Il geniale e proteiforme Cesare Zavattini – Za, per gli amici - nel 1967 scrisse un ritratto-biografia in versi dedicato al pittore italo svizzero Antonio Ligabue (Zurigo 1899- Gualtieri 1965), da lui conosciuto nella metà degli anni cinquanta e che incontrò di sfuggita solo quattro volte. Da quel poemetto il regista Salvatore Nocita trasse lo spunto per lo sceneggiato trasmesso dalla RAI in tre puntate intitolato Ligabue, che fece conoscere il pittore al grande pubblico italiano, anche per la bravura di Flavio Bucci che interpreta l’artista.
Link affiliato
Zavattini scrisse il poemetto Toni Ligabue su commissione dell’editore Franco Maria Ricci per la preziosa collana I segni dell’Uomo, con una prefazione dello scultore e pittore Marino Mazzacurati, colui che nel 1928 scoprì il talento di Ligabue insegnandogli l’uso dei colori ad olio. Il testo di Zavattini fu poi ripubblicato nel 1974 da Scheiwiller, nel 1981 fu tradotto in francese e in tedesco, nel 1984 edito per la prima volta da Bompiani con un’introduzione del poeta Giovanni Raboni e con un saggio del critico cinematografico Marco Vallora.
Raboni (1932-2004) fu colpito dall’originalità del testo, una biografia in poesia, e si domandò:
“Che cos’è, insomma questo poemetto? Una voce d’enciclopedia? Uno studio critico-biografico? Un souvenir de? Un referto impassibile materico alla Butor? Un equivalente scritto della naiveté di Ligabue? Un monologo al magnetofono?” .
Raboni ne conviene che quel testo è ciò che “appare a prima vista, cioè una poesia”, riconoscendo Zavattini poeta, capace di calarsi – non nei panni – ma nella stessa pelle dell’uomo e del pittore vissuto a Gualtieri e a Guastalla, comuni della bassa reggiana. La biografia in versi, scrive Raboni,
“racconta di un pittore, un grande pittore, ma anche dell’uomo bizzarro e sventurato che quel pittore era; racconta di quel pittore e di quell’uomo, ma anche del poeta che ne parla e di come questo poeta sia tentato di identificarsi con quel pittore [...] racconta del pittore e del poeta e del loro essere bizzarri e sventurati […] dei loro quadri e delle loro poesie”.
Zavattini, oltre ad essere stato uno dei più grandi sceneggiatori del cinema del Novecento, aveva scritto romanzi, poesie e si era dedicato alla pittura e nel poemetto diventa una sorta di “doppio di Ligabue”.
Si domanda Marco Vallora (1953-2022) nell’edizione di Bompiani se il poemetto è un’“autobiografia lirica rispecchiata in un alter pittorico, in una vita parallela impossibile”, ricordando che anche Zavattini a una certa età aveva scelto “il cammino labile e tormentoso della pittura”.
Questo è lo spirito con cui nell’estate del 1967 Zavattini scrive la biografia di Ligabue:
“Ho attraversato la piazza di Luzzara/fingendo di essere Antonio Ligabue./Distiamo sei chilometri da Guastalla/ dove lui si innamorò/otto da Gualtieri/ dove spirò nel sessantacinque”.
Scrive Vallora che
“Zavattini non vuole essere un filologo, ma un rabdomante della perduta vilipesa personalità del pittore. Decide così di fingersi Ligabue, di entrare entro la sua maschera […] nella sua pelle scomoda”.
La vita di Antonio Ligabue, el Matt di Gualtieri
Eh sì, il pittore, che predilige ritrarre animali – la testa di tigre e il gorilla nella giungla sono due famosi quadri -, per tutta la vita era stato disprezzato e la sua biografia è dolorosa e commovente. Nato a Zurigo nel 1899, Antonio venne registrato con il cognome della madre; quando la madre nel 1901 si sposò con Bonfiglio Laccabue, assunse il cognome del patrigno per cambiarlo nel 1942 all’anagrafe in Ligabue; scrive Zavattini “con un quadro regalato al messo comunale”. Da bambino non visse con la famiglia di origine e fu affidato a una coppia di svizzeri. Fu ricoverato più volte, a partire dal 1917, in ospedali psichiatrici e dopo un’aggressione alla madre adottiva fu espulso dalla Svizzera e giunse nel 1919 a Gualtieri, luogo di origine del patrigno. A Gualtieri visse grazie all’aiuto dell’Ospizio di mendicità e praticò una vita nomade, lavorando come manovale o bracciante presso le rive del Po. Proprio in quel periodo incominciò a dipingere e fu scoperto dal pittore Mazzacurati.
Nei paesi della bassa reggiana era conosciuto come “el Matt”.
Scrive Zavattini nel poemetto che
“Da bambino aveva avuto i convulsi/adolescente fu messo in un istituto/ che cura/ i malati di mente.”
Ligabue, continua Za,
“dormiva in una serra nel cinquanta/ne usciva all’alba con un corteo di lezzi[…] In polemica con l’igiene/ araldica di tanti bugiardi/pensava amatemi sporco se mi amate.”
Pure Zavattini al primo incontro aveva evitato di toccarlo:
“Io stesso non gli stesi la mano/quando lo conobbi nel cinquantasei/dal naso gli colava del muco/da noi chiamato la michéla,/un grumo di saliva gialla/ era sempre rappreso all’angolo della bocca”.
