Nella raccolta Vita immaginaria, edita per la prima volta da Mondadori nel 1974 e ristampata recentemente da Einaudi nel 2021, Natalia Ginzburg teorizza la propria idea di poesia.
In un testo, scritto proprio nell’ottobre del 1973, l’autrice cerca di rispondere alle domande sull’utilità o l’inutilità della poesia, sulla responsabilità dei poeti nella società a lei contemporanea e, soprattutto, sull’interrogativo ultimo: la poesia è viva o morta, quale sarà il suo destino futuro?
Ne risulta una dissertazione illuminante che ci spinge a riflettere non solo sul verso o sulla parola lirica, ma sulla visione stessa di realtà e sul ruolo dell’uomo nella società attuale.
Scopriamo cos’è la poesia per Natalia Ginzburg.
La poesia secondo Natalia Ginzburg
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Natalia Ginzburg apre la sua riflessione chiarendo di intendere con “poesia” qualsiasi “forma di narrazione o di espressione fantastica”. L’autrice osserva che attorno a questa parola si è diffuso negli ultimi tempi (ma ancora oggi, potremmo dire noi) un senso generale di stanchezza e una sorta di vergogna, si avverte nel pronunciarla una sorta di “paura del ridicolo”. Ginzburg si propone quindi di analizzare la parola nel suo vero significato, liberandola una volta per tutte dalle vernici di falsità che l’hanno ricoperta.
Riguardo alla poesia, tutte le idee che crescono attorno alla sua inutilità o futilità, sono generate dalla falsa idea che la poesia rassomigli alle altre cose, utili e inutili; mentre in realtà la poesia non è utile, né inutile, non ha nessun fine chiaro e visibile, e non rassomiglia a nulla.
Dopo aver sentenziato che la poesia non abbia alcun fine, Ginzburg passa in rassegna gli scopi che gli uomini le hanno dato per cercare di definirla, di circoscriverla, di darle un senso. Secondo alcuni uomini, dunque, lo scopo della poesia è quello di “dare bellezza e felicità agli uomini”; secondo altri è invece quello di “illuminare gli uomini sulle loro malattie e colpe, indicando soccorsi e rimedi”. Ma Natalia Ginzburg osserva che se pensassimo la poesia come luogo di passatempo, alla stregua di un parco nazionale, quest’ultima si rivelerebbe in tutta la sua inefficienza; e inoltre la poesia raramente ci dona “suggerimenti espliciti” né ha mai una praticità valutabile.
Da ciò l’autrice conclude che “la Poesia non ha nulla da offrire agli uomini” né umanamente né medicalmente né economicamente
Terminato il discorso sulla poesia, Ginzburg decide di analizzare i poeti in quanto individui. I poeti, sostiene l’autrice, non formano alcuna categoria sociale perché spesso guadagnano poco o niente e, inoltre, si trovano a volgere professioni diverse da quella di “poeta” per mantenersi. Dunque la poesia non è una professione, né un servizio sociale o pubblico: in definitiva, cos’è?
Proprio quando ormai ogni speranza è perduta e il senso della parola “Poesia” è stato scomposto nei minimi termini, Natalia Ginzburg arriva al punto.
Chi sono i poeti secondo Natalia Ginzburg
Anche la definizione di poeti appare sfuggente, sostiene l’autrice, perché non è possibile associarli a coloro che creano una particolare opera di valore artistico o poetico. Non sempre è così perché spesso i poeti non si sa con esattezza chi sono né dove sono. Proprio ragionando attorno all’immagine sfuggente dei poeti, Ginzburg riesce a dare la definizione più perfetta di Poesia.
La poesia si configura più giustamente come una particolare condizione dello spirito, non rara e non pregiata nel senso che può nascondersi nelle persone più insospettate, una condizione dello spirito dalla quale a volte nascono opere, a volte non nasce né nascerà mai nulla.
La poesia come idea vera di Realtà
In quanto “condizione dello spirito”, dunque, è impossibile pensare alla Poesia come separata dalla condizione umana. I poeti, sostiene Ginzburg, non devono essere separati dagli altri uomini.
Ecco che il discorso sulla poesia si allarga a una dimensione umanitaria: la riflessione sull’utilità o meno della poesia diventa uno strumento per parlare di libertà e di diritti umani. La società non deve tutelare la libertà d’espressione dei poeti, ma di tutti gli uomini, perché in ogni uomo si può nascondere potenzialmente un “poeta”.
Falso è pensare che la società debba lasciare privilegi ai poeti perché diano le opere. Giusto è invece dire che una società giusta dovrebbe consentire a ogni essere umano una medesima misura di libertà per esistere o con gli altri o solo.
I poeti, afferma Ginzburg, dalla società non voglio nulla perché il loro unico e immediato interlocutore è il pensiero dell’individuo. Ed è esattamente questo legame indissolubile con lo spirito e con il pensiero a proiettare l’opera dei poeti nel futuro della società tutta.
Difatti la poesia non ha nessun fine, salvo di dare agli uomini qualcosa di Reale.
Questo tuttavia non può essere propriamente chiamato un fine perché, secondo Ginzburg, non ha una spiegazione logica: la Realtà non ha ragione né direzione né significato, così come non ha spiegazione alcuna la necessità della poesia.
La Realtà è vertiginosa, incostante, infida e infinita e può rivelarsi davvero solo nell’Arte:
Solo nella poesia, ovvero nell’Arte, la poesia si rivela nella sua natura esatta e infinita.
Natalia Ginzburg giunge quindi alla conclusione che la poesia non è utile né inutile, ma è fatta della stessa sostanza della Realtà e in quanto tale “ingiustificata e incomprensibile”.
Quando noi abbiamo paura che la poesia muoia, noi non abbiamo paura che muoia qualcosa che ci rendeva più ricchi o più felici o migliori, ma abbiamo paura che muoia nell’uomo l’idea vera di realtà.
La poesia, quindi, come idea vera di Realtà, indissociabile e inscindibile dalla stessa condizione umana. Tutto il nostro pensare e struggerci per il destino della Poesia è collegato allo stesso destino della specie umana: fragile, precario, spesso incerto.
Natalia Ginzburg conclude la sua dissertazione elencando, in ordine casuale, quelli che secondo lei erano i migliori poeti del suo tempo.
Sapete quali nomina? Italo Svevo, Umberto Saba, Carlo Emilio Gadda, Eugenio Montale, Antonio Delfini e Sandro Penna.
Nell’elenco figurava una sola donna: Elsa Morante.
In tutti loro Natalia Ginzburg aveva intravisto una scintilla di immortalità, mentre erano ancora in vita. Disse di non saper esprimere bene a parole ciò che le loro opere le suscitavano, poiché era un sentimento al contempo esatto e sfuggente che non assomigliava a nulla. Oggi sappiamo che aveva ragione: noi che viviamo nel futuro possiamo dire a Ginzburg che il sentimento suscitato dalla lettura di Montale, Saba, Morante è identico, ineffabile, inesprimibile proprio come quella grandezza che lei stessa non seppe afferrare né esprimere bene a parole. Quel sentimento astratto, così bello da commuovere è la poesia, intesa come condizione dello spirito, che avrà vita finché ne avrà la razza umana.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Cos’è la poesia per Natalia Ginzburg
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