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“Il grembiule”: la poesia di Alda Merini contro la morte sul lavoro

In occasione del 1° maggio non possiamo non dedicare un pensiero alle cosiddette “morti bianche”, i caduti sul lavoro, che purtroppo nel nostro Paese aumentano di anno in anno. Leggiamo un'intensa poesia di Alda Merini dedicata proprio a questo tema.

Alice Figini
Alice Figini Pubblicato il 30-04-2022
“Il grembiule”: la poesia di Alda Merini contro la morte sul lavoro

In occasione della ricorrenza del 1° maggio non possiamo non dedicare un pensiero alle cosiddette “morti bianche”, i caduti sul lavoro, che purtroppo nel nostro Paese aumentano di anno in anno.
Nei primi cinque mesi del 2022 le morti bianche in Italia sono già a quota 189, una cifra che certo non può lasciarci indifferenti e che, nel giorno della Festa del Lavoro, deve diventare materia di riflessione.

Il 1° maggio e le “morti bianche”

Le chiamano “morti bianche” perché non è stata una mano a colpire, ma il caso, il destino o una tragica fatalità. Le chiamano “morti bianche” ma non hanno nulla di candido né tantomeno di innocente, perché avvengono nello spargimento di sangue come tutte le morti. È un’espressione spesso citata in occasione del 1° maggio - “morti bianche” - che sembra nascondere, sotto un velo di ipocrisia socialmente condivisa, una verità scomoda.

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Non c’è nulla di delicato, lieve o immacolato dietro queste morti: le vittime sul lavoro sono vittime come tutte le altre, spesso uccise dalla negligenza, dallo sfruttamento, dalla precarietà. Sono persone che muoiono in modo violento: schiacciate, bruciate, precipitando dall’alto di un’impalcatura e, sempre più spesso, ammazzate dalla fatica.

Per riflettere su questo tema vi proponiamo un’intensa poesia di Alda Merini, Il grembiule, che dà voce proprio a una di queste vittime invisibili: una donna, una giovane operaia, persa nell’infinita scia delle “morti bianche” che ormai non si contano più.

La lirica è contenuta nella raccolta Antenate bestie da manicomio, pubblicata nel 2008 da Manni editore.

Scopriamo testo e analisi della poesia.

Il grembiule di Alda Merini: testo

Oddio il mio grembiule
guarda come mi torno indietro
era una bobina di anima
ogni giorno un filo d’amore
ogni giorno quelle ore che mi massacravano

io ogni giorno non ridevo mai
e la sera tornavo così stanca
e vedevo mio marito che mi guardava
e io mi giravo dall’altra parte
ma il mio grembiule era pieno di rose
erano tutti i baci che avrei dato a lui
invece di quello sporco lavoro

non hanno voluto pagarmi
né il grembiule e neanche la vita
perché ero una donna che non poteva sognare
ero una volgare operaia
che in un giorno qualsiasi
e chissà perché
aveva perso di vista il suo grembiule
per pensare soltanto a lui.

Il grembiule di Alda Merini: analisi

In questa lirica Alda Merini dà voce a una donna, la parte più debole, spesso la meno visibile delle morti sul lavoro. Tranne rari casi di cronaca celebri, la morte delle donne sul posto di lavoro viene oscurata, taciuta, insabbiata o fatta passare per altro.
Nei suoi versi Merini sembra far parlare un fantasma che ancora vorrebbe vivere e, tramite le sue parole struggenti come un grido, chiama indietro la vita. Un’esistenza misera e piena di sacrifici che viene a identificarsi con la stoffa lisa di quel grembiule che dà il titolo alla poesia.
Il grembiule della donna diventa metafora del suo lavoro - un lavoro di fatica, capiamo che si tratta di un’operaia - ma è allo stesso tempo la divisa che la donna indossa come un’uniforme persino nella vita privata, come se non potesse in alcun modo dissociarsi dalla sua professione.
Il lavoro la identifica, a un certo punto la donna si definisce “volgare operaia” riprendendo la sfumatura sprezzante attribuitale dai capi. Perché è una donna e in quanto tale subisce una doppia ingiustizia e un doppio pregiudizio. Le viene negato persino il diritto di sognare in quel lavoro alienante, monotono, ripetitivo che non lascia spazio all’immaginazione.

Alda Merini, poetessa da sempre schierata dalla parte dei deboli, dei vinti e degli emarginati, si identifica totalmente con questa sventurata operaia uccisa dalla società dello sfruttamento e dell’abuso di potere. Ci restituisce la sua fatica che viene tradotta in un’espressione fortissima: “massacra”. Il lavoro massacra la donna come un animale al macello. La fatica e la stanchezza la logorano sino a ucciderla. Eppure in lei sopravvive un anelito, indomabile, di amore.
L’amore che non le è stato concesso di vivere appieno; che è stato soffocato dalla fatica e dallo sfruttamento, dalle ore trascorse in fabbrica, con le mani corrose dallo sforzo continuo, mani dure e ruvide che non erano più capaci neppure di accarezzare.
È quell’amore ucciso il vero spargimento di sangue che c’è, ma non si vede. Merini nella sua poesia non rivela com’è morta la donna, si limita a elencare le mille ragioni invisibili che lentamente l’hanno uccisa. La morte sembra quindi stillare goccia a goccia, verso dopo verso, sino al dissanguamento.
Capiamo infine che è stata una distrazione fatale a uccidere l’operaia, forse il richiamo all’ebbrezza del sogno e dell’amore che le furono a lungo negati.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Il grembiule”: la poesia di Alda Merini contro la morte sul lavoro

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