L’oceano nella sua infinita vastità diventa un simbolo cardine del pensiero romantico. Nell’Ottocento la visione del mare traduce il desiderio di libertà insito nell’uomo, soprattutto l’artista e letterato, che sogna di essere libero dai vincoli sociali e comunitari: l’assenza di limiti dell’immensa superficie marina diventa emblema della libertà assoluta, della fuga, e anche della solitudine dell’individuo, improvvisamente smarrito dinnanzi all’inconoscibilità dell’universo.
La visione dell’immensità oceanica ispira in modo particolare il poeta inglese Lord Byron: il mare diventa l’elemento in cui l’autore si riconosce e si confonde. Possiamo immaginarlo fermo in contemplazione dinnanzi alle onde in tempesta, come il celebre Viandante del quadro di William Turner: proprio come il protagonista del quadro anche Byron appare solo dinnanzi all’inconoscibile mistero della natura e celebra l’oceano in un’ode appassionata.
Il pellegrinaggio del giovane Aroldo di Lord Byron
La dedica di Lord Byron all’oceano è contenuta nel poema narrativo in quattro canti Childe Harold’s Pilgrimage, composto tra il 1812 e il 1818. Il testo è stato tradotto in italiano con il titolo Il pellegrinaggio del giovane Aroldo e descrive le avventure del giovane Harold che si reca in viaggio in terre straniere alla ricerca di una nuova esistenza, deluso da una vita che ormai ritiene vana e vuota. Il viaggio si tramuta quindi in una sorta di pellegrinaggio spirituale.
Per la scrittura dell’opera Byron trasse ispirazione dal suo viaggio in Italia e nell’Europa meridionale, compiuto tra il 1809 e il 1811. La pubblicazione di Childe Harold’s Pilgrimage decretò il successo letterario di Lord Byron e fece conoscere al mondo intero il prototipo di ciò che sarebbe stato considerato l’eroe byroniano. Nell’arco di tre giorni dalla prima pubblicazione furono vendute oltre 500 copie del poema, ne sarebbero state stampate ben dieci edizioni.
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Il poeta inizialmente negò ogni identificazione con il proprio protagonista, ma in seguito divennero sempre più evidenti i parallelismi tra il suo carattere - il pessimismo, l’orgoglio smisurato, il talento e l’ambizione, l’insofferenza per le norme e le convenzioni sociali - e il giovane Aroldo.
Il personaggio descritto da Byron divenne l’emblema dell’eroe romantico e l’opera ebbe grande risonanza non solo nel mondo letterario, ma anche in quello musicale e artistico. Nel 1834 Hector Berlioz compose la sinfonia in quattro parti Harold en Italie ispirata al poema byroniano. Il pittore William Turner diede invece una rappresentazione figurativa all’opera tramite lo splendido quadro omonimo del 1823 che rappresenta l’Italia come un giardino dell’Eden. Il soggetto reale del dipinto era in realtà il paesaggio della valle del Nera e il ponte di Narni. Il pittore della luce trasformava così il poema di Byron in un’opera figurativa di stupefacente bellezza capace di inglobare lo spettatore nella sua visione. Senza confini, immenso, infinito, indomabile, l’oceano diventa specchio illustre dello spirito.
Non si può leggere la poesia di Lord Byron senza associarla alla raffigurazione pittorica di Turner. Le parole del poeta sembrano armonizzarsi nelle pennellate acquerello del pittore. Così l’oceano descritto da Byron si trasfonde nei flutti plumbei ritratti nei quadri di Turner, dalle sfumature blu e grigie, che creano insospettabili giochi di luce in contrasto con il giallo opalino del cielo. Si tratta della rappresentazione più perfetta dell’inquietudine annidata nel cuore umano - e proprio a questo sentimento veniva data voce attraverso l’oceano. Poeta e pittore trovarono nell’elemento marino una forza attrattiva senza pari che traduceva la loro visione dell’esistenza.
Scopriamo testo e analisi dell’ode dedicata da Lord Byron all’oceano, che è contenuta nella decima stanza del poema Il pellegrinaggio del giovane Aroldo.
“Ondeggia oceano” di Lord Byron: testo
Ondeggia, oceano nella tua cupa
E azzurra immensità
A migliaia le navi ti percorrono invano;
L’uomo traccia sulla terra i confini,
Apportatori di sventure,
Ma il suo potere ha termine sulle coste,
Sulla distesa marina
I naufragi sono tutti opera tua,
È l’uomo da te vinto,
Simile ad una goccia di pioggia,
S’inabissa con un gorgoglio lamentoso,
Senza tomba, senza bara,
Senza rintocco funebre, ignoto.Sui tuoi lidi sorsero imperi,
Contesi da tutti a te solo indifferenti
Che cosa resta di Assiria, Grecia, Roma, Cartagine?
