Un convegno presso l’Agorà del Museo Salinas di Palermo, il 20 di novembre 2019, in occasione del trentesimo anniversario della morte di Leonardo Sciascia con la partecipazione di Gaetano Savatteri, Stefania Auci, Gianni Puglisi e Salvatore Ferlita. L’evento è stato organizzato dalla redazione di "Repubblica Palermo". I contenuti dei principali interventi che di seguito si riassumono sono stati accompagnati dalla lettura di alcuni brani dei suoi libri più famosi da cui si è tratto spunto per la discussione.
Leonardo Sciascia è una figura di riferimento per la Sicilia di cui si avverte l’assenza per il suo sguardo lucido, la sua passione civile e la sua capacità di razionalizzare, spiegare e approfondire. Il grande scrittore è stato un siciliano molto legato alla sua terra sicuramente più di altri suoi pur illustri conterranei nel Novecento letterario.
In riferimento all’iconicità dello scrittore di Racalmuto, la figura di Sciascia è rimasta legata ad alcuni stereotipi quali la famosa espressione dei quaquaracquà del libro Il giorno della Civetta. Sciascia nei manuali scolastici di storia della letteratura viene relegato ai margini, mortificato se non ridimensionato. Prima lo si poneva accanto agli scrittori meridionali o meridionalisti, come Brancati, Carlo Levi in una sorta di nazione indiana di autori minori. Asor Rosa addirittura non lo incluse nel suo manuale suscitando parecchio clamore.
Ultimamente si inizia a valutarlo oltre il luogo comune e i modelli che hanno attecchito per cui sarebbe necessario scardinare determinati canoni letterari. L’autore de “Le parrocchie di Regalpetra” paga lo scotto di essere stato un polemista, un giornalista caustico che cercava lo scontro con narcisismo e testardaggine. La forza di Sciascia risiede soprattutto nella sua scrittura e l’equivoco di fondo è stato quello di considerarlo uno scrittore senza stile, banale, immediato, colloquiale quando questi invece ha coniugato i suoi lemmi letterari su scrittori quali Cecchi, Savarese, Trompeo, i più rinomati della sua epoca. Ma chi voleva divenire scrittore tra gli anni Trenta e Quaranta, doveva seguire questa strada come era accaduto tra gli altri per Pasolini o per Calvino.
Sciascia è valente e per il suo stile e grazie alla sua scrittura ha potuto portare avanti le sue battaglie e le sue polemiche ed a costruire i suoi romanzi “eretici”. L’altra chiave di lettura è quella del poliziesco, di cui si appropriò per rendersi aperto ed insieme problematico, seguendo Gadda, Dürrenmatt. In Sciascia vi è l’uomo al centro, come in “L’affaire Moro”, dove il politico viene spogliato del suo ruolo e in questo umanesimo risiede l’attualità del suo messaggio presente anche nella figura del Di Blasi del “Consiglio d’Egitto”.
Il romanzo del 1971 “Il contesto”, un’opera non compiuta sbilanciata, ostica, di difficile lettura, procurò una frattura nella Sinistra, creando divisioni e forti contrasti. E questo indipendentemente dalla qualità della scrittura e del genere letterario ma perché esprimeva una posizione non condivisibile. Si anticipava difatti il compromesso storico, i tentativi di Golpe, i servizi segreti deviati, i problemi della Giustizia, le prevaricazioni del Potere. Un attacco che partì dalla sinistra socialista mettendo in discussione l’impianto ideologico dell’opera ritenuto inaccettabile sostenendo che occorre difendere lo Stato da quelli che lo rappresentano.
Lo si voleva in qualche modo etichettare, ma Sciascia rifiutò di essere catalogato come scrittore di sinistra e venne pertanto collocato in un’area conservatrice, per alcuni addirittura di destra, ma da quando è venuto a mancare, non si ebbero più parrocchie in cui inserirlo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: A trenta anni dalla morte di Leonardo Sciascia: il convegno a Palermo
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