Igino Ugo Tarchetti, considerato il padre della Scapigliatura, moriva a Milano il 25 marzo 1869. Lasciava dietro di sé un romanzo incompiuto, Fosca, che sarebbe stato considerato il suo capolavoro; forse a donare uno strano incantamento a quelle pagine oscure fu proprio la vicinanza dell’autore alla morte che si avverte costante, come un presentimento, nella trama del libro e infine trionfa, unica e suprema vincitrice.
La fine della vita di Tarchetti ricorda l’epilogo di uno dei suoi romanzi: l’autore morì di tifo, pallido ed emaciato, dopo aver lottato coraggiosamente contro la malattia, come veniva per l’appunto fatto notare in un necrologio apparso sulla rivista Il Pungolo il giorno successivo alla sua morte. Sempre su quella rivista sarebbe apparso, a puntate, il suo romanzo più famoso: Fosca, cui lo scrittore si era dedicato con un accanimento simile alla disperazione negli ultimi mesi di vita e che sarebbe infine stato completato, come un dono, dall’amico Salvatore Farina seguendo gli appunti e le annotazioni lasciate dall’autore. Fu Farina a scrivere l’ultimo capitolo, il 48esimo, di Fosca.
Svaniva nell’ombra a soli trent’anni Igino Ugo Tarchetti, come il personaggio inafferrabile e ambiguo di uno dei suoi libri, giovane e dannato come ce lo restituisce il suo più celebre ritratto che lo raffigura con un’espressione accigliata e pensosa, uno sguardo indagatore e supremo proprio dei morti e degli spettri, di coloro che stanno scrutando un’altra dimensione o, forse, ricercano il cielo.
Chi era Igino Ugo Tarchetti: la vita
Nacque il 29 giugno 1839 a San Salvatore Monferrato, in provincia di Alessandria. Ugo non era il suo secondo nome di battesimo, fu da lui aggiunto a posteriori, nel 1864, in omaggio al grande Foscolo che Tarchetti ammirava. Giovanissimo Iginio si arruolò nell’esercito e pareva destinato a una carriera militare; fu a lungo impegnato nella lotta al brigantaggio nel Sud Italia e, in seguito, come addetto al commissariato militare iniziò a spostarsi in diverse città del Nord, da Varese a Milano a Parma.
Le cronache dell’epoca ci restituiscono una descrizione molto accurata del suo aspetto fisico: Igino Ugo Tarchetti era un bell’uomo, che non passava inosservato, era quel che si definisce una “persona affascinante” e non di rado le donne perdevano la testa per lui. Era molto alto, un metro e ottantaquattro secondo le testimonianze, aveva un “volto di Nazareno” dall’espressione indecifrabile - così lo descrive l’amico Salvatore Farina - e un sorriso buono che spesso si accendeva di tenerezza. Tarchetti appare sfuggente persino nelle descrizioni che di lui vengono fatte da chi lo conosceva o gli voleva bene: un essere in bilico tra due mondi, pallido e malinconico, capace di recitare poesie a memoria per ore come se in quei versi ricercasse qualcosa o volesse svelare un segreto attraverso la ripetizione usurata delle parole.
Appassionato di letteratura e poesia, Tarchetti entrò in contatto con i salotti letterari milanesi dove iniziava ad affermarsi la Scapigliatura, movimento del quale sarebbe diventato il più noto esponente.
Rivelò una salute precaria già in giovane età, la morte divenne in lui un presentimento e la malattia una costante, un sottofondo irrinunciabile della vita, come appare nei suoi romanzi nel quale il “morbo” sembra incarnarsi in una persona, diventare esso stesso un personaggio oscuro, ma presente, che pure esercita una fascinazione irresistibile. Nel 1865 fu costretto ad abbandonare la vita militare a causa dei suoi problemi di salute. Si trasferì definitivamente a Milano dove iniziò a dedicarsi all’attività letteraria scrivendo articoli per alcune celebri riviste, quali Rivista minima - sulla quale esordì con un pezzo di taglio saggistico intitolato Idee minime sul romanzo - Il giornale per tutti, La settimana illustrata, Il gazzettino rosa, Il Pungolo. Proprio quest’ultimo giornale avrebbe ospitato il suo necrologio e le pagine del suo romanzo capolavoro.
In passato Tarchetti aveva pubblicato un solo romanzo, Paolina. Mistero del coperto dei Figini, di scarso successo; negli ultimi anni della sua pur giovane vita, mentre la morte incombeva come un presagio si dedicò febbrilmente alla scrittura di romanzi, poesie e racconti. Le sue opere uscivano a puntate, come si usava allora, su riviste, che costituivano la principale fonte di guadagno per un autore, soprattutto se esordiente. Pubblicò vari racconti, tra cui ricordiamo il celebre Storia di una gamba e Le leggende del castello nero, e una raccolta di scritti sui suoi trascorsi nell’esercito intitolata Drammi di vita militare che era in pratica un elogio all’antimilitarismo.
Frettoloso giunge l’epilogo della breve vita di Igino Ugo Tarchetti. Morì a soli trent’anni, il 25 marzo del 1869, lasciando incompiuto sulla sua scrivania il manoscritto cui aveva alacremente lavorato negli ultimi mesi con una costanza febbrile e l’ardore tormentato di chi sa che non ha più nulla da perdere e non conosce altro modo di salvarsi. Aveva trasfuso la sua anima - e l’ultimo soffio di vita che già gli fuggiva - in quello scritto, Fosca, che gli sarebbe sopravvissuto, come la storia di un grande (e terribile) amore.
