Il muro invisibile
- Autore: Harry Bernstein
- Casa editrice: Piemme
Due file di case affacciate su una strada in una cittadina a Nord dell’Inghilterra. Un bambino scorazza di qua e di là e non si accorge che ogni volta, attraversando la strada, è come se passasse attraverso un muro invisibile. Lo scoprirà pian piano quando prenderà coscienza della diversità tra ebrei e cristiani.
Harry ha solo quattro anni quando il racconto inizia: è l’ultimo figlio di una famiglia ebrea, il padre perennemente ubriaco sperpera il suo misero salario, la madre s’ingegna come può per far quadrare i conti. Inconsapevolmente si ritrova ad essere il messaggero di un amore considerato proibito tra un ragazzo e una ragazza ai lati opposti della strada. Quando questo amore verrà scoperto sarà una tragedia per le famiglie e Harry ne rimarrà particolarmente segnato.
Poco tempo dopo la sorella maggiore Lily stringe un’amicizia sempre più forte con un coetaneo cristiano, Arthur, e gli eventi turbano sempre più l’animo del piccolo Harry. I pregiudizi sono troppo forti e, travestiti da un’errata concezione del credo religioso, rischiano di annientare anche gli affetti familiari più cari. Come sogno di riscatto appare sempre l’America, meta lontana, luogo di successo e riparo. La madre non fa altro che coltivare questa illusione specialmente quando le situazioni si fanno più difficili.
L’amore che nasce tra Lily e Arthur suona come una protesta troppo insensata per essere accettata e Harry non può far altro che veder andare le cose per il loro verso senza riuscire ad intervenire. La guerra spazza migliaia di vite umane, i lutti si alternano inesorabili da una parte all’altra strada con la stessa identica disperazione, eppure le coscienze non mutano. A fine guerra le idee saranno sempre le stesse. Solo il frutto dell’amore tra Lily e Frank sembra riuscire, anche se fugacemente, a costruire un ponte altrettanto invisibile per scavalcare il muro e congiungere le genti in una festa gioiosa di augurio alla nuova vita.
Il tema della diversità religiosa è trattato, in questo racconto di Berbstein, senza esasperazione, ma con la delicatezza di un affresco di vita dalle tinte sobrie. Non ci sono nè giusti nè ingiusti, solo esseri umani intrappolati nei loro ruoli codificati a priori senza lasciare spazio ai pensieri nuovi, ai punti di vista differenti, all’evoluzione dei tempi e delle coscienze.
E’ un libro che si legge mentre pare di passeggiare in quella strada, bussare alle porte, entrare nelle case, scambiare quattro chiacchiere e accorgersi che di qua e di là ci sono le stesse gioie e gli stessi dolori.
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grz mille mi hai salvato dalla lettura noisa e costretta del libro x la scuola... l’inizio l’holetto e ha iniziato a piacermi poi xò "avevo di meglio da fare"
Come riportare l’atmosfera di una strada abitata da cristiani ed ebrei raccontando i loro scontri, le diverse ideologie, il loro "razzismo reciproco", senza però cadere in giudizi e pregiudizi? Il modo migliore è quello di affidare la narrazione ad un bambino, che, inconsapevolmente, attraversa il muro invisibile che divide la strada ogni giorno. "Il muro invisibile" è un libro profondamente toccante, che ci spinge ad uscire dalle tante ideologie che ci ingabbiano (da ideologie, non dalla legalità e dalla giustizia con finto buonismo) e troppo spesso non ci permettono di vedere la ricchezza dell’altro, solo perchè ha fatto delle scelte di vita diverse dalle nostre...
