La storia della traduzione si muoverà sempre intorno ad un binomio: tradurre il senso o alla lettera? Cicerone mette in campo fin dal suo trattato De optimo genere oratorum questa dicotomia, che poi segnerà come un filo rosso 2000 anni di teorie della traduzione, fino ad arrivare a noi.
Un traduttore, oltre ad avere una conoscenza molto approfondita della lingua di partenza, deve possedere anche un quadro completo del contesto culturale e sociale a cui si riferisce il testo, consapevole di doversi scontrare irrimediabilmente con il problema dell’incomunicabile, ovvero di ciò che non ha una corrispondenza precisa tra le due lingue. Per questo, è difficile - e incompleto - parlare di “fedeltà” in un testo tradotto.
Casi celebri di traduzioni “inesatte” sono presenti in due pilastri dell’universo fantasy: Harry Potter, di J.K. Rowling, e Il Signore degli Anelli, di J.R.R. Tolkien.
I problemi nella traduzione della saga di Harry Potter di J.K. Rowling
La stessa casa editrice italiana Salani ha ammesso qui che
"la traduzione di un libro, normalmente, va dalla prima pagina all’ultima. La traduzione della saga di Harry Potter non ha funzionato così."
Questo è accaduto perché, quando è stato tradotto il primo volume, il secondo non era ancora stato scritto, e lo stesso si è verificato anche per i testi successivi; di conseguenza, non è stato possibile scegliere le traduzioni con la necessaria ponderazione. Tra gli ostacoli da affrontare, in modo particolare, ci sono le traduzioni dei nomi dei personaggi: ad esempio, l’originale Neville Longbottom diventa Neville Paciock, che
"era il nome giusto per il ragazzino pasticcione dell’inizio, non certo per il coraggioso eroe del settimo volume".
Ma lo stesso vale per i nomi delle case di Hogwarts, in cui sono presenti riferimenti ai colori, assenti nell’inglese.
La scelta più complessa riguarda quella del nome del preside della scuola, Albus Silente: il nome in lingua originale era Albus Dumbledore, scelto da Rowling per raffigurare "un mago benevolo, sempre in movimento, che mormora continuamente tra sé e sé". Dumbledore, infatti, è la forma arcaica del termine bumblebee, ovvero il calabrone. La scelta dei traduttori italiani, quindi, è in contraddizione con il significato dell’originale inglese; nonostante questo, la traduzione non venne modificata, proprio perché anche il silenzio è una delle caratteristiche del grande mago, che provocano avvenimenti - e disgrazie - per il giovane protagonista.
La travagliata storia della traduzione della saga de Il Signore degli Anelli
Per quanto riguarda la magistrale opera di Tolkien, considerata uno dei capolavori del genere fantasy, venne inizialmente rifiutata dalla Mondadori nel 1962, e successivamente pubblicata da un piccolo editore, Astrolabio, cinque anni dopo, il quale assicura di effettuare la traduzione italiana con la massima cura, "rispettando le indicazioni dell’autore per la resa di nomi propri e toponimi", compresa la richiesta dell’autore stesso di non alterare la parola Hobbit.
Il progetto, però, a causa delle scarse vendite, viene interrotto dopo la pubblicazione del primo volume e ripreso solo nel 1970 con l’editore Rusconi, che, con la trilogia di Tolkien, inaugura la collana di "Narrativa".
In merito alla versione italiana, vengono apportate delle modifiche a partire dalla precedente traduzione de La Compagnia dell’Anello: viene ripristinato Baggings al posto di "Sacconi"; l’amico di Frodo torna ad essere Merry Brandibuck, come nell’originale, e non più "Felice".
Dopo il successo, i diritti passano a Bompiani, che nel 2019 propone una traduzione ex novo, curata dall’anglista Ottavio Fatica, il quale sostituisce Raminghi con "Forestali"; il soprannome di Aragorn, Grampasso, diventa "Passolungo"; Samvise passa a "Samplicio". Queste correzioni generarono non poche polemiche, fino alla richiesta legale di far ritirare dal commercio le opere con questa traduzione.
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In conclusione, il dilemma tra traduzione letterale e libera dimostra quanto il tradurre sia un’arte complessa e stratificata, che non si limita alla semplice trasposizione di parole, ma richiede sensibilità, approfondita conoscenza culturale e un equilibrato giudizio interpretativo. La traduzione diviene, quindi, un atto creativo che pone il traduttore di fronte a sfide continue, costringendolo a fare delle scelte che inevitabilmente modificano il testo originale per adattarlo a una nuova realtà linguistica e culturale. Le versioni italiane di Harry Potter e Il Signore degli Anelli, con i loro interventi sui nomi e i significati, testimoniano come l’esito finale di una traduzione non possa mai essere completamente "fedele", ma sia piuttosto un "compromesso ragionato", che cerca di far rivivere l’essenza dell’opera originale in un contesto diverso. E proprio in questo risiede la vera forza della traduzione: la sua capacità di traghettare opere e culture oltre i confini della lingua, mantenendo vive le sfumature e il valore dei testi, ma adattandole al contesto di chi legge.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Le travagliate storie delle traduzioni di Harry Potter e del Signore degli anelli
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