Giuliano e Lorenzo. La primavera dei Medici
- Autore: Adriana Assini
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2019
Scrive: romanzi storici, tanti, premiati. Dipinge: acquerelli, poche mostre, ma con stile, soprattutto all’estero. Adriana Assini vive e lavora a Roma, è appassionata di storia e ha firmato a giugno 2019, per la casa editrice napoletana Scrittura & Scritture, un testo di narrativa nitido e leggibile, Giuliano e Lorenzo. La primavera dei Medici (192 pagine, 14 euro).
È chiaro che ci riporta ai due fratelli rinascimentali tanto importanti nella storia di Firenze e, il maggiore, in quella della letteratura italiana:
Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia, chi vuol esser lieto sia, del doman non v’è certezza.
Ma il racconto non è scontato, la trama è sapientemente strutturata e dei due figli di Piero il Gottoso, secondo della dinastia de’ Medici, si apprende dal racconto e dai dialoghi di altri protagonisti fiorentini della seconda metà del 1400. I due non ci vengono presentati solo dalla Assini, ma sono introdotti un po’ alla volta attraverso la descrizione, rapida e tuttavia informata, di altri primi protagonisti del romanzo.
È da poco cominciato il meraviglioso XVI secolo a Firenze e si stanno svolgendo i funerali di Alessandro Filipepi, il Botticelli, pittore eccelso vissuto in grande stima della sua gente, ma morto in totale povertà.
I segreti del Maestro incuriosiscono un borghese di poca nobiltà ma di ricchi mezzi, ser Giotto di Bicci Torregiani, detto il Saraceno per aver commerciato a lungo sul Bosforo. Entra casualmente in contatto con un giovane, Maso detto il Bardo, modesto “dipintore” e lo convince a raccontargli le vicende di Firenze e dei suoi cittadini, che al ricco interlocutore sono sfuggite, vista la distanza tra la città del Giglio e Trebisonda, dove viveva.
Maso porta con sé un amico addentro anche lui alle cose fiorentine, Cosma Falconieri, dottore in legge, “uno che conosce il dritto e il rovescio d’ogni cosa”.
Raggiungono casa Torreggiani e raccontano efficacemente, attirando la curiosità della moglie del committente delle storie, Donna Beatrice Giandonati, di carattere moderno e indipendente.
Apprendiamo subito della “mestizia” del Botticelli, che aveva subìto un torto da Firenze. Tanto gli era stato dato, per levargli poi tutto. Prima beniamino dei mecenati e pupillo dei magnati, poi ridotto alla fame e all’oblio. Un declino seguito alla morte del Magnifico Lorenzo (il maggiore dei Medici di terza generazione) e all’assalto del Savonarola alle coscienze fiorentine. Il frate aveva puntato il dito contro le Madonne vestite di seta e di bisso nei dipinti: troppa vanità e poca sacralità in quelle figure troppo eleganti.
Davanti alla collera del censore, il Maestro era caduto in depressione, diremmo oggi. S’era appartato nell’ombra, temendo il castigo celeste e aveva rinnegato le meravigliose immagini femminili mirabilmente dipinte. Prima di morire faceva la fame, ma con grande dignità, nessuno lo sapeva.
Le disavventure di Sandro Botticelli danno l’avvio al racconto del Maso e di Cosma ad una sempre più attratta Beatrice. Curiose le stravaganze e insospettabili i peccati degli artisti. Alcuni dipingono come angeli ma vivono come demoni, dicono i due amici. A quel diavolaccio d’un Donatello, ad esempio, non faceva difetto certo il talento, quanto il pudore: non esitava a sporcare di fuliggine gli apprendisti, per renderli meno attraenti agli occhi degli altri. E il Buonarroti non ha il naso deforme dalla nascita, ma dopo un alterco in cappella con un collega, che aveva provocato con la sua sconfinata presunzione. C’è tanto per tanti altri: Pico della Mirandola e Marsilio Ficino filosofi e tuttologi inclini a frequenti divagazioni piccanti e chiacchierati più di una meretrice.
Ed eccoci ai figli di Piero, che entrano in gioco nella difficile successione al Gottoso, Signore di fatto di Firenze senza essere mai stato eletto. Nella Signoria non esistevano troni ereditari, per governare occorreva assicurarsi il consenso dei Casati di maggior peso, gli Strozzi, i Rucellai, i Pitti, i Pazzi, i Vespucci. Il primato andava ai Medici per i capitali ingenti, le competenze in campo amministrativo e la capacità di stringere e mantenere i patti.
Alla successione, nel 1469, il giovane d’anni e vecchio di sapere Lorenzo era un ventenne sgraziato nell’aspetto ma imponente nell’animo, nemico dell’ozio, campione in diverse discipline, maestro nell’arte della politica, con la vocazione a comandare persuadendo piuttosto che imponendo. Il naso camuso e il labbro sporgente non tenevano lontane le compagnie amorose, con buona pace della moglie, la fin troppo pia Clarice Orsini, nobildonna romana.
A piacere alle donne, però, era soprattutto il fratello Giuliano, di 4 anni più giovane, atletico, avvenente, di buon carattere, un modello da imitare per i giovani e un adone per signore e fanciulle di oneste virtù e anche meno. Poteva averle tutte, dicono Maso e Cosma, ma di una sola divenne appassionato amante: la bella Simonetta Vespucci aveva fatto breccia nel suo cuore.
Nel rapporto col fratello maggiore, da rigoglioso arbusto Giuliano stava diventando un albero possente e non intendeva fare da gruccia al primogenito, rivendicava un ruolo nelle questioni principali. Aveva perciò la tendenza a prendere iniziative, a cacciarsi nei guai, mettendo a repentaglio la vita e la stessa famiglia. Di questo approfittano gli avversari giurati, con la famiglia a capo de’ Pazzi ed è una parte della vicenda tutta da leggere
Giuliano e Lorenzo. La primavera dei Medici
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