Bagnavi le loro terre quando erano libere e potenti.
Poi vennero parecchi tiranni stranieri,
La loro rovina ridusse i regni in deserti;
Non così avvenne, per te, immortale e
Mutevole solo nel gioco selvaggio delle onde;
Il tempo non lascia traccia
Sulla tua fronte azzurra.
Come ti ha visto l’alba della Creazione,
Così continui a essere mosso dal vento.E io ti ho amato, Oceano,
E la gioia dei miei svaghi giovanili,
Era di farmi trasportare dalle onde
Come la tua schiuma;
Fin da ragazzo mi sbizzarrivo con i tuoi flutti,
Una vera delizia per me.
E se il mare freddo faceva paura agli altri,
A me dava gioia,
Perché ero come un figlio suo,
E mi fidavo delle sue onde, lontane e vicine,
E giuravo sul suo nome, come ora.
“Ondeggia oceano” di Lord Byron: analisi e commento
Sin dal primo verso possiamo cogliere la dedica all’oceano, concepito come elemento della natura primordiale: profondo, potente e feroce, dotato di un’immensità cupa e non trasparente.
Attraverso la rappresentazione dell’oceano Byron vuole esemplificare lo scontro inevitabile tra la civiltà umana e la wilderness, la natura selvaggia. C’è infatti un’incompatibilità di fondo tra i due mondi che non può essere appianata, come dimostra la metafora del naufragio.
Nella prima strofa Byron sottolinea i sentimenti, l’amore travolgente che prova per l’oceano: questo senso di pace dell’anima è sottolineato dalla musicalità del verso. Il poeta si serve infatti di espressioni dal suono ritmico (roll, ruin, remain, Ndr), come se volesse rievocare la melodia delle onde mentre compone il suo appassionato messaggio d’amore per l’oceano.
A quell’amore fa tuttavia da contraltare un senso profondo di terrore: l’oceano rappresenta infatti un pericolo per l’uomo, è una forza capace di distruggerlo, di farlo naufragare. Si tratta della cosiddetta pleasing fear, così la definirà il poeta, una paura che tutto sommato è piacevole da provare, una paura necessaria all’uomo perché gli permette di crescere nell’animo: dopotutto è destino dell’uomo navigare, salpare continuamente dal porto come un marinaio pronto ad affrontare la tempesta e l’ignoto. L’esistenza stessa viene spesso rappresentata dal verbo navigare oppure remare (to sail, to row, Ndr) nell’opera di Byron, come se la navigazione fosse una metafora della vita.
Appare quindi l’esempio delle antiche civiltà sorte sulle rive, come Cartagine, che furono teatro di grandi battaglie navali. Gli imperi sorgono e infine subiscono un crollo repentino, sono soggetti all’azione del tempo, mentre l’oceano sembra essere immortale e nessuna ruga increspa la sua superficie azzurra. Il contrasto tra la decadenza della civiltà umana e la forza primigenia, eterna, della natura appare in questi versi ancora più evidente. Alcuni critici hanno ravvisato nel poema di Byron dei riferimenti alla clamorosa sconfitta dell’Invincibile Armata avvenuta durante la guerra anglo-spagnola, nel 1588, grazie alla flotta inglese guidata dalla regina Elisabetta I. Trattando delle insidie dell’oceano il poeta britannico non può fare a meno di far riferimento all’Armada spagnola, simbolo emblematico della sconfitta per mare.
Infine Byron personifica l’oceano, come se stesse parlando a una donna reale, in carne ed ossa, che ha amato ardentemente. La passione sventata degli anni giovanili ha lasciato spazio a una fiducia più cauta: una volta cresciuto ha compreso anche i pericoli, le insidie, che si nascondono sotto la superficie delle acque marine, eppure la sua fedeltà rimane immutata. Il tema dell’amore viene quasi esasperato e il moto dell’oceano pare trasformarsi in un’emozione selvaggia - l’eterna giovinezza dell’oceano si trasfonde nel ricordo della giovinezza dell’uomo.
Vi è questa rappresentazione simbolica dell’essere umano che osa sfidare il potere indomabile dell’oceano e si rispecchia in esso, nel suo moto inquieto e costante, che sembra riflettere l’inquietudine stessa della sua anima.
Come il viandante del quadro di Turner, Lord Byron fronteggia l’immensità della natura: dinnanzi a lui non vi è il mare di nebbia, ma gli amari flutti dell’oceano che si estende a perdita d’occhio in un blu oltremare dalle sfumature via via più cupe, sino a sconfinare nell’ignoto.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Ondeggia oceano”: l’ode romantica di Lord Byron
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