

Nutro ancora vivido il piacevole ricordo di una bellissima serata trascorsa a lasciarsi letteralmente "rapire" dalle parole pronunciate dal giornalista Michele Sancisi e da Simone Annicchiarico, figlio di Walter Chiari, quando ad agosto dell’anno scorso, all’interno della splendida cornice del salotto letterario "Cervia, la spiaggia ama il libro", i due protagonisti hanno saputo più volte incuriosire, deliziare e sorprendere un pubblico vasto e attento, restituendoci in dono molto del vissuto multiforme e mai scontato di Chiari, stimato e rinomato attore e autore che, in realtà, non avrebbe bisogno di presentazione alcuna.
“100% Walter: Chiari. Biografia di un genio irregolare”: una biografia a quattro mani


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Ma si sa, le cose belle e divertenti, dall’eterno sapore autentico, si ha sempre voglia di assaporarle... ecco allora che, attraverso un lungo viaggio artistico e umano intrapreso grazie ai racconti accattivanti e sorprendenti di Sancisi e Annicchiarico, Walter ha lentamente preso forma, è diventato "corpo", si è fatto "anima" profonda: la sua presenza sembrava aleggiare nella brezza di quella serata estiva, uscire dalle mura stesse della caratteristica cittadina di Cervia, un tempo a lui tanto cara, per salire su quella piccola platea all’aperto, raggiungendo Michele e Simone, e sentirsi finalmente libero di fare il suo ennesimo show.
Nel centenario di Walter Chiari, nato l’8 marzo 1924, lo si è voluto omaggiare con un libro "verità" - la prima completa biografia su di lui, dal titolo 100% Walter: Chiari. Biografia di un genio irregolare, edito nel 2024 da Baldini+Castoldi - firmato a quattro mani, pregno di documenti inediti, testimonianze, aneddoti sorprendenti e ilari, oltre a chiaroscuri controversi che al contempo delineano nuove sembianze e fisionomie di un uomo straordinario.
Ho incontrato con piacere il figlio Simone e lo scrittore Sancisi, per parlare ancora una volta da vicino dell’indimenticabile Walter Chiari. (Ri)scopriamolo in questa interessante intervista che mi hanno gentilmente rilasciato.
Leggere era l’unica cosa al mondo che fermasse cineticamente mio padre, e vederlo immobile e in silenzio era merce rara.
L’intervista a Michele Sancisi e Simone Annicchiarico
- Affrontiamo il mondo della lettura: Simone, cosa pensi cercasse, volesse trovare tuo padre nei libri che leggeva? Era spinto da pura sete di conoscenza, animato da profondo spirito di curiosità, o motivato dal desiderio di colmare alcune “lacune”, una sorta di vuoto che rintracciava e sperimentava nel corso della vita di ogni giorno, all’interno della società?
S. Papà infilava romanzi ovunque: in valigia accanto al frac, nei cassetti del camper, in barca. Diceva che erano “barrette energetiche per il cervello”. A teatro li “bruciava” all’ultimo momento: un capitolo di Gogol, due pagine di Tolstoj, poi saliva in scena con un lessico steroideo – conosceva il doppio delle parole di un comico medio – e improvvisava come un giocoliere verbale. Leggeva per colmare non un vuoto, ma un surplus di curiosità; temeva solo l’ignoranza, mai il silenzio. Non smetteva mai di “rifornirsi” di parole: le sparava sul palco come proiettili di bellezza, perciò i libri erano la sua polveriera privata.
- Parliamo del concetto di libertà, a Walter tanto cara: Simone, per lui credi sia stata un semplice modo di essere del tutto naturale, spontaneo, sorretto quindi da un’indole unicamente dettata dal DNA, o si è trattato di un processo evolutivo, maturato nel tempo, in parte autoimposto da lui stesso, ovvero una specie di battaglia - peraltro vinta, a mio avviso - nei confronti del mondo circostante, legittimata dal voler contrastare schemi e aspetti di una realtà che a volte non gli piaceva fino in fondo?