Anche nei successivi tre incontri Za scrive:
“Studiavo il modo di salutarlo e non toccarlo”.
Continua Za:
“Mescolava sulla tavolozza/scaracchi ocre avanzi di cibo/suppongo sperma/diluiva i colori con il piscio”.
La solitudine e le stranezze di Ligabue erano queste:
“ululava/se dipingeva lupi/ ruggiva se dipingeva leoni […] Si arrotava il naso contro il muro/ per averlo adunco/voleva essere aquila […] cantava il gallo fuori orario/ragliava l’asino/miagolava il gatto”.
Era El Matt di Gualtieri e delle rive del Po:
“Dormì per qualche tempo/al cimitero/lo videro inseguire con tutto fuori/la madre settantenne del becchino”.
Gli amori di Antonio Ligabue
Il pittore con il naso adunco si è più volte innamorato ma non aveva mai avuto una donna seppur desiderasse un bacio e “Vorrei farmi una capanna nella figa”. Secondo il poemetto di Za, Ligabue era “dedito all’onanismo […] più volte al giorno”.
Un surrogato del corpo femminile erano le sue motociclette rosse che aveva comprato con i primi soldi:
“Nell’entrare nel garage/affittato per le nove motociclette che avea/diceva vado a far l’amor/le copriva con panni morbidi”.
Un altro surrogato del corpo femminile, della compagna che mai aveva avuto e del suo desiderio di coricarsi con un’amante, consisteva nell’indossare biancheria da donna. Ne scrive Za nel poemetto e si vede lo stesso Ligabue nel 1962 in un raro filmato di pochi minuti di Raffaele Andreassi rispondere alla domanda del regista “Perché lei si veste da donna?” Ligabue risponde:
“Perché mi sento felice, sono ammogliato, mi fa bene. Metto le sottovesti, tutta roba pulita bianca.”
Si innamorò di Cesarina e le fece il Ritratto. È la donna che appare nel documentario di Andreassi alla quale Ligabue chiede un bacio in cambio di un disegno:
“Mi date un bacio. È un po’ difficile. […]Un bès… dam un bès, uno solo! Che un giorno diventerà tutto splendido. Per me e per voi. Grazie, grazie tanto”.
È la scena più commovente del film. Scrive Zavattini nel 1974 in un’appendice del suo poemetto:
“Mi ha impressionato la scena del bacio […] la donna esitava […] Toni incalzava dammi un bacio e mormorava ’Dopo vedrai che bello’. Cioè un bacio quando parte è tale fatto da mutare in meno di un attimo una bocca schifosa in una rosa”.
Augusto Daolio dei Nomadi nel 1991 gli dedicò la canzone Dam un bes.
Ligabue, naso d’aquila,/
urla al cielo la sua pena,/
Cesarina, per favore, voglio un bacio,
dam un bes.
I documentari sul pittore Antonio Ligabue
Nel 1960 il regista Andreassi aveva già dedicato alcune immagini del suo documentario Nebbia, girato sulle rive del Po, al pittore Ligabue il folle mentre fa gli scongiuri di fronte al famoso quadro della Tigre.
Un altro suo documentario, sempre del 1960, dedicato al pittore è Lo specchio, la tigre e la pianura.
Nel 1960 Pier Paolo Ruggerini gira il documentario Il paese del sole a picco, con Ligabue che interpreta se stesso percorrendo le strade della Bassa sulla sua moto Guzzi.
Poi nel 1977 la RAI produce il famoso sceneggiato diretto da Salvatore Nocita che fa conoscere Ligabue al grande pubblico e nel 2009 sempre Nocita dirige il film Antonio Ligabue: fiction e realtà.
Flavio Bucci, già protagonista dello sceneggiato Rai, guida lo spettatore in un viaggio attraverso la vita, i luoghi e le opere del pittore. Molte delle immagini sono inedite.
Da allora sono diversi i documentari e i film sulla persona di Ligabue, tra cui: Antonio Ligabue, L’Uomo (2015) di Ezio Aldoni e Volevo nascondermi (2020) di Giorgio Diritti.
I funerali di Ligabue
Nella sua biografia in versi, Zavattini descrive i funerali di Ligabue, uomo vilipeso dai suoi compaesani:
Al suo funerale c’erano i preti in testa/da lui non cercati […] La banda municipale suonava qualcosa di solenne/seguivano i possessori delle sue opere/ogni passo verso il cimitero/ne aumentava il prezzo/c’erano donne/coi candeloni nelle care mani/pentite di non aver tentato di adescare il Nostro/potersi vantare di una sua manata.
Eh sì, forse una manata o un bacio poteva valere molto se in cambio ci fosse stato un quadro. Oggi un’opera di Ligabue ha un’alta valutazione sul mercato. Per esempio la celebre opera “Tigre con cerbiatti” è stata presentata dalla Galleria de Bonis di Reggio Emilia al prezzo di 300mila euro e un autoritratto di Ligabue, messo all’asta da Christie’s, è stato stimato tra i 120mila e 180mila euro.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il pittore Antonio Ligabue nella biografia in poesia di Cesare Zavattini
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Cesare Zavattini Bompiani News Libri Arte, Teatro e Spettacolo Poesia
Lascia il tuo commento