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Storia della letteratura

Aleluja di Pier Paolo Pasolini: un canto di gioia e rinnovamento

La lirica Aleluja, malgrado la morte di un fanciullo e la disperazione materna, vuole essere un canto di gioia per la credenza della religiosità contadina nella rigenerazione.

Federico Guastella
Federico Guastella Pubblicato il 09-04-2023
Aleluja di Pier Paolo Pasolini: un canto di gioia e rinnovamento

Con la raccolta La meglio gioventù, pubblicata nel 1954 dalla casa editrice Sansoni e dedicata al critico Gianfranco Contini, Pier Paolo Pasolini si colloca all’interno della poesia friulana, continuando l’esperienza iniziata dodici anni prima con Poesie a Casarsa.

Il titolo è tratto da un canto degli alpini “La megio zoventù la va soto tera”, mentre l’opera comprende componimenti scritti tra il 1942 e il 1953.
Nella prima parte si trovano le Poesie a Casarsa (suddivisa nelle sezioni “Casarsa”, “Aleluja” e “La domenica uliva”) con l’aggiunta della breve raccolta Suite friulana (1944-1949) e un’ “Appendice” (“Il gloria”); la seconda contiene la lirica “El testament Coràn, composta tra il 1944 e il 1952, nonché il poemetto di 72 versi “Romancero” del 1944-1953, dove il poeta volge attenzione a un episodio avvenuto durante la guerra. 

Differenti gli argomenti tra le due parti: se le brevi poesie di Casarsa, in terzine, hanno un carattere prevalentemente autobiografico e si richiamano al simbolismo di Pascoli, le successive liriche riprendono con toni discorsivi il povero ambiente friulano dell’immediato dopoguerra.

Alleluja: la poesia di Pier Paolo Pasolini

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Attira l’attenzione il testo Aleluja che si presenta suddiviso in otto strofe numerate e di diversa disposizione.
Evidente il simbolismo di morte e di rinascita ove si consideri che il fatto rappresentato avviene in primavera: stagione della Pasqua cristiana, del risveglio della natura e del ritorno di Persefone dall’Ade in vita.
Difatti Aleluja, esclamazione di gioia, è canto di giubilo molto vocalizzato (il termine, composto da due voci ebraiche, indica la forma breve di Jahvè).

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I Greci l’avevano utilizzato nei riti funebri come espressione di dolore e di penitenza. Così pure è in uso nel rito latino mozarabico della Spagna nei giorni di digiuno e il venerdì santo. Dolcissima la musicalità del testo poetico data dall’intreccio di metafore e di assonanze.

Il sentimento che attraversa i versi ha una dimensione spirituale; del resto, Pasolini in nota fa riferimento a parlanti contadini friulani, la cui religiosità si è con naturalezza proiettata nella sua poesia.

Soffermiamoci su alcune delle strofe. Nella prima è annunciata la morte di un fanciullo (“il cardellino” che richiama la poesia La morte del cardellino di Gozzano), che raggiunge uno stato di beatitudine reso manifesto dall’assenza del ridere.
E ciò indica la liberazione dalle passioni, un raggiunto stato di atarassia che gli consente di spaziare in cielo senza pesantezza alcuna.

Aleluja di Pier Paolo Pasolini: testo, parafrasi e analisi

Alelluja, aleluja! dì di Avril, al mòur il gardilìn Beàt cui ch’a no’l rit pì, e usièj e ciants lu cumpàgnin pal Sèil.

Parafrasi: Alleluja, alleluja! Giorno di Aprile, muore il cardellino. Beato chi non ride più, e uccelli e canti lo accompagnano per il cielo.

Il contrasto di luce e scuro è presente nella seconda strofa: “Adesso, tu sei un fanciullo di luce. E io sono qui, con tua madre, nel buio.”
L’archetipo della madre-fanciulla appare nella terza strofa: lei è come se si fosse rigenerata contemplando la natura di luce del figlio:

Biondu tu matri tal soreli a tornava fruta. Font al era il su còut, ta la grava, na vòus di passaruta

Parafrasi: Biondo, tua madre nel sole, tornava fanciulla. Fondo era il suo cuore, in mezzo al greto, una voce di passeretta.

La madre, esprimendo il suo dolore, è la sola a ricordarlo:

Le ciampanis a batin ta un altr sèil e aria e lens a murmurèin tal to cuàrp. Ma nissùn ni recuarda. Ti mancis dal mond doma cu’l plant di to mari.

Parafrasi: Le campane battono in un altro cielo, e vento e alberi mormorano sul tuo corpo. Ma nessuno ti ricorda. Tu manchi dal mondo solo col pianto di tua madre.

È un dolore tuttavia stemperato dalla primavera di Pasqua in cui lo svolgersi del tempo le sfiora il seno con “l’ulivo, come i prati il sole”.

Come a dire che le appartiene una sacralità sublime che non si risolve nei fallimenti del vivere; si può allora accogliere l’ultima strofa come speranza di vita che rinasce e che sembra farsi concreta nel momento in cui il fanciullo stesso esorta i grilli a cantare la sua morte per i campi:

Gris, ciàntait la me muàrt! Ciàntait a fuàrt par i ciamps la me muàrt!

Parafrasi: Grilli, cantate la mia morte! Cantate alto per i campi la mia morte!

Potremmo dirla una lirica tra il racconto e la drammaturgia il cui pietoso evento è inquadrato nella vittoria della rigenerazione: tema, questo, fortemente avvertito da Pasolini e che per certi aspetti ritorna nei componimenti di ambientazione pasquale “La domènia uliva” e “L’aulif di Pasca”.

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