S. Per Walter la libertà non era un traguardo ma il carburante: la sua unica “religione”. Gli veniva istintiva come un tuffo, ma la difendeva con la caparbietà di un avvocato anarchico. Se un contratto teatrale metteva un lucchetto all’improvvisazione, preferiva mollare il copione. Era una battaglia permanente – e spesso vittoriosa – contro l’ordinario. Per lui non era un valore astratto, era ginnastica quotidiana: cambiare strada a un semaforo, smontare un copione durante la pausa cena, partire per l’Australia “domani mattina” – magari alle 17 era già tornato.
Casa sua era il mondo (e non esagero) e tutte le persone che lo amavano erano i suoi parenti. […] Perché Walter non era solo un uomo in carne e ossa, ma era anche un fumetto, un’idea, era Errol Flynn mischiato a Jacques Cousteau; e i fumetti, gli eroi e le idee non muoiono mai.
- La solitudine: Simone, quale era il rapporto di tuo padre con il sentirsi o restare solo? Pensi abbia voluto allontanarla, sconfiggerla, o in alcuni momenti particolari l’abbia desiderata e cercato il silenzio?
S. Era un nomade iper-sociale: parlava con chiunque, ma abitava in valigia. La solitudine lo spaventava solo se imposta; quando poteva sceglierla diventava un silenzio creativo – la pausa prima dell’ennesima raffica di battute. Non la cacciava via: la piegava a pausa scenica. Quando la platea si spegneva, accendeva la lampada dell’albergo e smontava i suoi sketch come un orologiaio: la notte era il suo laboratorio. E quando ne aveva abbastanza, la solitudine la schivava chiacchierando con il portiere finché diventavano le tre.
- Rapporto padre-figlio: Simone, desidero uscire dagli schemi, allontanarmi da cose che già si conoscono, per chiederti invece… se dovessi pensare a un ribaltamento dei ruoli, ovvero se tu fossi stato padre di Walter, che genitore saresti stato? E lui, Walter, che figlio pensi sarebbe stato per te? Come lo immagineresti il vostro legame?
S. Gli avrei messo un localizzatore GPS e una valigetta di vitamine! Scherzi a parte, sarei stato il genitore che tenta di insegnargli il risparmio (fallendo in tre minuti). Lui, come figlio, avrebbe portato a casa pagelle piene di note: “partecipa troppo”, “fa ridere la classe”. Ma ogni nostra punizione sarebbe finita in risata collettiva: Walter trasformava i rimproveri in sketch e a quel punto chi sarebbe riuscito più a sgridarlo?
Non chiedere alla foglia di non muoversi, non può, c’è il vento. Non chiedere al sole di fermarsi alto nel cielo, non può, c’è la notte. Non chiedere all’uomo di vivere in eterno, non può, c’è la morte. E non chiedere a me di non amare, non posso, ci siete voi.
- Teatro vs cinema: Michele, dove credi si esprimesse al meglio Walter? Quale era il campo dove poteva fare ampiamente sfoggio della sua autenticità e peculiarità? Quali erano per lui i pregi e/o i limiti appartenenti a queste due dimensioni artistiche?
M. Innanzitutto Chiara, grazie per questa intervista a tre voci, ci fa molto piacere parlare di un libro con un’altra scrittrice. Per rispondere alla tua domanda: il cinema lo conteneva a fatica. Steno diceva che Walter “era troppo grande per il cinema”, infatti spesso non ci stava dentro, perciò sceglieva film comici veloci, adatti alla sua rapidità mentale. A teatro, invece, Walter poteva incendiare la platea fino al mattino, senza rete e senza copione: era l’habitat del suo talento anfetaminico. Sul set, i registi d’autore lo trovavano ingestibile (vedi Visconti che gli fece rifare una scena 32 volte finché vomitò sul set di Bellissima); sul palcoscenico era lui il regista invisibile che dirigeva pubblico e compagni di scena.
- Il dolore: Michele, cos’era per Walter la sofferenza? Quale sentimento nutriva, quale atteggiamento adottava nei suoi confronti? Era un peso da sopportare che andava accettato con naturalezza e serenità come parte inevitabile, integrante della vita, o un’ombra inquietante che a volte incombeva e andava esorcizzata sempre e comunque con il sorriso, le risate, la ricerca del buonumore?
