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Storia della letteratura

Hannah Arendt: la filosofa che si batté contro il totalitarismo

Il 4 dicembre 1975 moriva a New York la grande filosofa tedesca che aveva sfidato l'oscurità dei totalitarismi.

Alice Figini
Alice Figini Pubblicato il 04-12-2021

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Hannah Arendt: la filosofa che si batté contro il totalitarismo

La filosofia di Hannah Arendt ha avuto un impatto decisivo sul pensiero occidentale del Novecento. I suoi saggi La banalità del male (1963) e Vita Activa (1978) sono tra le opere filosofiche più lette e citate al giorno d’oggi.

Il merito della filosofa e scrittrice è di essere riuscita a indagare la natura del potere e le condizioni che resero possibile lo stanlinismo e il nazifascismo. Tedesca ma di origine ebrea, la Arendt visse sulla propria pelle la follia della Seconda guerra mondiale. Avrebbe in seguito denunciato quella deriva della ragione umana in tutti i suoi scritti, gridando a gran voce gli orrori, le nefandezze compiute da quegli uomini al potere che calpestarono, sino a ridurli in polvere, i diritti civili inalienabili di ogni essere umano.

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Hannah Arendt: una biografia

Hannah Arendt nacque il 14 ottobre 1906 a Linden, un sobborgo di Hannover, da una famiglia borghese di origini ebraiche.

Studiò filosofia all’Università di Marburgo, laureandosi nel 1929 con una dissertazione sul concetto di amore secondo Sant’Agostino.
Proprio nel corso degli studi universitari si innamorò di uno dei più influenti pensatori del Novecento, Martin Heidegger. La relazione tra i due si interruppe a causa del profondo solco ideologico che li divise alle soglie delle guerra. Martin Heidegger al principio del conflitto mondiale era filo-nazista, mentre la Arendt era una delle principali avversarie ideologiche del regime. I due ebbero una relazione tormentata che costo diverse critiche alla Arendt a causa delle discusse e controverse posizioni politich dell’amante.

Dopo aver conseguito brillantemente la laurea con il massimo dei voti, alla Arendt viene impedito di insegnare a causa delle leggi razziali promulgate dai nazisti.
In seguito a quel divieto Hannah Arendt, all’inizio degli anni Trenta, cominciò a interessarsi a temi legati all’antisemitismo. A causa delle sue posizioni finì presto nelle mire della Gestapo, che la fece imprigionare per alcuni mesi nel 1933.
In seguito all’avvento delle persecuzioni fasciste la Arendt abbandonò la Germania attraversando il cosiddetto confine verde delle foreste della Erz. Passando per Praga, Genova e Ginevra, infine giunge a Parigi.

Resterà nella capitale francese sino al 1951, anno in cui attraverso un visto falso riuscirà a raggiungere gli Stati Uniti. A New York la Arendt iniziò a scrivere articoli e riflessioni sulla condizione degli ebrei e il nazifascismo. Nel frattempo iniziò a lavorare come docente in alcune università, da Yale a Princeton.

Nello stesso periodo iniziò la stesura di una serie di articoli per il New Yorker sul processo a Adolf Eichmann, che vennero poi raccolti nel saggio dal titolo La banalità del male (1963). Il libro ebbe un successo planetario.

La banalità del male

Nel suo saggio più famoso La banalità del male, la Arendt teorizza che il male non si annida in individui malvagi o brutali, ma in persone comuni, ordinarie, spesso capaci di pensare e riflettere.
La domanda che assillava la filosofa tedesca era: "Può una persona commettere il male senza essere malvagia?"

Recensione del libro

La banalità del male
di Hannah Arendt

Dall’analisi della testimonianza storica resa dal processo ad Adolf Eichmann, SS nazista, la Arendt conclude che sì, ciò è possibile. Eichmann non era un perverso né un sadico, non era un mostro senza morale, tuttavia compì azioni orribili.
Tuttavia, teorizzò la filosofa, Eichmann non ebbe mai piena coscienza di commettere il male: commise il male, senza cattive intenzioni, influenzato da un ideale superiore.
Un male dunque ordinario, mediocre, quasi casuale, che non ha nulla di demoniaco né di mostruoso. Una malvagità, dunque, che si sottrae al pensiero, alla coscienza stessa.

Commise i suoi crimini in circostanze che gli resero quasi impossibile capire o sentire cosa stesse facendo di male.

In seguito a queste riflessioni la Arendt arrivò a teorizzare il concetto di "banalità del male", che ormai è passato alla Storia.

Hannah Arendt morì a New York il 4 dicembre del 1975 a causa di un attacco cardiaco: aveva soli 69 anni. I suoi saggi sono letti e studiati in tutto il mondo, l’eco del suo pensiero non si è mai spento.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Hannah Arendt: la filosofa che si batté contro il totalitarismo

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