Andrea Zanzotto (1921-2011) è stato uno dei più significativi poeti del Novecento italiano, purtroppo ancora poco valorizzato e studiato nelle scuole.
Zanzotto esordì nel 1951 con la raccolta poetica Dietro il paesaggio (Mondadori), per poi dedicarsi a interessanti esperimenti lirici che ponevano in primo piano la potenza espressiva del linguaggio. La sua è una “poesia di frammenti” che tuttavia non manca di una certa narratività, di vicende e personaggi, con l’intenzione finale di dare una precisa “mappa dei luoghi” in cui ha vissuto. La poesia di Zanzotto si fa col tempo sempre più intangibile e inafferrabile, tesa a indagare un sempre crescente livello di astrazione del segno linguistico.
In Elegia Pasquale , poesia contenuta nella sua prima raccolta Dietro il paesaggio, Zanzotto narra l’attesa della Pasqua e della resurrezione in chiave laica e non religiosa. Si può scorgere in questi versi il riferimento alla Pasqua intesa come “rito collettivo” che è tuttavia chiamata a confrontarsi con una realtà dura e ostile che raramente si fa presagio di rinascita.
Scopriamo testo e analisi del componimento.
“Elegia Pasquale” di Andrea Zanzotto: testo
Pasqua ventosa che sali ai crocifissi
con tutto il tuo pallore disperato,
dov’è il crudo preludio del sole?
e la rosa la vaga profezia?
Dagli orti di marmo
ecco l’agnello flagellato
a brucare scarsa primavera
e illumina i mali dei mortiE se è vero che oppresso mi composero
a questo tempo vuoto
per l’esaltazione del domani,
ho tanto desiderato
questa ghirlanda di vento e di sale
queste pendici che lenirono
il mio corpo ferita di cristallo;
ho consumato purissimo paneDiscrete febbri screpolano la luce
di tutte le pendici della pasqua,
svenano il vino gelido dell’odio;
è mia questa inquieta
gerusalemme di residue nevi,
il belletto s’accumula nelle
stanze nelle gabbie spalancate
dove grandi uccelli covarono
colori d’uova e di rosei regali,
e il cielo e il mondo è l’indegno sacrario
dei propri lievi silenzi.Crocifissa ai raggi ultimi è l’ombra
le bocche non sono che sangue
i cuori non sono che neve
le mani sono immagini
inferme della sera
che miti vittime cela nel seno.
Elegia Pasquale di Andrea Zanzotto: analisi
L’ Elegia Pasquale di Andrea Zanzotto narra l’attesa della Pasqua e della resurrezione che tuttavia non sembra trovare compimento nel cuore dell’uomo. La lirica non ci restituisce infatti la gioia appagata del giorno di festa, ma pare fermarsi sulla sua soglia, indagando il sentimento dell’attesa.
È una Pasqua ventosa sulla quale sembra spirare un vento furibondo, presagio di tempesta, che non dà cenno di placarsi.
La Pasqua attuale non è salutata da una gioiosa primavera simbolo di rinascita, ma è pallida e disperata come il volto di un uomo provato dal freddo dell’ inverno. La Pasqua appare quindi umanizzata tramite una personificazione: è come una ragazza che sale faticosamente un’irta salita per raggiungere la chiesa dove si svolgerà la celebrazione dell’atteso giorno di festa.
Persino la resurrezione di Cristo, nei primi versi, appare come una “vaga profezia” di fronte alla quale l’Io lirico è scettico.
Il poeta nella prima strofa pone una domanda che suona come una speranza: chissà se dal preludio del sole nascente, domani verrà qualcosa di buono? Zanzotto narra l’attesa laica della Pasqua, scorgendo in questo giorno una resurrezione simbolica: umana e non divina.
L’Io lirico dà voce ai propri pensieri nella seconda strofa nella quale ribadisce la propria vacua speranza che l’esaltazione per il giorno atteso possa finalmente cancellare in lui l’angoscia per il “tempo vuoto” nel quale vive.
Il componimento è significativamente intriso di riferimenti biblici: ci sono gli orti che rimandano al giardino del Getsemani nel quale Gesù prega in mezzo agli ulivi; e il “pane purissimo” del quale l’uomo si nutre che è una metafora dell’Eucarestia. E infine il vino, secondo elemento della traduzione eucaristica, che tuttavia viene descritto come “gelido d’odio”. Il poeta elenca le sue speranze che vengono tuttavia ignobilmente deluse dalla cruda realtà che non sembra promettere rinascita né resurrezione.
Nel paesaggio stesso non vi è elemento che richiami un imminente fioritura, ma solo chiazze gelide di neve. La città di Gerusalemme viene descritta con l’iniziale minuscola perché in essa il poeta vede il proprio paesino veneto di Pieve di Soligo che in quel periodo di fine marzo, per l’appunto, ancora non conosce l’aria tiepida di primavera. Non v’è traccia di nuova vita tutto attorno e dunque il poeta non si spiega il senso di resurrezione insito nella Pasqua così come nella primavera. La festività pasquale appare come un artificio di sola apparenza, rivelato dalle uova tinte di colori “belletto” e quindi rese artificiali allo scopo di festeggiare l’attesa celebrazione.
Il mondo attuale, agli occhi di Zanzotto, è indegno di accogliere la promessa pasquale di resurrezione.
Il disinganno è amaro e perfettamente rappresentato dal verso:
Crocifissa ai raggi ultimi è l’ombra
Il richiamo alla crocifissione e al buio che ne consegue rimanda alla morte di Cristo. Al momento in cui sconsolato ripete: “Mio Dio, perché mi hai abbandonato” e in tutta risposta il cielo si oscura, dopo che ha esalato l’ultimo respiro.
Il rimando all’eclissarsi della luce come simbolo di morte richiama anche il celebre componimento del poeta ermetico Salvatore Quasimodo Ed è subito sera che in soltanto due versi rivela il senso della vita e della sua caducità.
Anche nella poesia di Zanzotto scende la sera e sembra eclissare la promessa pasquale. I cuori non sono che neve, come un’immagine della bontà destinata a sciogliersi e, ancora, il riferimento alla caducità della vita umana che non conosce rinascita. Nel finale il “seno della sera” appare come una consolazione che offre riposo all’uomo, un grembo materno in cui ritornare alla serenità primigenia, conosciuta solo prima della nascita.
La sera tuttavia nasconde nella sua ombra “miti vittime”, vittime ingiuste, sacrificate. Con questa espressione Zanzotto richiama la vittima designata della Pasqua, Gesù personificato dall’agnello, ma anche tutti i poveri esseri umani condannati alla sofferenza che si appellano invano, con lamenti e preghiere, a una speranza di resurrezione.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Elegia Pasquale”, la Pasqua laica e umanizzata di Andrea Zanzotto
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