Racconto-inchiesta è Il teatro della memoria, scritto da Sciascia nel 1981 e pubblicato da Einaudi lo stesso anno (edito per Adelphi dal 2004, insieme a La sentenza memorabile). Potrebbe configurarsi una “vacanza” intellettuale rispetto ai suoi impegni dell’attività parlamentare, ma in realtà la tematica, che prende le mosse da un fatto realmente accaduto con eclatanti conseguenze giudiziarie (1927-1931), focalizza il rapporto verità-menzogna.
Non può sfuggire la suggestione della commedia di Pirandello Come tu mi vuoi, dove all’Ignota i personaggi attribuiscono le sembianze di una loro congiunta durante la prima guerra mondiale. A seguito della rappresentazione della commedia, cui assiste a Torino nell’autunno del 1979, Sciascia ne parla con la regista:
"Tre mesi fa, in un ristorante romano, con Susan Sontag lungamente ho parlato di questa commedia di Pirandello che avevo riletto e come riscoperto la sera avanti: ma non mi si era nemmeno per un momento affacciato il ricordo di come la commedia era nata, del fatto di cronaca, dell’affaire da cui la fantasia di Pirandello era stata evidentemente sollecitata. A Torino, invece, mentre dalla voce di Adriana Asti ascoltavo le battute dell’Ignota, ecco la memoria di spiegare il caso – e le immagini – che proprio qui aveva avuto la sua prima celebrazione giudiziaria, il suo primo teatro".
Lo smemorato di Collegno
Le suggestioni e gli inganni della memoria, tra ambiguità e ambivalenze, fanno scorgere allo scrittore un legame fra la commedia e il caso dello smemorato di Collegno. Siamo nel 1926. Uno sconosciuto viene sorpreso nel cimitero israelitico di Torino a rubare un vaso funerario di bronzo. Dando segni di squilibrio, è accompagnato dalle guardie municipali in questura da dove viene trasferito nel manicomio di Collegno.
Il 6 febbraio del 1927 la “Domenica del Corriere” pubblica nella rubrica "Chi lo conosce?" la foto di un barbuto sui quarantacinque anni. È l’uomo di Collegno che ha perduto la memoria. Nessun’altra identità egli possiede tranne il numero di matricola. Inaspettatamente, di identità ne affiorano due. Chi è lo sconosciuto? Guido Canella, che ha una moglie piacente, un rispettabile “milieu” e una buona agiatezza? O il miserabile Mario Bruneri, ricercato per truffa e soltanto colmo di guai?
L’accurata ricostruzione di Sciascia
Il caso attira l’attenzione di Sciascia che, utilizzando le fonti dell’epoca, lo indaga con l’accanimento del detective e il bisogno di verità dello scrittore. Percorrendo la memoria della sua infanzia, scrive:
"Ricordo con quale ansietà si aspettava in famiglia il “Giornale di Sicilia”: e prima si cercava, e si comunicava agli altri, la notizia relativa allo ‘smemorato di Collegno’, poi la puntata del romanzo storico di Luigi Natoli – e che altro c’era da leggere su un giornale italiano dell’anno 1927, quinto dell’era fascista? E ricordo anche le scommesse che sull’identità dello smemorato si accendevano nei ‘saloni’ dei barbieri, nei circoli. Così nitidamente, sempre più nitidamente nella presbiopia della memoria ricordo: al punto che la vicenda dello smemorato potrebbe oggi servirmi a costruire quello che i trattatisti dell’arte della memoria chiamano ‘teatro’: cioè un sistema di luoghi, di immagini, di azioni, di parole atto a suscitare nella memoria altri luoghi, altre immagini, altre azioni, altre parole: in continua proliferazione e associazione. E siamo così a Proust: a una forma di ‘occultismo’ non sospettata dai trattatisti dell’arte della memoria".
