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Storia della letteratura

Sonetto 116 di Shakespeare: testo e analisi della poesia sull’amore ideale

È considerata una delle poesie più romantiche di tutti i tempi, e non a caso è stata scritta dal leggendario autore di “Romeo e Giulietta”. Scopriamo testo, analisi e commento del sonetto 116 di William Shakespeare.

Alice Figini
Alice Figini Pubblicato il 14-02-2022
Sonetto 116 di Shakespeare: testo e analisi della poesia sull'amore ideale

Definito da alcuni un’arringa in difesa dell’amore romantico, il celebre sonetto 116 di William Shakespeare è un elogio al sentimento amoroso concepito nella sua forma più ideale.
In questi quattordici versi il poeta cerca di indagare il mistero dell’amore e ne trae una lezione immortale: il vero amore è “marriage of true minds”, dunque un sentimento sincero, duraturo e fedele che nasce in primo luogo da una forte intesa mentale.

Il sonetto 116 non ha titolo e appartiene alla cosiddetta prima sezione dei Sonetti di Shakespeare dedicata al Fair Youth, ovvero al giovane ragazzo. La raccolta dei 154 sonetti, scritta dal drammaturgo inglese quando i teatri vennero chiusi a causa di un’epidemia di peste, fu pubblicata nel 1609 e tuttora rappresenta una delle opere più celebri del poeta.

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Di tutti i sonetti contenuti nella raccolta, il sonetto 116 è senza dubbio il più conosciuto non tanto per l’originalità del tema trattato, quanto per la peculiare armonia e musicalità che Shakespeare riesce a infondere nel testo e al sapiente uso del linguaggio che ne fa una lirica immortale, senza tempo.
Pare che il sonetto 116 fosse dedicato a un uomo, il Conte di Southampton o William Herbert. Non perché Shakespeare fosse omosessuale, in questi versi per l’appunto il poeta celebrava un’unione estrema tra due persone, di stampo platonico, e non fisico.

Scopriamo testo, analisi e commento del sonetto 116 di William Shakespeare.

Sonetto 116 di William Shakespeare: testo

Non sia mai ch’io ponga impedimenti all’unione di anime fedeli;
Amore non è Amore se muta quando scopre un mutamento
o tende a svanire quando l’altro s’allontana.

Oh no! Amore è un faro sempre fisso che sovrasta la tempesta e non vacilla mai;
è la stella-guida di ogni sperduta barca,
il cui valore è sconosciuto, benché nota la distanza.

Amore non è soggetto al Tempo, pur se rosee labbra e gote
dovran cadere sotto la sua curva lama; Amore non muta in poche ore
o settimane, ma impavido resiste al giorno estremo del giudizio:
se questo è errore e mi sarà provato, Io non ho mai scritto,
e nessuno ha mai amato.

Sonetto 116 di William Shakespeare: analisi e commento

La poesia di Shakespeare presenta tutte le caratteristiche strutturali tipiche del sonetto. È infatti un componimento in quattordici versi endecasillabi, composto da tre quartine a rima alternata e un distico a rima baciata.
Ricco di metafore, personificazioni e metonimie, come usava la tradizione poetica del tempo, il sonetto 116 parte da un’immagine centrale dal forte potere simbolico:

L’unione di due anime fedeli.

Nell’originale inglese “marriage of true minds” la parola “minds” stava a indicare non solo la mente del soggetto, quanto l’intera personalità di una persona, tradotta in lingua italiana come “anima”. Tramite questa potente immagine simbolica Shakespeare intendeva fare riferimento all’amore sincero, costante e platonico che si basa sull’unione mentale astratta più che su quella fisica.
La seconda quartina invece è focalizzata sulla metafora dell’amore duraturo: l’amore è dunque un “faro sempre fisso” e ancora una “stella-guida”, quindi in riferimento alla Stella Polare che indica la strada ai marinai sperduti tra i flutti marini nella notte. La costanza dell’amore, che non muta quando incontra mutamenti, viene posta dunque in stretta correlazione con i punti cardinali fissi e con le stelle che illuminano il cammino indicando il sentiero da percorrere.

L’ultima sestina del sonetto è infine focalizzata sul Tempo: Shakespeare ha elogiato la fedeltà dell’amore, la sua stabilità e ora passa a indicarne l’immortalità. L’amore viene posto a confronto con la morte, personificata dalla “curva lama” che falcia le guance e le labbra rosee. Da questo conflitto serrato con la sua acerrima nemica, l’amore esce trionfante proprio per la sua natura duratura e incrollabile, capace di resistere alle intemperie del tempo.

Nell’ultimo verso Shakespeare chiude il componimento affermando solennemente che, se tutto quanto ha detto in riferimento all’amore dovesse rivelarsi sbagliato, allora nessun uomo ha mai veramente amato in modo profondo e puro secondo il poeta.
Il testo è ricco di termini legali, di stampo giuridico, come “impedimenti” e “provato” che inducono la critica a vedere in questo sonetto una sorta di arringa in difesa dell’amore. Negli ultimi versi infatti il poeta si erge a giudice dell’amore romantico e ne pronuncia un’estrema difesa dal forte impatto retorico consacrata dal finale perentorio: Io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato formulato come un sillogismo aristotelico.

Sonetto 116 di William Shakespeare: figure retoriche

  • Faro sempre fisso/stella-guida = metafora che indica la costanza e la durabilità
  • Rosee labbra e gote = metonimia (tramite una parte del corpo, le labbra e le guance rosse, si vuole indicare la giovinezza destinata a sfiorire)
  • Curva lama = personificazione
  • Giorno estremo del giudizio = metafora per indicare la morte

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Sonetto 116 di Shakespeare: testo e analisi della poesia sull’amore ideale

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