Ho acquistato questo libro perché incuriosita dalla foto in bianco e nero di copertina: un bambino di 5 o 6anni di inizio secolo, il 1900 naturalmente. Entrando nella lettura, con poca convinzione per la verità, ho capito che era un racconto autobiografico e che coinvolgeva una famiglia nel suo nascere, una famiglia ebrea, in una strada fiancheggiata da strisce di case, cristiane l’una ed ebrea l’altra. Il fatto di essere ebrea mi rattristava alquanto e poi ho messo in quella tutte le diversità e le differenze che accomunano tutte le famiglie. Il bello e il brutto della convivenza. Da questa nuova lettura, che si è fatta via via più assidua e partecipata, ne ho tratto molti spunti di riflessione. Quello più cogente è stato la devastazione che opera la miseria. Non si salvano che pochi eletti, specie se riescono a far sopravvivere la loro forza e la voglia di riscattarsi e di crescere nell’informazione e nella cultura. Una madre, quella ebrea, quasi forte per la sua ingenua aspirazione a diventare di più,per sé e per i suoi figli, nel superare le ristrettezze economiche con la fantasia bambina e la tenacia di chi non vuol arrendersi. La sua ostinazione silente cresce a mano a mano che si riesce a delineare la figura del partner, un macigno di disumanità e di inutilità,messo lì solo per rendere ancor più arcigno il cammino di questa famiglia. Ho provato tanta rabbia verso questa figura, l’ennesimo testimone, se ce ne fosse stato bisogno, per mostrare il sempre duro impegno silenzioso e indispensabile all’umanità, operato dalle donne. Ebbene. Grazie a lei, al suo lavoro, alle sue modeste inventive, alle sue disponibilità, i figli hanno potuto scegliere di innamorarsi dei libri, non tutti, no, perché erano sempre latenti i geni del padre, che si rivelavano ogni tanto nelle contese, nelle gelosie e nelle imposizioni. Ho potuto conoscere credenze e superstizioni della religione ebraica, me ne sono incuriosita all’inizio, poi mi sono sentita sempre più offesa e disturbata. Non si può, per una religione, accettare tabù e limiti agli affetti, alle scelte di vita e al vivere quotidiano;non si può accettare quel muro invisibile fra casa e casa e seguirlo pedissequamente anche con i consigli e le esortazioni del rabbino, persone messe a bell’apposta per creare divisioni e differenze invalicabili. Così abbiamo potuto assistere a gesti di vera barbarie fra vicini e fra giovani, fra le famiglie e i suoi stessi figli che avrebbero voluto seguire le proprie scelte e hanno dovuto rinunciarci per sopravvivere. Mentre scorrono gli eventi, si sente sempre più il peso di questo muro, la necessità di abbatterlo e il desiderio che qualcuno dei protagonisti ci possa riuscire, per cui questo libro si può definire una invocazione alla unità dei popoli, quella che si respira nelle ultime pagine, in occasione del battesimo del figlio di Lily e Arthur. La stessa madre è la prova di questa necessità: accetta tutto quello che la religione impone, piange morta la figlia disubbidiente, ma poi corre a riabbracciarla oppure finge di restare nelle sue posizioni senza commentarle e lascia che gli eventi facciano leggermente il loro corso. L’affetto che unisce il protagonista e la madre ha questa magia: tentare fino all’ultimo di rivendicare le proprie forze e le proprie unicità, cercando nel silenzio e nella clandestinità condivisa il loro realizzarsi ; un’intesa fatta di mani che si ritrovano nel bisogno, sguardi vigili e pronti a capire, alleanze spontanee e dinamiche nelle contingenze: forza degli affetti che si ritrova solo nelle ristrettezze e nella negazione della libertà, un esempio che si va perdendo oggi anche fra le mura domestiche, dove crediamo di trionfare da soli e a dispetto degli altri. Il romanzo ti porta alla sua conclusione scoprendo generosamente il seguito degli eventi, quando il protagonista torna, ormai adulto, sulla sua strada e vuol rivederla con gli occhi dato che con la fantasia era rimasto sempre là. Una forza di nostalgia, una pretesa di ritrovare vivo e uguale quello che abbiamo creduto immortale per noi, la nostra infanzia . Un momento di forte condivisione che non ho potuto far a meno di sentire fortemente come mio, vissuto nella sua autenticità. Il ricordo ritorna a vivere e pretende spazi e persone appartenute.