Il suo necrologio, apparso sempre sulla rivista Il Pungolo che ospitava tutti i suoi scritti, il 26 marzo 1869, recitava così:
è morto dopo aver lungamente, coraggiosamente e dignitosamente lottato contro le brutali realtà della vita, nemiche accanite all’arte e alle sue manifestazioni; è morto quando la speranza di miglior avvenire, frutto di lavoro assiduo e di costanza indomabile, più caramente gli sorrideva.
Igino Ugo Tarchetti non avrebbe mai potuto vedere il successo del suo libro, riconoscersi come noi oggi lo conosciamo: “uno scrittore”. Strano destino. La vita del Tarchetti scrittore sembra prolungarsi come un’ombra, allungarsi oltre la breve esistenza terrena del Tarchetti uomo e autore. Ma molto di lui ci dice quel libro, Fosca, pubblicato postumo grazie all’impegno di Salvatore Farina e, soprattutto, molto di lui ci dice una donna - Carolina Ponti - che fu l’ispiratrice del suo indimenticabile personaggio femminile e, come un altro scherzo del destino, pur essendo moribonda gli sopravvisse.
Fosca: il capolavoro di Igino Ugo Tarchetti
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Fosca, pubblicato sulla rivista il Pungolo tra il 21 febbraio e il 6 aprile del 1869, è una strana storia di amore e morte. Singolare è, anzitutto, la sua protagonista - colei che dà il titolo al romanzo - che fin dal principio viene presentata come:
Una donna di una bruttezza straordinaria.
Il libro inizia con l’espediente manzoniano - allora in voga - del manoscritto ritrovato.
Mi sono accinto più volte a scrivere queste mie memorie, e uno strano sentimento misto di terrore e di angoscia mi ha distolto sempre dal farlo. Una profonda sfiducia si è impadronita di me.
La vicenda ci viene narrata attraverso le memorie di Giorgio, il protagonista, che rivelano al lettore quanto accaduto cinque anni prima. L’uomo è un militare di carriera e decide di ripercorre nel suo scritto quanto avvenuto tempo prima, un periodo tormentato e difficile della sua vita in cui si sentiva irrimediabilmente diviso nell’amore per due donne: Clara e Fosca. La prima è una bella nobildonna sposata, la seconda, che Giorgio incontra durante uno dei suoi spostamenti quando viene assegnato alla casa di un colonnello di guarnigione, Fosca, è una creatura indecifrabile. Costei sembra rappresentare la malattia personificata. Tra i due si sviluppa una relazione morbosa, quasi vampiresca, che condurrà entrambi alla distruzione. La passione, ben presto, diventa morbosa: Fosca, oscura creatura, riesce a tenere Giorgio legato a sé con i più terribili espedienti. Minaccia di lasciarsi morire se lui decide di lasciarla.
Il suo è un amore assoluto e, al contempo, terribile, tempestoso, non concede requie:
Voglio costringervi a ricordarvi di me, quando vi avrò oppresso con tutto il peso della mia tenerezza, quando vi avrò seguito sempre e dappertutto come la vostra ombra, quando sarò morta per voi, allora non potrete più dimenticarmi.
L’uomo, invano, cerca di riportare la relazione a una condizione di normalità, di allontanare la donna e quell’amore insano e assoluto, senza riuscirci. Torna dall’amata Clara, ma presto sarà la nobildonna a troncare il loro rapporto affermando di doversi dedicare al proprio ruolo di moglie e madre, Giorgio quindi infine dovrà rendersi conto che Fosca, l’isterica, la malata, la donna spettro di sé stessa, è l’unica che l’abbia mai amato.
La trama del libro, di cui non riveliamo la conclusione, era ispirata a una storia vera. I critici, grazie all’analisi di un carteggio letterario, hanno ricondotto il personaggio di Fosca alla vera Carolina Pozzi, che Tarchetti frequentò negli anni tra il 1864 e il 1865. Pare che prima di incontrare Carolina, l’autore ebbe una relazione tumultuosa con una donna sposata appartenente all’aristocrazia milanese, che deve avergli offerto l’ispirazione per il personaggio, bello, nobile e bianco, di Clara. Carolina, invece, era una donna epilettica e probabilmente affetta di isteria. Aveva lunghe trecce color ebano e grandi occhi neri, proprio come la Fosca del romanzo. Quando Tarchetti la conobbe lei era giudicata una “moribonda”, non le venivano dati più di sette mesi di vita. La loro fu una relazione passionale che destò un certo scandalo all’epoca, poiché Carolina era giudicata una donna orribile - proprio come Fosca - e ormai in fin di vita.
In una lettera accorata la voce dell’autore sembra fare eco a quella del suo protagonista, Giorgio, quando scrive:
Quell’infelice mi ama perdutamente… il medico mi disse che morrà fra sei o sette mesi, ciò mi lacera l’anima.
Invece lei gli sopravvisse e si narra che, anno dopo anno, continuò a portare fiori freschi sulla sua tomba. Pare una maledizione, ma forse è solo un grande (e terribile) amore, proprio come quello di Fosca per il suo Giorgio.
Recensione del libro
Fosca
di Igino Ugo Tarchetti
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Igino Ugo Tarchetti: vita e opere dell’autore “scapigliato”
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