M. Per lui era un avversario da stendere a colpi di barzellette. Dopo il soggiorno in carcere del ’70 pensava che fosse “finito tutto”, poi scoprì che la risata è un assicuratore sulla vita: più cadeva, più si rialzava con un monologo nuovo. Il dolore lo spaventava, ma gli forniva materiale pirotecnico. Lo interrogava e subito lo convertiva in racconto. Il dolore era il suo ghost-writer.
- Figura decisamente complessa, affascinante e poliedrica il “camaleontico” Walter Chiari. Michele, se dovessi scegliere fra i classici quattro elementi naturali - terra, fuoco, aria e acqua -, quale incarnerebbe al meglio, e perché?
M. Fuoco, senza dubbio: si accendeva in un lampo, scaldava tutti (“si dà fuoco ogni sera per scaldare gli amici”, dice Marchesi) e, come ogni incendio, consumava anche sé stesso pur di far luce. Dunque di base fuoco, ma con la fluidità del mercurio: brucia, illumina, e intanto scivola via in forme imprevedibili. La sua dolcezza e il suo candore sembravano evocare l’elemento acquatico, il suo gusto per i dialetti e i vecchi comici come i De Rege fanno pensare alla terra. Ma l’ultima frase del libro è una citazione dello stesso Walter che diceva: “ho seminato solo vento”.
La prima e più importante chiave di lettura per capire Walter Chiari è la sua quasi totale mancanza di paura. […] Walter era fuori dall’ordinario, e se aveva dèmoni, li tirava fuori in silenzio, lasciava che venissero in superficie quando era lontano dagli altri.
- Parliamo di nostalgia. Verso fine libro Simone afferma: “Questo ci ha sempre legati, voglio dire il fatto di sentirci cittadini del mondo e mai nostalgici di nessun posto”. Michele, come viveva Walter questo stato d’animo? Cosa rappresentava la nostalgia per lui? Una forma di debolezza, insicurezza, qualcosa da allontanare, evitare, una “sindrome” facilmente trascurabile, inutile?
M. Era allergico al “come eravamo”. Si definiva “nomade velocissimo”, sempre in partenza verso la prossima storia da raccontare. La nostalgia era un freno a mano che rifiutava di tirare: viveva nel presente continuo, con lo sguardo fisso al pubblico di domani, il passato lo interessava solo per farci satira. Conservava foto, poi disegnava baffi a Totò o balloon ironici: non cancellava la memoria, la riciclava, la reinventava, ci giocava.
- Il concetto di vecchiaia. Walter ci ha lasciati molto presto, è innegabile. Michele, come immagini sarebbe potuto diventare durante l’anzianità? Quale ritratto, tratteggio ne ricaveresti? Quali sarebbero per te i colori, i chiaroscuri di un Walter “invecchiato”?
M. Un Walter anziano non lo vedo, era definito “l’eterno ragazzo”. Se proprio mi sforzo, lo immagino con rughe da marinaio e la stessa curiosità infantile: avrebbe fatto stand-up in un teatro tascabile, magari raccontando l’Italia via podcast. Capelli d’argento, battute di platino, zero pensionamento: Walter sarebbe invecchiato come “vento di ponente”, portando aria nuova anche fra acciacchi e memorie, magari a condurre un late show fra un sugo e una barzelletta.
- “Ho prodotto solo vento. Un vento fatto di tante piccole o grandi folate di gioia, risate e spensieratezza, buonumore e ottimismo”, sono le parole che ha dichiarato Walter in una delle sue ultime interviste. Secondo lei, Michele, rimanendo metaforicamente in tema, quale vento specifico - o forse più di uno? - incarnerebbe Chiari? Garbino, maestrale, scirocco, tramontana, libeccio o grecale, e perché?
M. Un mix di libeccio e maestrale: caldo e imprevedibile il primo, pulito e appuntito il secondo. Folate che sorprendono e spazzano le nuvole, proprio come faceva lui con la tristezza degli italiani. Walter era così: tempesta di allegria, poi aria tersa che ti faceva vedere le cose con più luce. Era un vento rigenerante!
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Michele Sancisi e Simone Annicchiarico, autori di “100% Walter: Chiari. Biografia di un genio irregolare”
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