Ecco alcuni aspetti che sorprendentemente si susseguono. La moglie del veronese professor Canella, incontrandosi con lo smemorato nel manicomio di Collegno, crede di riconoscere in lui il marito disperso nel fronte della Macedonia nel 1916. Pirandellianamente vuole convincersi d’averlo ritrovato ("E non c’è prove contrarie che tengano, quando si vuol credere!"). Lo smemorato, mettendo in moto l’astuzia, è certo: lei è sua moglie e con lei torna in famiglia per condurre una vita agiata anche in compagnia dei suoi figli.
La descrizione dell’incontro tra i due ha una forza compositiva sorretta dallo sguardo acuto e scrupoloso, ironico e penetrante dello scrittore e a risultare efficace è la rappresentazione dello smemorato che sta al gioco, assumendo da impostore l’identità del marito.
Suggestionano anche i brani in cui gli vengono fornite testimonianze del suo passato al fine di consentirgli il recupero dell’identità smarrita (“Stante il teatro di memoria che la signora Canella e i suoi amici andavano costruendo”), ed egli è così abile di calarsi nella parte come un attore, di farlo proprio quel “sistema di memoria”. Basti dire che dopo il riconoscimento la signora avrebbe voluto con lui recarsi a Desenzano del Garda, dove in viaggio di nozze aveva trascorso un soggiorno.
Ecco che un’altra donna ne rivendica l’appartenenza: il preteso smemorato non sarebbe il professore di filosofia, ma Mario Bruneri, un tipografo torinese squattrinato e pregiudicato per furti e truffe, riconosciuto da Rosa Negro come suo marito. Nasce così la duplice identità e la vicenda giudiziaria riguarda appunto la contrapposizione di due realtà perché si stabilisca l’identità dello smemorato: la borghese famiglia Cannella e il mondo ai margini della malavita dei Bruneri.
La sentenza, emessa a seguito di prove giudiziarie, riconosce nello smemorato il tipografo torinese. E c’è da dire che prima della conclusione del caso, la signora Canella aveva avuto altri due figli con il marito "ritrovato", trasferendosi con la famiglia in Brasile, dove da emigrante era andato il padre di lei e lì aveva avuto fortuna. Come era stato possibile per lui, sprovvisto di passaporto, quel viaggio?
La signora Canella: convincersi di un’illusione
Sciascia assume le difese di Giulia Canella, l’unica persona che ha creduto o voluto credere a prescindere dalle prove contro di lei (“credeva o voleva fosse suo marito – voleva e credeva”). Per lei l’illusione è vissuta come certezza; rifiuta l’evidenza dei fatti e sceglie l’autoinganno:
"”Tutto questo chiasso” – come lei definiva perizie e disconoscimenti – si spegneva ai piedi della signora Canella: immobile nella sua certezza, trionfante nel suo amore. “Io so – diceva – che il mio Giulio è il mio Giulio: il resto non conta”. E all’"Observer" dichiarava: “Da quando l’ho riconosciuto, non ho mai dubitato e non dubiterò mai. Tanto più dopo aver vissuto in intimità con lui, mio marito. È il fisico che me lo dice, ma soprattutto è la sua personalità morale e intellettuale. Sono incrollabile e pronta a lottare fino alla vittoria"”.
È decisa la signora Canella, si lascia guidare dall’intuito e non dà segni di cedimento malgrado l’evidenza dell’impostura: la sua e quella dell’altro che ha fatto di tutto per immergersi nella vita del professor Canella. Un fatto di cronaca, dunque, di cui Sciascia si è servito per muoversi nel regno degli enigmi che irretiscono l’essere umano in una realtà insondabile, contraddittoria e del tutto imprevedibile. Se lo scambio delle parti non fosse accaduto, senza “quel teatro della memoria che si illuminò a Collegno per merito di Mario Bruneri”, di Giulio Canella non si sarebbe mai parlato.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: "Il teatro della memoria": lo smemorato di Collegno raccontato da Leonardo Sciascia
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