e le traspongo di getto nel romanzo, senza troppe cortesie.
- Basta aver letto pagine e pagine di romanzi gialli, noir e thriller per scrivere una storia di questo genere? Che consigli dai a chi voglia scriverne una?
Leggere e aver letto tantissimo è un discrimine basilare. Scrivere è un qualcosa che impari soprattutto leggendo gli altri. Ed è un processo che non arriva mai a conclusione. Esistono dei romanzi perfetti. Ma non esiste uno scrittore/scrittrice perfetto/a. Nel senso che è un’arte che non puoi mai dire di padroneggiare totalmente. Ci puoi riuscire per un po’ di tempo – se sei fortunato – ma non è un qualcosa che puoi dare per scontato. Te la devi conquistare e guadagnare giorno per giorno. Se ti adagi, finisce. Il consiglio che darei a chi volesse intraprendere questa strada è quello di farlo con serietà, tenacia e passione, ma suggerirei soprattutto di divertirsi. Scrivere dev’essere anche un divertimento, un piacere. Il lettore avverte subito quando un romanzo non ha un’anima. E solitamente questo accade quando la sua autrice o autore non si sono divertiti scrivendolo, ma l’hanno buttato giù in maniera meccanica.
- Fai parte del collettivo Sabot creato da Massimo Carlotto. Vuoi raccontarci la tua esperienza di scrittura a più mani?
Scrivere a più mani è davvero complicato. Devi azzerare qualsiasi egocentrismo e qualsiasi velleità personale, e mettere te stesso e la tua professionalità al servizio della storia. Non del gruppo. Della storia, che è un qualcosa di diverso. Ciò significa che tutti devono vedere con chiarezza qual è la natura della storia, qual è la sua drammaturgia più profonda, così che si possa remare tutti nella stessa direzione e con la stessa intensità. Se non si arriva a questa chiarissima comunione d’intenti, il gruppo – e quindi la storia – non funzionerà. Quindi la faccenda non riguarda soltanto il talento e lo stile dei singoli autori, ma soprattutto la sensibilità dei diversi scrittori all’interno del gruppo. Ovviamente se questa complicità è forgiata da una lunga amicizia o da un rapporto personale, sarà più facile arrivare a quella sintonia che ti permette di capire al volo gli altri. Per farla breve, per scrivere in gruppo è necessario maturare un talento empatico, emotivo, che ti porta a essere un tutt’uno con la storia e con gli altri autori. Non è facile.
Alessandra Piras ha chiesto:
- Con l’ispettore Biagio Mazzeo e con il commissario Vito Strega hai creato una saga noir avvincente che ha tenuto incollati i lettori (compresa la sottoscritta). La serialità negli ultimi anni ha avuto un successo sempre crescente e non solo in letteratura. Volevo chiederti cosa significa per te scrivere una saga e se ti senti maggiormente a tuo agio nello svilupparla.
Ottima domanda. Posso dirti che io mi diverto di più. Con la saga di Mazzeo mi sono divertito tantissimo. Era molto faticoso gestire tutta quella mole di personaggi, ma non c’è stato giorno in cui non mi sia presentato al pc con un’intensa gioia di scrivere e ritrovare quei personaggi. In qualche modo ci trascorri tanto di quel tempo insieme che diventano tuoi amici – so che sembra una cosa molto banale da dire, ma è così – ed è la stessa sensazione che credo provino i lettori: si sentono parte di un qualcosa, di un gruppo, di una famiglia, e non vogliono sentirsi esclusi, anzi: più si sentono coinvolti, più profonda sarà la loro immersione nella storia. Si crea quasi una dipendenza emotiva con alcuni personaggi che vedi crescere per diversi romanzi. Perlomeno è quello che io mi prefiggo come obiettivo: porta i lettori dentro la storia, lascia che si affezionino ai personaggi, e che si instauri tra loro una sorta di transfert emozionale. A volte accade anche nei romanzi stand-alone, ma è più complesso perché hai meno pagine per costruire quel rapporto.
- Oltre a romanzi, hai scritto anche racconti e hai collaborato alla stesura di diverse antologie. L’ira di Venere, del 2017, che ho recensito per Sololibri, contiene al suo interno tutti i fili conduttori della tua opera, in particolare la presenza femminile (come si deduce dal titolo della raccolta) e a cui hai dato una grande importanza negli ultimi lavori, e i percorsi psicologici che portano le persone verso il male, che non è un male cosmico ma un male dell’anima. Come mai ricorrono così spesso queste tematiche? Cosa vuoi dire ai tuoi lettori?
In realtà non voglio dire nulla di particolare, nel senso che non è il mio mestiere quello di lanciare dei messaggi, di analizzare la società o suggerire soluzioni psico/sociologiche per sanare la nostra comunità. Il mio compito è quello di raccontare delle belle storie. È chiaro che scrivendo soprattutto dei noir cerco di rappresentare la realtà nella sua essenza più intima e vera. Quindi sicuramente L’ira di Venere come anche altri lavori precedenti rispecchia degli spaccati sociali. Ma il mio intento principale è sempre quello di far viaggiare i lettori con la fantasia, emozionarli, farli divertire, regalando loro belle sensazioni. Se facendo tutto questo riesco anche far vedere loro un problema o una situazione da un punto prospettico diverso o addirittura inedito, allora ho vinto due volte. Aristotele diceva che il compito delle storie è quello di “intrattenere” e “illuminare”. Penso che intendesse l’illuminare come un disvelamento delle meccaniche interiori più profonde e sconosciute – soprattutto a noi stessi; quindi in qualche modo leggiamo per “evadere”, per “divertirci”, ma al tempo stesso leggiamo per venire a capo del mistero più grande che esiste: noi stessi.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista allo scrittore Piergiorgio Pulixi
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