Rosa di maggio è una poesia di Alda Merini contenuta nel libro La presenza di Orfeo, la raccolta d’esordio della poetessa dei Navigli pubblicata nel 1953 dall’editore Schwarz nella collana di poesia Campionario diretta da Giacinto Spagnoletti. Il volume richiamò l’attenzione di molti autori, in particolare di Ungaretti, Montale e Quasimodo che riconobbero con ammirazione il valore poetico di quei versi.
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Le prime poesie inedite di Alda Merini, Il gobbo e La luce, erano state pubblicate, grazie all’intercessione di Eugenio Montale, nel 1951 in un volume collettivo dal titolo Poetesse del Novecento edito da Scheiwiller.
Ora, con La presenza di Orfeo, la poesia di Merini si presentava per la prima volta al grande pubblico mostrando già quel peculiare intreccio di temi mistici ed erotici che sarà proprio della sua produzione successiva.
Rosa di maggio è dunque una lirica che appartiene agli esordi della poetessa dei Navigli. Un’opera ancora acerba, nella quale tuttavia è possibile cogliere a tratti un lampo di quel bagliore che contraddistinguerà le liriche future dell’autrice.
Scopriamo testo e analisi della poesia.
Rosa di maggio di Alda Merini: testo
L’alba si è fatta
profumo di rose.
Rosa di maggio,
abbarbicata sul muro vetusto;
affresco di vita
corroso dagli scherni del tempo.
Tappeto di petali bianchi
sul selciato di dolci primavere.
Fra gli agrumi imbiancati dai fiori,
mano nella mano di mio padre,
stretta, stretta,
al richiamo del cuore di mamma,
ansioso, protettivo.
Diventeranno frutti copiosi,
allieteranno tavole imbandite
tra gli amici dell’allegria,
svaniti nei rivoli
del più salubre inganno.In fondo, oltre la siepe,
scorgere i ceppi temprati dagli anni;
offrono ancora nuova vegetazione,
nuove foglie, tenere e indifese,
al soffio di vento.
Rosa di maggio di Alda Merini: analisi
Le rose sono un tema ricorrente nella poesia di Alda Merini. Nella lirica Per una rosa la poetessa si rivolgeva al fiore emblema della bellezza dicendo: “Vorrei essere te, così violenta, così aspra d’amore/così accesa di vene di bellezza/e così castigata” e vi riconosceva una forma di prodigio divino, è Dio stesso che riposa nella forma della rosa.
La vita delle rose affascinava la poetessa dei Navigli: in quei fiori si mescolavano i concetti di bellezza e purezza, di metamorfosi e rinascita. Riusciva a intravedervi la pace, una sorta di “pausa di Dio” che per un attimo dimentica il dolore e il caos del mondo.
In Rosa di maggio è il mese stesso che giunge a identificarsi con il profumo delle rose che pervade l’atmosfera. Con una magnifica sinestesia “alba di rose” Merini indica il prodigio del risveglio: il mattino del mese di maggio avvolge tutti gli esseri viventi con l’essenza odorosa di un profumo. La rosa diventa simbolo del tempo che scorre da epoche immemorabili: anno dopo anno ecco che rifiorisce, nello splendore intatto di maggio, e riappare abbarbicata sul vecchio muro. Merini associa l’immagine della rosa a un “affresco di vita” che sembra sgretolarsi, man mano, corroso da un tempo impietoso che non si ferma né rallenta ed è solito prendersi gioco degli uomini.
La rinascita della rosa diventa quindi un pretesto per ricordare e tornare indietro ai momenti cari dell’infanzia, alle più dolci primavere, quando si camminava tenendo stretta la mano al babbo per tornare a casa dove mamma attendeva, ansiosa e protettiva. Il maggio dell’infanzia è immacolato come neve, quasi a evocare un candore dell’animo: bianchi sono i petali che lastricano il selciato, quasi a indicare la via, e persino i rami degli alberi sono “imbiancati” dalla novella fioritura. Per descrivere il mondo dell’infanzia Merini si serve dell’espediente cromatico che dà al flashback una precisa connotazione evocando risonanze emotive e affettive.
Si avverte questo netto stacco tra passato e presente di cui la rosa, che riappare sul muro sgretolato, appare come il punto di rottura. Le rose tornano a maggio, sempre uguali e profumate, mentre il tempo non torna più. Merini rievoca una sensazione di benessere e protezione che ha perduto per sempre, come l’infanzia.
È proprio la “prima stagione della vita” il tema fondante della poesia: la rinascita delle rose viene associata dalla poetessa alla purezza infantile, all’incanto di chi si affaccia all’esistenza con curiosità e fiducia.
Oltre la siepe lo sguardo infatti scorge nuovi germogli teneri e indifesi che si sporgono con innocenza al soffio del vento, pronti a fiorire.
Rosa di maggio di Alda Merini: commento
Le rose cresceranno e saranno presto utilizzate per adornare tavole imbandite piene di commensali gioviali e scherzosi. La felicità è effimera, conclude la poetessa, facendo riferimento con un ossimoro al “salubre inganno”, il benessere momentaneo e fugace di cui la rosa con la sua breve esistenza si fa metafora.
La rosa ritorna con il mese di maggio, ma l’infanzia non tornerà mai più, e con essa quel senso di protezione e cura che l’età adulta sembra aver smarrito per sempre. Nel finale Merini sembra indugiare con nostalgia su quelle nuove foglie “tenere e indifese”, appena nate, ma nel suo sguardo vi è anche una forma di compassione: poiché è consapevole che quei giovani germogli non hanno ancora conosciuto i dolori della vita e le fatiche della crescita.
La rinascita della primavera, rappresentata dalla fioritura solenne del mese di maggio, si trasfigura quindi in un’immagine di bellezza dolorosa perché soggetta allo scorrere del tempo che tutto vanifica. Lo scorrere impietoso del tempo è evocato nel finale tramite quel “soffio di vento” che si fa metafora di novità e cambiamento, vita in costante divenire.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Rosa di maggio”: la primavera dolorosa di Alda Merini
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