Elogio dell’Italia. Meticcia, aperta, inclusiva, plurale, anarchica, ironica e tanto altro
- Autore: Raffaele Mantegazza
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2024
Gli elogi: argomenti divisivi, non tutti, in saggi brevi, non tutti. Non segue percorsi facili la nuova collana di Fefè Editore, giovane marchio editoriale romano nato nel 2005, che si distingue dal mainstream e non cerca applausi scontati da destra, dal centro e da sinistra ma che vuole anzi scuotere, toccare nervi scoperti e provocare, per indurre a riflettere sui nodi attuali, per favorire la circolazione delle idee e per negare alla ragione di dormire sonni tranquilli (e generare mostri). Elogio dell’Italia. Meticcia, aperta, inclusiva, plurale, anarchica, ironica e tanto altro (ottobre 2024, 164 pagine) è una proposta recente della raccolta di pamphlet curata da Leo Ossian. La firma il professor Raffaele Mantegazza, docente di scienze umane e pedagogiche nel Dipartimento di medicina dell’Università Bicocca di Milano.
Di primo impatto, il titolo suona come una battuta sarcastica, una provocazione giocata sui contrari (un’antifrasi, direbbero quelli colti): l’Italia sembra un paese che accoglie, che integra, che sorride allo straniero, al diverso, all’alieno? Si direbbe di no, a leggere i commenti dei connazionali sui social e a giudicare dai reel, dai video e dai contributi audiovisivi nelle piattaforme mediatiche più frequentate.
Invece, le tesi del pedagogista ed educatore lombardo argomentano il contrario e convincono, in questo libricino denso di contenuti per quanto di formato ridotto. Sono sostenute da tanti esempi a conferma che possiamo considerare ricavati sul campo, individuati in giro per il Bel Paese, una terra meravigliosa, come l’hanno giudicata tutti i viaggiatori del Grand Tour o Bildungsriese, gli intellettuali e aristocratici europei che un paio abbondante di secoli fa amavano visitare l’Italia almeno una volta nella vita. Un “paradiso”, generalizzando e ampliando alle venti regioni il giudizio di Croce su Napoli, ma lasciando da parte “i diavoli” che l’abitavano, secondo il filosofo meridionale.
Mantegazza illustra “un insieme storico” - in qualche modo lo dipinge - che più che Nazione è una comunità di simili, per territorio, storia, cultura e lingua. La nostra, fa presente, è una penisola e questo già le conferisce una delimitazione spaziale, in un territorio circoscritto e più o meno omogeneo interessato nei secoli da eventi “in un certo modo prigionieri di questo spazio”, che hanno urtato “senza superarlo, contro l’ostacolo dei suoi limiti”.
Uno spazio umano, accomunato dall’alternarsi “delle opere e dei giorni”. Se si può parlare di una “italicità”, come ha fatto Piero Bassetti, si trova di certo all’incrocio di linee altre, differenti dalla “menzogna della razza” e che secondo il il professor Mantegazza si fanno beffe delle “mistiche” della purezza del sangue. L’autore aggiunge che lo spazio che definiamo Italia è geografico, storico, culturale e anche linguistico, almeno dopo Dante.
Spazio aperto nonostante la sua chiusura, spazio che imprigiona con la muraglia delle Alpi e con le risacche mediterranee ma proprio per questo spinge da millenni a gesti di attraversamento, di sconfinamento, di occupazione e liberazione.
Spazio storicamente definito da incontri, scontri, incroci e mescolanze, partenze e arrivi, ritorni e ripartenze; spazio evocato al femminile (il genere di Italia); spazio “di dolore ostello”; spazio nel quale stringersi a coorte ed essere pronti alla morte. Dalla Vetta d’Italia sulle Alpi, la penisola sembra voler correre fino a Lampedusa e da lì, dall’estremo Sud, “agognare” alla Mitteleuropa senza raggiungerla veramente, “per fortuna”.
Questo carattere misto e in continuo movimento è quello che Raffaele Mantegazza elogia dell’Italia, attraverso suggestioni ricavate da alcune opere d’arte, da certi riferimenti letterari, musicali e poetici che aiutano a cogliere ciò che fa dell’Italia un modo di pensare e di sentire il mondo, di viverlo e di rappresentarlo.
Così, nel primo di diciannove capitoli, la Cappella degli Scrovegni di Giotto a Padova introduce a un paese di storia e di meraviglia. La Periferia, di Mario Sironi, a un paese di decentramenti e di eccentricità. I mosaici di Piazza Armerina a un paese di festa e di gioco. Il Cristo Morto di Mantegna a un paese di morte e di lutto.
Attraverso i tre filosofi del Giorgione si conosce un paese di scambi e incroci. La Madonna del parto di Piero della Francesca e il San Giuseppe col bambino di Guido Reni sono lo spunto per parlare di un paese di madri e padri. Con Nonno e nipote del Ghirlandaio si riflette su un paese di anziani/e e nonni/e. Partendo dal Ragazzo che pela un frutto, di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, si guarda a un paese di ragazzi e ragazze. Dall’Ermafodito dormiente, nella Galleria degli Uffizi, a un paese di sessi e generi. Dalla scuola di Atene di Raffaello, a un paese di maestri e allievi.
Il Mezzogiorno sulle Alpi, di Giovanni Segantini, è specchio di un paese di montagne e altezze. Lo sposalizio del mare di Canaletto, di un paese di mari e profondità. I mosaici di S. Apollinare in Classe fuori Ravenna, di un paese di prati e riposo. Il Quarto Stato di Giuseppe Pelizza da Volpedo, di un paese di opere e giorni. I Capricci di Francesco Guardi, di un paese di ruderi e rovine. La Crocifissione di Guttuso, di un paese di ribellione e resistenza. E se Transumanza, di Giuseppe Agnello, evoca un paese di partenze e ritorni, lo sposalizio della Vergine di Raffaello un paese di utopia e futuro.
Per finire con la giovinetta che cuce il tricolore, alla vigilia della rivoluzione toscana del 26 aprile 1859, nel dipinto del patriota risorgimentale e pittore macchiaiolo Odoardo Borsani. Anticipa il verde, il bianco e il rosso di tre cantautori: Paolo Conte, Fabrizio De André, Pierangelo Bertoli.
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